«Come una ringhiera per le scale», così secondo Edoardo Boutet giornalista, critico e impresario teatrale, avrebbe dovuto essere il perfetto suggeritore. Se c’è, neanche ci si bada
«Come una ringhiera per le scale», così secondo Edoardo Boutet giornalista, critico e impresario teatrale, avrebbe dovuto essere il perfetto suggeritore. Sì «come una ringhiera per le scale. Se c’è, neanche ci si bada e si può salire tranquilli, senza bisogno di appoggiarvisi. Se manca, c’è il pericolo di ruzzolare… c’erano attori sicuri, che salivano… sfiorandola. Ciò non toglie che gli altri vi si aggrappassero, disperatamente». La pensava probabilmente così il maestro Herbert von Karajan che nel novembre del 1963 fece scoppiare a Vienna il cosiddetto “scandalo dell’Opera”.
Per la “Bohème”, fresca di debutto alla Scala con la regia di Franco Zeffirelli e la sua direzione, che si apprestava a esordire anche nella capitale austriaca, aveva scelto il suggeritore italiano Armando Romano. Il personale tecnico dell’Opera di Vienna, però, si oppose. Perché un italiano? C’erano suggeritori in Austria. Il braccio di ferro durò qualche giorno, poi il maestro che aveva minacciato di bloccare lo spettacolo, annunciò a pochi minuti dall’apertura del sipario che la “Bohème” non sarebbe stata rappresentata. Non pensavano facesse sul serio.
Nel duro braccio di ferro con i sindacati, von Karajan non era solo. Armando Romano, chiamato per svolgere il ruolo di maestro-suggeritore, faceva parte di diritto del personale artistico e dipendeva dalla direzione dell’Opera, non dai sindacati. Eppure Romano fu rispedito in Italia. Ribadendone il suo valore, gli artisti italiani decisero, dopo alcuni giorni, di andare in scena per non creare altri problemi al maestro von Karajan. Nessun suggeritore, però: «Conosciamo bene il testo. Il maestro Romano conosce altrettanto bene i tempi dell’Opera e ci avrebbe dato il segnale per intervenire nei tempi giusti».
Il caso del suggeritore italiano durò fino all’8 giugno 1964, quando l’Alta Corte amministrativa austriaca riconobbe l’appartenenza di Armando Romano alla categoria artistica. Così per il maestro Herbert von Karajan fu una vittoria legale e per Romano anche il riconoscimento della competenza artistica.
Un anno dopo, Sergio Tofano, attore, fumettista, drammaturgo e insegnante all’Accademia d’arte drammatica di Roma, scrisse nel saggio “Il teatro all’antica italiana e altri scritti di teatro”, che il suggeritore era «l’intellettuale della compagnia». «Alle sue spalle – spiegava – il pubblico non poteva comprenderlo, non accorgendosi della sua continua e minuziosa opera di salvataggio».
A volte sul palcoscenico l’attore viveva momenti drammatici, di ansia e soltanto un suggeritore intelligente ed esperto, riusciva a tranquillizzarli e far sì che nessuno dietro di lui scoprisse l’attimo d’empasse. Nascosto nel sottopalco, protetto dagli sguardi da un cupolino era lì, attento, prudente, ausilio degli interpreti sul palco. Anonimo. Le sue origini risalgono al teatro classico, alla commedia latina.
Plauto, che visse nel 160 avanti Cristo, fu il primo poeta a utilizzare questa figura che inizialmente si chiamava “Monitor” dal verbo monere, (far ricordare, consigliare…), ma l’inserimento nel “cast” teatrale avvenne lentamente, quando la tradizione orale si affievolì e cominciarono a circolare i copioni, in più copie in cui l’autore ed il regista annotavano non solo le battute, ma anche i movimenti degli attori sul palco. E il suggeritore doveva essere al corrente di tutto. Pronto a intervenire.
In una delle edizioni delle opere di Eduardo De Filippo (quella di Einaudi del 1975) c’è un passaggio nell’opera “Uomo e galantuomo”, in cui il capocomico impartisce una lezione al suggeritore frettoloso e superficiale. E dice:
«Tu non sai suggerire. Il suggeritore d’arte non grida: suggerisce di petto. Io il lavoro lo conosco a memoria, ho bisogno solo dello spunto. Se tu mi gridi io mi imbroglio. È brutto, è guitto. Finisce che il pubblico la commedia se la sente due volte: prima del suggeritore e poi dagli altri attori. Un soffio deve essere. Un soffio». Il suggeritore incespica nelle parole e il capocomico lo interrompe di nuovo: «Fammi vedere, Ecco sempre perché leggi solamente il dialogo. Devi leggere pure a sinistra, i personaggi …e poi bisogna badare alla punteggiatura».
