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Veli, foglie e forbici: la genialità sfregiata

Verboten, prohibited, prohibido, interdit, kinshi, proibido, proibito. In tutte le lingue il verbo che fa rima con  censura è proibire. Proibire e censurare però non sono la stessa cosa. Se la censura è una forma di proibizione non tutte le forme di proibizione sono censure. Per entrambi, però, sembra valere un paradosso: più si copre, più si zittisce, più si vieta e più forte sarà il rumore prodotto. Nell’immediatezza ma anche di là da venire.

Non lascerà indifferenti neanche la mostra di Bologna. A Palazzo Albergati, dal 18 ottobre prossimo apre i battenti “Arte Proibita”. Una mostra potente, forte, che farà pensare e discutere. Il tema è la censura da sempre nella storia dell’arte: dall’antico Egitto ai nostri giorni. E se l’Arte Degenerata ne è stato uno degli esempi più eclatanti,  il tema ricorre in ogni luogo e in ogni tempo. I motivi? Politici, ma anche religiosi, sociali, sessuali e morali. Attraverso l’esposizione delle opere di grandi artisti internazionali provenienti dal Museu de l’Art Prohibit di Barcellona, ciascuna con la sua storia sconvolgente, nell’esposizione si parlerà di tutto questo. 

La mostra aperta fino al 6 aprile 2026, porrà i visitatori di fronte a domande ritenute necessarie sulla libertà di espressione, sul ruolo degli artisti nella società, ma anche sul ruolo dell’arte come strumento di denuncia e verità. L’esposizione è realizzata da Arthemisia in collaborazione con il Museu de l’Art Prohibit di Barcellona ed è curata da Carles Guerra con la consulenza scientifica di Fabio Isman. In questo ponte virtuale tra la Spagna e l’Italia, il Museo dell’Arte Proibita – dove hanno trovato casa pure creazioni con intenti sociali o opere satiriche come il dipinto di Emiliano Zapata e la statua di Francisco Franco – appare interlocutore privilegiato.

Il Museo fondato dal giornalista e uomo d’affari Tatxo Benet ha messo insieme la prima e unica collezione di arte censurata e proibita al mondo con opere di artisti famosi come Klimt, Goya, Picasso, Warhol e Ai Weiwei e non solo. Una casa-rifugio per opere censurate, vietate, rimosse dai musei, bandite, denunciate, scomode e provocatorie. A meno di due anni dall’apertura avvenuta nell’ottobre 2023, però, arriva la notizia della chiusura del museo. La chiusura ma non la fine. «Benet ha annunciato che la collezione – che comprende anche la Suite 347 (1968) di Pablo Picasso, censurata a Chicago negli anni ’60, e i celebri Caprichos di Goya – prenderà una nuova forma: quella di una mostra itinerante internazionale. ‘L’unico museo al mondo dedicato all’arte censurata chiude, per trasformarsi in una collezione nomade’», si legge su Exibart. Intanto, la mostra bolognese prevede oltre 50 opere provenienti proprio dal museo di Barcellona nato dalla collezione che Benet ha iniziato nel 2018. In attesa di scoprire l’esposizione a Palazzo Albergati, l’occasione si presta per intraprendere un viaggio lungo il crinale del  proibito e della censura. 

È una storia fatta (anche) di foglie di fico, drappeggi, veli, braghe, forbici, cancellature, rimozioni, rifiuti, processi e roghi. Lo scopo? Celare o vietare nudità, irriverenze, blasfemie, rivolte, critiche, sberleffi e satire. L’etimologia delle due parole chiave, proibire e censurare, è l’incipit da cui partire. Proibire dal latino prohibere significa nell’accezione letteraria “tenere avanti” o “impedire”. Censurare deriva dal latino censurare, esprimere un giudizio o valutare . Una parola questa a sua volta collegata a censura (ufficio del censore) e censor (chi esercitava l’ufficio del censore nell’antica Roma). In origine il termine era legato alla magistratura romana che controllava i costumi e la moralità. Nel tempo la censura si è affermata come strumento utilizzato dal potere politico o ecclesiastico, da tribunali, enti e commissioni giudicatrici istituite ad hoc. E non si contano i divieti emanati.

Divieti a doppia faccia: per un verso appaiono come il fazzoletto in bocca agli autori delle opere; per l’altro come la benda sugli occhi di chi vorrebbe, invece, fruirne. A seconda dei luoghi e delle epoche, la censura colpisce l’arte, la letteratura, il cinema, i testi musicati e l’ingegno ma anche le idee e la libertà di espressione. 

