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Il grande dilemma del viandante

Esce questa settimana in libreria per Rubbettino “I dubbi del viandante”, una sorta di diario filosofico e spirituale che ripercorre i principali temi di ricerca e di investigazione del filosofo. Anticipiamo ampi stralcio del capitolo dedicato alla metafisica.

«La scelta fra l’esistenza e l’inesistenza di Dio – ha scritto Luigi Pareyson – è un atto esistenziale di accettazione o ripudio, in cui il singolo uomo decide a suo rischio se per lui la vita ha un senso oppure è assurda, giacché a questa opzione si riduce in fondo e senza residuo quel dilemma. Tale opzione è eminentemente religiosa, anche quando si risolva in senso negativo, perché il ripudio di Dio è così strettamente legato all’accoglimento che in alternativa si può farne, che ne conserva sempre un’inconsapevole nostalgia. La filosofia, poi, in quanto sopravviene a scelta già fatta, non ha più voce in capitolo, non certo per affermare l’esistenza di Dio, ma nemmeno per negarla, perché anche il ripudio di Dio non è frutto d’un ragionamento, ma atto profondo e originario della persona. D’altra parte, la filosofia non ha il compito di dimostrare l’esistenza di Dio, perché essa non estende la conoscenza a nuovi ambiti di realtà, ma riflette su esperienze esistenziali: il suo compito non è dimostrativo, ma ermeneutico».

E va da sé che il credente che non ha dubbi non ha fede. Hanno dubitato gli Apostoli. La «notte dell’anima» è esperienza di grandi anime mistiche. «L’uomo religioso – è ancora Pareyson a parlare – può capire il dubbio, che non è se non il risvolto della sua fede, un aspetto essenziale di essa o un suo momento interno, giacché la fede è ben lungi dall’essere un possesso tranquillo, sicuro e incontrastato, favorito dalla tradizione e ribadito dall’abitudine, ché anzi spesso è lotta durissima e tensione lancinante, appena lenita dalla consapevolezza ch’essa è cosa vivente e vivificatrice, bastevole a ispirare e riempire una vita intera». Dunque, se non hai dubbi non hai fede. Ma l’ateo troppo sicuro di sé usa o abusa della ragione? Quale prova è disponibile per poter sostenere che il tutto-della-realtà è rigorosamente e convincentemente riducibile a quella realtà di cui parla e può parlare la scienza? L’ateismo non è una teoria scientifica. E non è certamente la scienza, finché la ricerca rimane nel suo legittimo ambito di azione, a negare la possibilità di una realtà trascendente. E c’è di più. Difatti, se la fede conduce al mistero di un Dio creatore, l’ateo non si trova pure lui di fronte al fatto misterioso di un grumo di materia originario da cui si è sviluppata e si sviluppa la storia dell’universo? Questo grumo di materia si è autocreato?

