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Zelensky, quattro anni di guerra: il leader inatteso che ferma la caduta di Kiev

Durante quasi quattro anni dallo scoppio della guerra, la sua leadership si è rivelata molto spesso decisiva

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Il prossimo 24 febbraio saranno esattamente quattro anni dallo scoppio della guerra in Ucraina, 1460 giorni di devastazione interrotti solo brevemente dalle occasionali tregue pasquali. Appena un mese prima, il 25 gennaio, Volodymyr Zelensky compirà il suo 48esimo compleanno, il terzo dall’inizio delle ostilità.

Probabilmente un’eternità per il diretto interessato, ma il tempo interminabile speso sopra la breccia aperta quasi quattro anni fa dai carri armati russi è solo un promemoria dell’eternità di cui vivranno d’ora in poi questi momenti nella memoria degli ucraini. Zelensky farà parte senza dubbio di quello che si candida a essere il mito fondativo dell’Ucraina futura, anche se non si sa ancora in che ruolo.

Probabilmente un’eternità per il diretto interessato, ma il tempo interminabile speso sopra la breccia aperta quasi quattro anni fa dai carri armati russi è solo un promemoria dell’eternità di cui vivranno d’ora in poi questi momenti nella memoria degli ucraini. Zelensky farà parte senza dubbio di quello che si candida a essere il mito fondativo dell’Ucraina futura, anche se non si sa ancora in che ruolo.

Biografia di un presidente

Nato a Kryvyi Rih, padre ebreo e nonno veterano dell’Armata Rossa, Zelensky cresce nell’Ucraina post-comunista. Una nazione che non sa di esserlo e litiga anche sulla lingua da parlare, un’economia piegata dalle privatizzazioni selvagge e dal dissesto sociale. Prospettive per i giovani? Poche.

A sedici anni vince un bando per andare all’estero, a studiare in Israele e poi, chissà, nel magico e promettendo Occidente, ma il padre non glielo permette. Forse quella sera padre e figlio alzarono la voce, come in molte storie di giovani che fuggono dalla patria alla ricerca di un futuro, ma quella notte l’Ucraina guadagnò molto di più che un cervello.

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Un anno dopo, seppur giovanissimo, iniziò a muovere i primi passi nel mondo della televisione e della comicità, il tema che lo rese conosciuto e popolare tra gli ucraini e anche – per molto tempo – tra i russi, presso i quali arrivavano via etere le sue battute. perché il giovane comico parla in russo e porta con sé l’esperienza di una nazione culturalmente variegata.

Anche per questo nel 2014, dopo la rivoluzione di Euromaidan, pur sostenuta genuinamente, si schierò contro il divieto degli artisti russi imposto dalle nuove autorità rivoluzionarie ucraine dopo l’annessione della Crimea da parte di Mosca. Sembra un’altra epoca e in effetti lo è. Cinque anni dopo Zelensky si candida alla presidenza del suo Paese.

Un profetico ruolo in Tv

È diventato popolarissimo grazie alla serie Tv “Servitore del popolo” in cui un cittadino qualunque viene eletto presidente dell’Ucraina e cerca di ripulirla dalla corruzione e dal malaffare.

La stampa lo paragona a Beppe Grillo, in una scena della serie fantastica persino di sparare con un mitra contro i politicanti di Kiev, ma la sua è anche una candidatura che parla di riconciliazione: cinque anni dopo Maidan, l’elezione dell’oligarca filo-occidentale Poroshenko non ha soddisfatto molte speranze degli ucraini mentre la guerra in Donbass contro i separatisti russi brucia ancora interminabile. Zelensky viene eletto promettendo anche il ritorno ai negoziati con l’odiata Mosca, la chiusura del conflitto latente.

Non ci riuscirà e tre anni dopo i carri armati russi passeranno quella frontiera insanguinata. Inizia in quel momento la prova più difficile per l’ex attore prestato alla politica.

Doti, quelle teatrali, spesso derise dai suoi avversari e utilizzate per squalificarlo al rango di un commediante o, peggio, un impostore senza arte né parte. Ma laddove altri vi hanno visto una debolezza Zelensky vi ha visto un punto di forza. Per un uomo abituato a calarsi nelle parti altrui è stata l’occasione per interpretare un ruolo per cui lui – come nessun altro – avrebbe potuto essere preparato: quello del presidente in guerra.

Il presidente in guerra

Una parte che ha dovuto imparare lui stesso in prima persona, a cominciare dalla vita di ogni giorno: chiunque lo conosca sa che il presidente ucraino continua in privato a parlare russo, la sua lingua madre, ma in pubblico ogni suo discorso avviene rigorosamente in ucraino. Non è finzione, è interpretazione: egli rappresenta l’Ucraina in guerra e come tale è chiamato a muoversi. «La lotta è qui: ho bisogno di munizioni, non di un passaggio», disse con un tocco da battuta hollywoodiana all’ambasciatore britannico che, nelle ore concitate dell’attacco russo, gli propose di essere evacuato dalla capitale ucraina.

A lui si devono molte scelte decisive

Paracadutisti russi stavano calando sugli aeroporti attorno a Kiev, mentre commando di sabotatori infiltrati oltre le linee prendevano le armi nelle vie della capitale per decapitarne il governo.

La fuga del presidente avrebbe potuto benissimo innescare il crollo della resistenza ucraina, invece Zelensky decise subito di restare e quella sera stessa uscì dal palazzo presidenziale per fare all’aperto il primo di molti video – la semplice maglietta verde militare, il saluto “Gloria all’Ucraina, gloria agli eroi!” – che sarebbero divenuti tanto iconici. A lui si devono molte scelte decisive, come quella di distribuire tempestivamente le armi alla popolazione civile pochi giorni prima dell’invasione, cosa che permise una resistenza organizzata e diffusa contro gli aggressori.

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I problemi con la corruzione

Durante i mesi di dura lotta, non sono mancate le ombre. La decisione di rimuovere il popolare generale Valerij Zaluzhny e di continuare l’inutile battaglia di Bakhmut. Le leggi speciali contro la chiesa ortodossa e i partiti filo-russi. L’annullamento delle elezioni previste per il 2024.

I problemi con la corruzione. Ma se ha sbagliato Zelensky lo ha fatto perché ha effettivamente governato il suo Paese, affondando le mani nel fango e nel sangue dei suoi concittadini. Un politico americano una volta cinicamente disse che «se sai stare di fronte a una telecamera, puoi governare qualunque paese». Dopo quasi quattro anni però, una cosa è certa: la guerra non è una serie Tv e non basta avere una faccia telegenica e la battuta pronta per poter decidere i destini di un popolo.

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