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Capolavori, ai posteri l’ardua competenza

Scrittori, pittori, poeti, musicisti, persino comici: talenti e capacità scoperte solo dopo il decesso e a distanza di anni

“Quando il mio corpo sarà cenere il mio nome sarà leggenda”. Amaro vero? Ma non è presunzione o arroganza. I posteri sono più generosi, attenti, competenti dei contemporanei. Le parole di Jim Morrison riassumono il destino di tanti scrittori, musicisti, artisti, registi, poeti, filosofi. Quando al danno si aggiunge la beffa: la gloria è postuma (e la pubblicazione pure). Non sono poche le opere stampate, diffuse o eseguite dopo la morte del loro autore a cui è toccato l’alloro di là da venire. Non sono pochi gli autori che hanno avuto i giusti “premi” post mortem. Un indennizzo (tardivo) lasciato all’azione, all’intelligenza, all’intuito e alla volontà di coloro che vengono dopo. Che siano addetti ai lavori, familiari, amici o semplici fruitori poco importa. Rivalutare nel tempo, comprenderne la grandezza, portare alla luce, diffondere, fare conoscere, scriverne un destino diverso tocca ai posteri. A loro: la sentenza! Il tempo farà il resto. Nell’indice ci finiscono i nomi di talenti non capiti: troppo avanti rispetto al mondo che li circonda per poter essere compresi in vita. E ci finiscono opere che necessitano di un cambio di sensibilità, di mutamenti culturali e sociali per poter essere apprezzate dai più. Ci sono poi i casi in cui i riconoscimenti successivi alla morte, sono dovuti alla scomparsa prematura di autori che hanno lasciato opere anche incompiute reputate in epoca successiva capolavori.

Le storie di “riscatto” postumo non mancano. A cominciare dalla letteratura.

A cominciare da Kafka e Il Processo. Romanzo incompiuto scritto in tedesco fra il 1914 e il 1915 viene pubblicato dopo la morte dello scrittore avvenuta a Kierling il 3 giugno del 1924. La storia viene raccontata così. Il manoscritto arriva nelle mani di Max Brod, amico di Kafka. Per lui si tratta della più grande opera dello scrittore. A dispetto della volontà dell’autore, che desiderava che l’opera fosse bruciata dopo la sua morte, Brod pubblica il romanzo nel 1925. Il Processo contribuisce ad alimentare la fama postuma di Kafka tra i più importanti e conosciuti autori della storia della letteratura al punto tale che dal suo cognome nasce il termine kafkiano, sinonimo di assurdo. Assurda come la vicenda di Josef K., il protagonista dell’opera dal celebre incipit: “Qualcuno doveva aver diffamato Josef K. perché, senza che avesse fatto nulla di male, una mattina venne arrestato. La cuoca della signora Grubach, la sua padrona di casa, che ogni giorno verso le otto gli portava la colazione, quella volta non venne. Ciò non era mai accaduto…” Dal libro è stato tratto anche un film omonimo nel 1962, diretto da Orson Welles e interpretato da Anthony Perkins e dallo stesso regista.

Avrà fiutato, invece, una duratura e futura gloria, Stendhal per annotare così: «Confesso che il coraggio di scrivere mi mancherebbe se non pensassi che un giorno questi fogli saranno stampati e che saranno letti da qualche persona che amo (..) gli occhi che leggeranno queste cose si aprono appena, alla luce. Calcolo che i miei lettori futuri abbiano oggi dieci o dodici anni». E così è stato. Snobbato dai contemporanei con l’eccezione di Honoré de Balzac e rivalutato dai posteri, l’autore de Il rosso e il nero (1830) è pure entrato nel lessico comune per la “sindrome di Stendhal”: affezione psicosomatica al cospetto di opere d’arte di straordinaria bellezza.

Fama tardiva anche per Edgar Allan Poe. Lo scrittore di Il corvo e Gli omicidi della Rue Morgue muore a Baltimora il 7 ottobre del 1849, a quarant’anni, in circostanze mai chiarite. Chiara, invece, sarà la sua gloria postuma anche come padre di due generi letterari di successo: il racconto d’indagine deduttiva su un crimine misterioso e il romanzo di fantascienza.

