Aida, una casalinga fra le galassie, e altre storie. Il lavoro oscuro e prezioso di migliaia di appassionati che aiutano gli scienziati
La chiamano Scienza popolare o Scienza dei cittadini o ancora Scienza di tutti. Il nome ne racchiude l’essenza: sulle piattaforme in rete i partecipanti contribuiscono, su base volontaria, ad un progetto scientifico internazionale di ricerca. Sono cittadini comuni – che qualcuno definisce anche “Zooiti” quando coinvolti nei progetti del portale Zooniverse – e si incontrano nelle piazze virtuali. Non hanno la corona dell’alloro accademico ma nel loro petto arde il demone della curiosità che genera domande e alimenta la voglia di conoscere e di partecipare. Un esercito di ricercatori amatoriali tra le cui fila si celano cittadini scienziati: appassionati astronomi, zoologi, chimici, biologi… Tra queste piattaforme brilla (e il verbo non è casuale) Galaxy Zoo: progetto di scienza partecipata dove cultori di astronomia collaborano con gli astronomi per classificare le galassie. I volontari attraverso un sito web dedicato passano in rassegna le immagini di galassie per identificarne la forma, aiutando così gli scienziati a studiare la loro morfologia su larga scala. Il progetto ha avuto un enorme successo, con centinaia di migliaia di astronomi amatoriali volontari che hanno classificato decine di milioni di immagini. E c’è da sgranare gli occhi davanti alla bellezza dei sistemi cosmici composti da miliardi di stelle, pianeti, gas, polveri e materia oscura, uniti dalla forza di gravità. È un attimo e si cade nella rete delle galassie il cui nome deriva dal greco antico galaxìas (“di latte”, “latteo”), in riferimento alla Via Lattea, la galassia a cui appartiene il sistema solare e la prima osservata. Se poi ci aggiungiamo che tra gli astronomi volontari potrebbe esserci anche il nostro insospettabile vicino di casa: il gioco è fatto.
La storia di Aida Berges insegna. Il nome può non dire nulla ai più e conduce dritto dritto in quella parte dell’universo di internet abitato da cittadini scienziati. Smanetta che ti smanetta viene fuori che Aida è tra le più apprezzate astronome volontarie di Galaxy Zoo. La signora Berges originaria della Repubblica Dominicana ha casa a Porto Rico. Sul suo biglietto da visita si legge: casalinga, laureata, insegnante.
In una vecchia intervista postata sul blog di Galaxy Zoo per la serie “Lei è un’astronoma”, la signora racconta e si racconta. Gli studi da ragazza in una scuola cattolica femminile; la laurea in Giurisprudenza e in Inglese; la scelta di fare l’insegnante ma anche la segreteria e la traduttrice. Aida – si intuisce – è un tipo che non si perde d’animo e non rinuncia ai sogni. Una vita la sua che la conduce a Porto Rico. Sull’isola caraibica incontra suo marito. Amore, casa e famiglia: sembra fatta. Una vita semplice. Per anni, Aida fa la moglie e la madre devota di due figli in compagnia di tre cani e un gatto. La signora ama leggere libri di storia, fantascienza e di genere fantastico. Adora l’oceano e andare in spiaggia e guardare le onde.
La sorpresa, però, è dietro l’angolo o meglio sul computer e si chiama Galaxy Zoo. «Stavo leggendo la Cnn online e ho trovato un articolo che descriveva come una giovanissima insegnante olandese avesse scoperto un nuovo tipo di oggetto, chiamato “Hanny’s Voorwerp” – racconta Aida sul blog della piattaforma – Era un articolo per celebrare il primo anno del Galaxy Zoo. Sono andata subito al Galaxy Zoo e la mia vita è cambiata per sempre… È stato come tornare a casa per me». Tornare a casa sì, ma col naso all’insù e i pensieri persi tra le stelle. Le accadeva anche da bambina. «Da giovane vivevo in campagna, quindi la luna e le stelle erano spettacolari… fin da quando ho visto le stelle per la prima volta, mi sono interessata. Ho iniziato a navigare su internet perché volevo leggere tutto quello che potevo sull’astronomia».