L’abilità, lo sforzo della memoria di un buon suggeritore è appunto nell’avere davanti agli occhi la struttura della pagina, il ruolo di ciascuno sul palco, cogliere anche l’imbarazzo dell’attore a cui sfugge la battuta. E che succederebbe se non ci fosse l’invisibile sussurratore? «Se non parla lui, gli attori non dicono manco una parola. E il pubblico non sente niente! E i giornali, la mattina appresso, non possono fare la critica dello spettacolo! …Ti rendi conto? … Il suggeritore, col libro, in mano, è la Legge!», scrive il drammaturgo Manlio Santanelli, in “Uscita di emergenza”.
Dell’arte di suggerire aveva scritto anche Jean-Baptiste Rousseau, poeta e drammaturgo, nel suo manuale del 1829 (“Code Théatral, physiologie des théâtres”): «Come un suggeritore sarebbe inutile se gli attori conoscessero le loro parti, il suo dovere è di avere alternativamente gli occhi sulla brochure e sull’attore, e il suo talento è di indovinare dagli occhi del personaggio se lui è o no sicuro di quello che andrà a dire…L’arte di suggerire bene, che sembra non essere niente, è talmente difficile, che si potrà forse citare dieci buoni suggeritori in tutta la Francia».
Nell’Ottocento il periodico “La Moda” aveva pubblicato un trafiletto sulla fisionomia del suggeritore paragonato a Eolo, il dio del vento. Eolo abitava in una caverna e il suggeritore in una nicchia ai piedi del palcoscenico. Se egli non soffia, come soffia Eolo, non suggerisce. E la battuta sussurrata, raggiunge soltanto – si spera – l’orecchio teso di chi ha bisogno di ascoltare e ripetere quasi in simultanea.
Uno dei primi a definirsi “soffiatore” fu nel 1830 Thibaut Thibaut, suggeritore e drammaturgo francese. Scrisse “Manuel du souffleur”, un guida al perfetto suggeritore che fu pubblicata a puntate nel “Journal des Comédiens”, fino al 1831. In quelle pagine c’era una specie di trattato della categoria, con annotazioni storiche. Di esperienza ne aveva. Ma non fu l’unico suggeritore- scrittore. Achille Ponzi, per esempio nel “Dal buco del suggeritore”, descrive la prospettiva di chi come lui ha offerto la battuta a chiunque ne avesse bisogno. Un’occupazione cominciata per necessità, dopo un periodo in cui aveva cercato di affermarsi come attore. “Memorie di un suggeritore” di Gino Monaldi. un resoconto di memorie ambientate nel mondo del teatro.
All’attività di suggeritore, Monaldi alternava quella di musicista prima che suggeritore. Nel suo piccolo anche il già citato Armando Romano proseguì la sua carriera artistica come direttore d’orchestra e poi direttore artistico del teatro Bellini di Catania. Ma questa figura così misteriosamente nascosta che contribuiva al fascino della rappresentazione teatrale, prima di essere soppiantata dal gobbo (lo schermo usato nel cinema, in tv e anche nei concerti) ha affascinato anche grandi autori, come Pirandello, Dumas e Rostand. Chi ricorda il Cyrano di Edmond de Rostand, che rivolto al giovane Cristiano innamorato incapace di trovare le parole giuste per far innamorare Rossana, dice: «Ti presterò un po’ di eloquenza. Tu prestami il tuo fascino. E costruiamo insieme un eroe da romanzo!».
E così sotto il balcone della fanciulla di cui egli stesso è innamorato, Cirano diviene il suggeritore d’amore di Cristiano. E Kean, protagonista del dramma di Alexandre Dumas, che fuggì dal teatro con le due persone di cui era incapace di fare a meno, la donna che amava e il suggeritore? In “Sei personaggi in cerca d’autore”, Luigi Pirandello pone in difficoltà il suggeritore: i sei personaggi non hanno bisogno dei suoi sussurri, la loro vita è chiara, le loro battute sgorgano dall’anima. Quel sussurro c’è, non si vede, ma a loro non può suggerire nulla. Eppure questa è un’arte che non può scomparire, soprattutto nella civiltà dell’immagine. Lo spiega bene il fotografo Robert Doisneau: «Suggerire, è creare. Descrivere, è distruggere».