Emily Dickinson, trascorre più della metà della sua vita chiusa in casa a scrivere poesie e racconti riuscendo a pubblicarne meno di una decina. Fu la sorella Lavinia che, alla morte della Dickinson, invece, di bruciare le opere (come aveva chiesto la sorella) decide di pubblicarle regalando al mondo il tesoro di quegli scritti ritrovati in un baule e a Emily la celebrità e il riconoscimento del talento che le erano dovuti.

Tra le opere in parte postume (e incompiute ) diventate celebri c’è L’uomo senza qualità dello scrittore austriaco Robert Musil.

Il catalogo (non completo) continua con Suite francese di Irène Némirovsky. Romanzo incompiuto e postumo. La scrittrice francese di origine ebraica morta ad Auschwitz a 39 anni, pubblica diversi libri durante la sua breve vita, ma la sua opera più celebre, Suite francese, vede le stampe molti anni dopo. In Francia nel 2004 e in Italia l’anno successivo. Il libro vince il Prix Renaudot. Acclamato come un capolavoro è diventato un successo internazionale ed è stato tradotto in 38 lingue. Nel 2014, Saul Dibb ne fa un film. E ancora: Il Maestro e Margherita di Michail Bulgakov. Scritto negli ultimi anni di vita, viene pubblicato per la prima volta nel 1967, quasi trent’anni dopo la morte dell’autore.

Tornando in Italia ecco Il partigiano Johnny : romanzo autobiografico incompiuto di Beppe Fenoglio pubblicato postumo nel 1968. La vicenda editoriale è tra quelle più complesse e controverse del Novecento italiano. Caposaldo della nostra letteratura ha contribuito a consolidare la fama di Fenoglio.

Nell’indice non può mancare L’Arte della gioia di Goliarda Sapienza di cui molto si è parlato di recente anche in virtù della miniserie televisiva diretta da Valeria Golino e Nicolangelo Gelormini. L’Arte della gioia, romanzo pubblicato postumo in edizione integrale, è stato riscoperto come capolavoro vent’anni dopo la scomparsa dell’autrice grazie alle traduzioni in Francia, America e Germania, fino alla ristampa italiana nel 2008 per Einaudi. Goliarda inizia a scrivere a mano il romanzo nel 1967 e lo ultima il 21 ottobre del 1976 a Gaeta. La revisione finale è affidata al marito Angelo Pellegrino. La scrittrice riesce a farne pubblicare solo la prima parte nel 1994 da Stampa Alternativa. Pellegrino, invece, lo fa pubblicare a proprie spese nel 1998 ma in un numero limitato di copie (circa un migliaio), sempre da Stampa Alternativa. Il vero successo per il libro (e per l’autrice) arriva dall’estero. Inviato da Pellegrino alla Fiera di Francoforte, viene notato e pubblicato in Francia da Gallimard.

Libri e spartiti. Anche in musica non mancano gli esempi dei riconoscimenti tardivi. Tre danno la misura e sono Bach, Schubert e Bizet. A proposito di Johann Sebastian Bach, ad esempio, Fernando Liuzzi su Treccani scrive: «In cospetto dell’arte sua i contemporanei mostrarono una mediocrità d’intendimento che avrebbe facilmente abbattuto una fibra meno energica: tutti s’inchinavano al clavicembalista perfetto, all’insuperato organista, all’improvvisatore pronto e sapiente: nessuno esaltò il creatore di bellezze immortali». La fama postuma di Bach compositore è legata (anche) alla biografia che ne fece il musicologo tedesco Johann Nikolaus Forkel nel 1802 e all’esecuzione della Passione secondo Matteo nel 1829 diretta da Felix Mendelssohn. E veniamo al “caso” Franz Schubert. Pur apprezzato in vita, la notorietà per il compositore morto a soli 31 anni cresce dopo la sua scomparsa. Si racconta, soprattutto grazie a Schumann, Brahms e Liszt che ne divulgano le opere.