Tra le opere d’arte più celebri e censurate non mancano i capolavori. Anzi. Adamo ed Eva protagonisti de La cacciata dei progenitori dall’Eden di Masaccio furono “vestiti” con un drappeggio di foglie che ne copriva le sconvenienti nudità, rimosso durante il restauro tra il 1984 e il 1990. Alla morte di Michelangelo, invece, Daniele da Volterra fu incaricato da Papa Giulio III di coprire le parti nude del Giudizio Universale con le famose “braghe” guadagnandosi il soprannome eterno di Braghettone. Per entrambi i capolavori le “vergogne”, così si era soliti chiamare le parti genitali, andavano coperte. Nell’elenco delle opere scandalose anche la Maja Desnuda di Francisco Goya, la Colazione sull’erba e l’ Olympia di Eduard Manet e soprattutto L’origine del mondo di Gustave Courbet. Sulla Desnuda il discorso sarebbe lungo, basti qui ricordare che il 16 marzo del 1815 la Camera Segreta dell’Inquisizione convocò Goya per un interrogatorio sull’opera. 

Non si conoscono le risposte dell’artista al Tribunale dell’Inquisizione ma si sa che il pittore evitò una condanna grazie al cardinale Luigi Maria di Borbone-Spagna. La Desnuda, però, fu comunque sequestrata perché «oscena» e cancellata alla vista di chiunque fino all’inizio del XX secolo. Conosciuta è pure la vicenda di Colazione sull’erba di Manet. Nel 1863 la giuria del Salon di Parigi rifiuta oltre 3mila quadri. Fra questi il dipinto di Manet. A far gridare allo scandalo la ragazza ritratta nuda sull’erba: non una divinità o un soggetto allegorico e mitologico, ma una bellissima donna svestita in compagnia di due uomini in abiti borghesi. Dietro: una seconda donna in sottoveste… In seguito alle proteste, Napoleone III organizza un’esposizione parallela che consente a Manet e agli altri rifiutati, fra i quali anche Monet e Pissarro, di esporre le loro opere.

E veniamo all’opera di Gustave Courbet L’origine del mondo. Definita l’opera più scandalosa del XIX secolo è una una tela di circa 46×55 centimetri con la vulva in primo piano e senza filtri. Il quadro datato 1866 che ha fatto parte anche della raccolta dello psicanalista Jacques Lacan, è rimasto pressoché inaccessibile al grande pubblico fino al 1995, quando è stato esposto al Musée D’Orsay dove ancora oggi si trova. Capita pure che ad essere censurate non siano solo le opere ma i manifesti pubblicitari che le riproducono. È il caso del pittore austriaco Egon Schiele. Nel 2018, l’ente del turismo di Vienna decide di realizzare alcuni manifesti dedicati all’artista da affiggere nelle varie capitali fra le quali Londra.

Un omaggio al pittore nel centenario dalla scomparsa con Nudo maschile seduto e Ragazza con calze arancioni. La campagna però non viene apprezzata e i manifesti esposti nella metro londinese vengono rifiutati dall’azienda di trasporti, anche nella versione con i genitali pixellati. Vienna corre ai ripari. Fa una contromossa provocatoria e decide di utilizzare la censura a proprio vantaggio. Come? Le parti intime delle due opere di Schiele riprodotte sui manifesti vengono censurate da banner con sopra scritto: “Sorry, 100 years old but still daring today”. Tradotto: “Scusate, hanno cento anni ma sono ancora troppo audaci”. L’elenco delle opere censurate nel tempo sarebbe davvero lungo e siccome la censura non conosce epoca anche gli esempi più recenti non mancano. 

È il caso della “Grande Sirena” del Forte di Dragør ritenuta “brutta e pornografica” . Ha tenuto banco quest’estate la decisione dell’Agenzia danese per la Cultura di rimuovere l’opera ad dove era stata collocata. Altra opera altra censura: The Virgin Mother (Madre Vergine) di Damien Hirst. Si tratta di una scultura concettuale alta circa 10 metri e raffigura una donna incinta. La figura in posa come una ballerina di Degas mostra l’interno del corpo e il feto. Collocata nel giardino del collezionista Aby Rosen, a Old Westbury, nello stato di New York è stata spostata per via delle proteste. C’è chi racconta come i vicini di casa del collezionista abbiano persino coperto le pubenda (dal verbo pudere, vergognarsi) della scultura e il feto con foglie di fico.