La fisica sposta la «grande domanda» – la domanda metafisica – non la elimina. Così come non la elimina, anzi la genera, la teoria dell’evoluzione della vita. Nessuno può negare che la scienza – con le sue domande e le sue risposte e la sua storia – non abbia alcun valore perché costruita da un essere che avrebbe per antenato una «scimmia». Ma questa «scimmia» rimessa a nuovo, oltre che porsi problemi scientifici, si è posta e seguita a porsi il problema del «senso», del «senso del tutto», un problema eminentemente religioso. E, allora, con quali argomenti lo scientista evoluzionista potrà affermare insensatezza, illusorietà della «richiesta di senso», cioè della domanda religiosa? La realtà è che la teoria evolutiva della vita non solo non cancella il problema religioso, ma lo fa emergere. […] È stato Max Weber ad affermare ne La scienza come professione che «la tensione tra la sfera dei valori della “scienza” e quella della salvezza religiosa è insanabile». Il progresso scientifico – dice Weber – «è una frazione, e senza dubbio la più importante, di quel processo di intellettualizzazione al quale andiamo soggetti da secoli». E tale «progressiva intellettualizzazione e razionalizzazione» sta a significare che «la coscienza o la fede che basta soltanto volere, per potere ogni cosa – in linea di principio – può essere dominata con la ragione. Il che significa il disincantamento del mondo. Non occorre più ricorrere alla magia per dominare o per ingraziarsi gli spiriti come fa il selvaggio per il quale esistono simili potenze. A ciò sopperiscono la ragione e i mezzi tecnici. È soprattutto questo il significato della intellettualizzazione come tale». Insomma: «È il destino dell’epoca nostra, con la sua caratteristica razionalizzazione e intellettualizzazione, e soprattutto col suo disincantamento del mondo, che proprio i valori supremi e sublimi sian divenuti estranei al gran pubblico per rifugiarsi nel regno extramondano della vita mistica o nella fraternità dei rapporti immediati e diretti tra i singoli». In ogni modo, chi decide di entrare nelle braccia delle antiche chiese dovrà compiere, inevitabilmente, «il sacrificio dell’intelletto», come è il caso, per esempio, di ogni teologia «positiva», in cui «il credente giunge al punto dov’è valida la massima agostiniana: “Credo non quod, sed quia absurdum est”». Per Weber, dunque, è quello di un aut-aut il rapporto tra la sfera dei valori della scienza e quella dei valori religiosi. Ma la situazione è proprio questa? Un mondo disincantato dalla scienza, letto cioè dalle teorie scientifiche, è un mondo che implica di necessità la negazione di un Creatore ovvero è un mondo in cui dalla fede del credente vengono strappate via le croste di ataviche superstizioni? Un mondo senza ninfe dietro a una sorgente o senza un irritato Giove che lancia fulmini sugli uomini è davvero un universo in grado di proibire senza appello ogni traccia di Trascendenza? E poi – questione di maggior rilievo – è la scienza che desacralizza il mondo ovvero il mondo, per essere investigato scientificamente, dev’essere un mondo già desacralizzato, disincantato? Ecco, a tal riguardo, la fondamentale proposta di Max Scheler: «Bisogna, innanzi tutto, farla finita con l’errore molto condiviso che la scienza positiva (e il suo movimento progressivo) abbia mai potuto e mai possa, fintanto che essa rimane nei suoi limiti essenziali, torcere un sol capello alla religione. Questa tesi, sia essa sostenuta da credenti o da increduli, è sempre ugualmente falsa». Falsa, per la ragione che «ciò che fa tremare una religione dominante non è mai la scienza, ma l’inaridirsi e il morire della sua fede stessa, del suo ethos vivo […].

I tabù, che le religioni hanno impresso ai più diversi ambiti della conoscenza umana, dichiarando le rispettive cose come “sacre” e come “articoli di fede”, debbono perdere questo carattere di tabù per motivi religiosi o metafisici propri, e tornare ad essere oggetti di scienza […]». In altri termini, quello che Scheler sostiene è che «unicamente la spinta religiosa verso un’idea di Dio spirituale, meno biomorfica, e come tale più o meno monoteistica […] fa che la religione si elevi al di sopra dei vincoli delle comunità consanguinee e tribali, spiritualizzi e devitalizzi l’idea di Dio e renda libera poi in maniera crescente, perché la si investighi scientificamente, la natura raffreddata, per dirla così, nel suo carattere religioso e diventata relativamente oggettiva e “morta” o la parte della natura raffreddata in questo carattere religioso. Chi considera le stelle come divinità visibili, non è ancora maturo per una astronomia scientifica. […] Il monoteismo creazionistico giudaico-cristiano e la sua vittoria sulla religione e sulla metafisica del mondo antico fu senza dubbio la prima fondamentale possibilità per porre in libertà la ricerca sistemica della natura […]».

Non è la scienza che dissacra il mondo. La scienza purifica la fede dalle incrostazioni della superstizione e, finché rimane ricerca scientifica, non nega né afferma lo spazio della Trascendenza. E, in ogni caso, per poter essere investigato scientificamente, il mondo deve essere già dissacrato. E il mondo che non è Dio, che non è sacro è il mondo del creazionismo giudaico-cristiano, un mondo non più in- toccabile, ma pronto a essere sì oggetto di osservazione, ma, insieme, a essere manipolato, smontato e, dunque, capito ed eventualmente a essere utilizzato a fini umani.

Il messaggio cristiano è anti-idolatrico: desacralizza il potere politico – Kaysar non è Kyrios; proibisce di trasformare in divinità la ricchezza – non si può servire a due padroni: a Dio e a Mammona; vieta di genuflettersi davanti ad una ragione mascherata da dea-Ragione. E opera la più grande disanimazione, mortificazione e razionalizzazione della natura predisponendola all’indagine scientifica.

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