Cambio scena. 1820, Siviglia. Don José, un giovane brigadiere, Carmen, una bellissima zingara, la mite e timida Micaela, Escamillo, il prode toreador sono i protagonisti di una delle opere liriche più rappresentate e conosciute al mondo. È la Carmen di Bizet. Il compositore muore poco dopo la prima rappresentazione.

L’opera non ha grande successo al suo debutto nel 1875 all’Opéra-Comique di Parigi. La fortuna arriverà dopo. E chissà cosa avrebbe pensato oggi Bizet della sua Carmen nell’anno del doppio 150° anniversario. Tra i palchi dei teatri e non solo, riecheggia ancora tra gli applausi l’Habanera della gitana morta per mano di Don José.

L’indennizzo a futura memoria riguarda anche l’arte.

Di Henri Rousseau detto il Doganiere – lavorava al dazio di Parigi – c’è chi ricorda come in vita molti lo considerassero “un goffo imbrattatele della domenica”. Wilhelm Uhde, autore della prima monografia a lui dedicata nel 1911, un anno dopo la morte dell’artista, scrive: «In nessuna commedia, in nessun circo, ho mai sentito ridere come davanti al quadro di Rousseau, Les souverains (I rappresentanti delle potenze straniere)». Ci vorranno Kandinskij e Picasso (e non solo) per spianare la strada alla celebrità venuta dopo e al genio riconosciuto.

Vincent Van Gogh: alla sua leggenda e alla sua fortuna post mortem contribuisce la moglie di suo fratello Theo, Johanna Bonger. La storia è anche al centro di un romanzo di Camilo Sánchez pubblicato qualche tempo fa da Marcos y Marcos. Titolo: La vedova Van Gogh. “Cieli, occhi, corvi, girasoli: dovunque giri lo sguardo, Johanna vede dipinti di Van Gogh. Splendono nel buio, la svegliano all’alba; prima del canto degli uccelli, prima dei rumori di Parigi che riparte. La gente non li capisce, non li ama. Li usa come fondi d’armadio, per tappare i buchi del pollaio…”. Van Gogh muore e con lui se ne va il fratello Theo. Johanna torna in Olanda, apre una locanda in campagna, fa arrivare da Parigi i quadri di Vincent. Dal soffitto al pavimento, li appende in ogni stanza. La prima mostra all’Aia. Poi il vento cambia direzione…

L’italiano Amedeo Modigliani soprannominato il bel Modì, era nato a Livorno il 12 luglio del 1884. Morirà a Parigi il 24 gennaio del 1920. Su Le Figaro André Warnod scrive: «Furono magnifiche esequie, a cui presenziarono Montparnasse e Montmartre: pittori, scultori, poeti e modelli. Il loro straordinario corteo scortava il carro funebre coperto di fiori. Al suo passaggio, a tutti gli incroci, gli agenti della polizia si mettevano sull’attenti e facevano il saluto militare. Modigliani salutato proprio da coloro che l’avevano tanto spesso ingiuriato! Che rivincita!». Oggi, Modì è considerato tra i più grandi artisti del XX secolo e le sue opere sono esposte nei più importanti musei del mondo. E si potrebbe continuare…

Non solo artisti, scrittori e musicisti però!

Antonio De Curtis, in arte Totò non è stato sempre capito e idolatrato. «Quando sarò morto e non più scomodo per nessuno, daranno la stura ai paroloni… affermeranno che se non me ne fossi andato mi avrebbero visto giusto per questo o quel personaggio», diceva e aveva ragione. Il Principe della risata in vita fu spesso stroncato da critici cinematografici a lui contemporanei per poi essere rivalutato dopo la morte. A cominciare dagli anni Settanta. Nella riscoperta di Totò, un ruolo lo avranno pure le piccole televisioni private che proiettando “a ciclo continuo” i suoi film diventano una sorta di canale postumo di diffusione in grado di intercettare più generazioni di ammiratori di Totò.

Nel tempo le sue battute, la sua ironia, le sue facce, il suo modo unico di prendersi la scena e fare le pulci agli uomini e alla vita diventano un patrimonio di tutti. Da qui all’eternità! Perché, se è vero che “a morte … è  una livella”, ai talenti può però capitare di conquistare la gloria persino dopo la fine.

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