Morale della favola: l’opera è stata spostata, girata, interrata in modo da emergere solo per otto metri e mai illuminata artificialmente di notte. Rosen a quanto pare ha accettato pure di piantare siepi e sempreverdi a protezione della Vergine di Hirst dalla vista del pubblico anche d’inverno, quando gli alberi non hanno foglie. Un caso  di censura  questa volta annullata, ci fa tornare in Italia. Accade a Roma. Nella Capitale la Statua della Carità, scolpita dal Bernini nel sepolcro di Papa Urbano VIII a San Pietro, è tornata ad avere il seno scoperto come in origine. Eliminato il velo di gesso che, nel 1850, aveva coperto il petto della statua a dispetto dell’iconografia che la raffigura come una donna che allatta.

Il catalogo dei libri censurati di ieri e di oggi sarebbe lunghissimo. Qualche esempio dà la misura di come la cesoia del proibito colpisca anche là dove non te lo aspetti. A cominciare dal celebre Indice voluto da papa Paolo IV nel 1559. A finire nelle forche caudine opere come l’Elogio della follia di Erasmo da Rotterdam, il Decamerone di Boccaccio e Il Principe di Machiavelli. Index librorum prohibitorum a parte, la censura non conosce l’usura del tempo. Un libro osceno. Questa è l’etichetta che L’amante di Lady Chatterley ha subito nel 1959. Il volume di D.H. Lawrence è stato perseguitato per ben 32 anni prima di vedere la sua pubblicazione negli anni Sessanta. Il lessico ha causato problemi a Uomini e topi  di John Steinbeck, proibito prima in Irlanda e poi in molti altri Paesi, in alcuni addirittura fino al 2007. Il giovane Holden di J.D. Salinger è stato abolito dalle scuole diverse volte. L’Ulisse di Joyce rientra tra i libri proibiti negli Stati Uniti e in Inghilterra. Anche se ambientato a Dublino, il romanzo non venne mai bandito dall’Irlanda, pare però fosse impossibile trovarne una copia in tutto il Paese. L’amata Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll fu censurata in Cina nel 1931 su ordine del generale Ho Chien, a capo della Commissione Censura. Da non credere, anche J. K. Rowling e il suo Harry Potter sono finiti sotto la scure censoria, questa volta negli Emirati Arabi. 

E se, invece, ad essere censurato è un libro che parla di censura? È capitato a Fahrenheit 451 di Ray Bradbury: prima bandito e poi censurato nel 1953. Nel catalogo non mancano Cigni selvatici di Jung Chang (proibito in Cina) e Il codice Da Vinci di Dan Brown (censurato in Libano) o Il buio oltre la siepe di Harper Lee su cui la censura è intervenuta nel 2004, nel 2006 e nel 2007. Nel 2009 il testo è stato addirittura bandito da una scuola canadese. E c’è pure Il racconto dell’ancella di Margaret Atwood. Contestato e proibito nelle scuole al punto che la scrittrice ha messo all’asta un’edizione “non infiammabile” del suo romanzo più famoso. Il ricavato è stato destinato a sostegno di battaglie in difesa della libertà di parola. 

Dalle maglie censorie non scappa neppure il Melodramma, vanto italiano nel mondo. Succede così per la Tosca di Puccini, in cui il verso “Le belle forme disciogliea dai veli” fu modificato in “Le belle chiome” per evitare allusioni ritenute oscene. Una quisquiglia che fa sorridere più che arrossire al cospetto di quello che circola oggi sui social (e non solo). E per finire il cinema. Basta un solo titolo: Ultimo tango a Parigi di Bernardo Bertolucci con Maria Schneider e Marlon Brando. Uscito in sala nel 1972, il film fu sequestrato poco dopo per “esasperato pansessualismo fine a se stesso”. Quattro anni dopo in seguito a un processo, una sentenza della Corte di Cassazione decreta la distruzione di tutte le copie del film, negativi compresi. Bruciate. Messe al rogo come streghe medioevali. Ne vengono salvate tre in custodia alla Cineteca nazionale come “corpo del reato”. La “riabilitazione” del film arriverà solo nel 1987. Il rumore, invece, continuerà! 

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