Di lei, di Aida Berger si trova traccia anche nel saggio “Open. La storia del progresso umano” di Johan Norberg, pubblicato in Italia qualche settimana fa da Rubbettino. «Di recente ho appreso che una delle astronome più affermate della nostra epoca è Aida Berges – scrive Norberg – Non ne avevo mai sentito parlare prima, ma Berges ha classificato da sola quarantamila galassie e ha individuato il 10 per cento di tutte le stelle iperveloci conosciute, ovvero quelle la cui velocità si discosta sostanzialmente dalla velocità normale delle stelle. Uno dei motivi per cui non avevo mai sentito parlare di lei è che non lavora in alcun osservatorio astronomico e non ha nemmeno una formazione in astronomia. È una casalinga di Porto Rico…».
«Attraverso la piattaforma online Galaxy Zoo, dove gli scienziati hanno pubblicato foto del cielo stellato, duecentomila astronomi amatoriali hanno contribuito a classificare più di 150 milioni di galassie– prosegue l’autore di Open – Chi avrebbe potuto immaginare che una delle più dotate sarebbe risultata una casalinga di Porto Rico? Assolutamente nessuno. Nessun governo l’avrebbe previsto e nessun gruppo di ricerca l’avrebbe inclusa nel proprio team. È stato solo grazie a una piattaforma aperta, in cui tutti potevano mettere alla prova le proprie capacità, che siamo stati in grado di scovare talenti preziosi che altrimenti sarebbero rimasti nascosti. Per lo stesso motivo, l’apertura ai lavoratori e ai pensatori provenienti da altri luoghi ci rende molto più forti, perché la possibilità di trovare qualcuno che migliori le nostre abitudini o introduca innovazioni utili aumenta quando un maggior numero di persone ha la possibilità di tentare la sorte». Parole in linea con l’idea che solo apertura, confronto e cooperazione generano progresso. Vale anche per quelle piattaforme su internet che rappresentano il volto migliore della tecnologia online. La storia di Aida e di Galaxy Zoo – lontana anni luce dagli episodi di foto e identità rubate utilizzate senza consenso in maniere distorta, spregiudicata e anche violenta – è la faccia bella della rete e delle sue potenzialità.
È una storia di sogni e aspirazioni condivise dove la tecnologia e la scienza diventano gli strumenti di una comunità virtuale la cui anagrafe, però, è composta da uomini e donne in carne ed ossa accomunati dal demone di una curiosità buona.
La storia di Galaxy Zoo inizia il 12 luglio del 2007 (con Galaxy Zoo 1). Il progetto ispirato da Stardust@home vede una collaborazione fra le Università di Oxford, Portsmouth, Yale, Johns Hopkins e la Fingerprint Digital Media di Belfast. È il 17 febbraio del 2009 quando viene dato il via al proseguimento dell’iniziativa (Galaxy Zoo 2). Nell’aprile 2010 parte una nuova fase. Si chiama Galaxy Zoo: Hubble e utilizza i dati del telescopio spaziale di cui porta il nome. Tuttavia si era lontani dall’avere una banca dati delle galassie il più completa possibile. E così un gruppo di astronomi e cosmologi decide di lanciare un progetto su internet chiedendo ai volontari di visionare immagini, estratte dalla banca dati del telescopio Sloan Digital Sky Survey (Sdss), e classificarle in base alla loro morfologia. Nell’arco delle prime 24 ore il sito riceve una media di 70.000 classificazione all’ora. Il numero di partecipanti è impressionante. «La domanda nel primo giorno fu così elevata da far saltare un interruttore della nostra sala computer» ricorda Jan Vanderberg della Johns Hopkins University. Nel corso del primo anno il sito riceve oltre 50 milioni di classificazioni da oltre 150.000 membri. «I volontari di Galaxy Zoo svolgono un lavoro reale. Non si limitano a far girare passivamente qualcosa sui loro computer sperando di essere la prima persona a scoprire gli alieni. Loro sono un tassello della scienza che ne scaturisce, ciò significa che sono interessati a quello che facciamo e che troviamo – ha commentato Kevin Schawinski tra i fondatori del progetto – Non è solo per divertimento. Il cervello umano è attualmente migliore di un computer nel riconoscimento delle strutture in un progetto come questo. Sia che spendiate cinque minuti, quindici minuti o cinque ore nel sito il vostro contributo è inestimabile».
E la storia continua. Storia vecchia quanto il mondo. Il cammino dell’uomo nei secoli non è andato avanti cercando, trovando, scoprendo, interrogando, condividendo? La fiammella della ricerca e della speranza, fosse anche dopo le notti più buie, non si è mai spenta. Lo dice anche Dante: “E quindi uscimmo a riveder le stelle” . Ed è l’ultimo verso dell’Inferno.









