Home / Mondo / Paesi sicuri e rimpatri, De Vita: «Albania potrà essere un hub europeo»

Paesi sicuri e rimpatri, De Vita: «Albania potrà essere un hub europeo»

L’avvocato della Corte penale internazionale commenta il via libera del consiglio Ue a rimpatri veloci e lista dei Paesi sicuri

di

Via libera del Consiglio Ue alla stretta sull’immigrazione: lista dei Paesi sicuri e rimpatri più rapidi. Ora la palla passa al Parlamento dell’Unione. Cosa cambia in concreto nella politica migratoria europea e dei Paesi membri? Lo chiediamo a Roberto De Vita, avvocato presso la Corte penale internazionale.

Che tipo di decisione è quella del Consiglio Ue? Sarà immediatamente applicabile?

«Ci troviamo di fronte a un accordo tra paesi Ue su una proposta di regolamento. Ancora non abbiamo un testo che entra in vigore, siamo nella fase della formazione di un atto normativo. Poi dovrà esserci la fase di confronto con il parlamento europeo. In questa fase non si formano norme che possano entrare nelle decisioni giurisdizionali». (In foto Roberto De Vita)

È comunque un passo avanti nella definizione dei Paesi sicuri e nell’efficacia dei rimpatri?

«Sicuramente, ed è senz’altro una decisione sintonica con le posizioni del governo italiano».

Se si dovesse procedere in questa direzione sarà più facile far funzionare i centri per il rimpatrio in Albania?

«Sì, perché il Paese terzo sicuro potrà essere visto come luogo di smistamento, di trattenimento o di destinazione finale. Quindi, qualora venisse approvata così com’è questa proposta di regolamento, l’Albania sarebbe un Paese terzo sicuro dove stabilire degli hub per le procedure relative al trattenimento in attesa di espulsione o al rimpatrio».

Il fatto che l’Unione stabilisca quali sono i Paesi sicuri costringe i giudici nazionali, chiamati a valutare il singolo caso, al rispetto della norma europea?

«Va sempre distinta la valutazione astratta dall’accertamento in concreto. La normazione europea non mette mai un vincolo assoluto alla libertà del giudice di valutare il caso concreto. Quindi, un Paese può essere definito sicuro in generale ma la posizione di un determinato soggetto può essere valutata non sicura. In quel caso, il giudice avrà sempre lo spazio per decidere sul caso concreto».

Quindi cambia poco rispetto a prima?

«Questa proposta di regolamento dà dei criteri per chiarire meglio quando un Paese può essere definito sicuro, sia attraverso un elenco diretto, sia dando agli Stati la possibilità di fare una valutazione ed anche accordi diretti con Paesi terzi. Quello che il giudice non potrà più fare è stabilire in astratto che un Paese non è sicuro. Voglio dire, se l’Ue dice che l’Egitto è un Paese sicuro, il giudice non potrà dire che siccome in Egitto è stato ucciso Regeni allora non è un Paese sicuro. Perché quello è un aspetto che è già stato valutato dall’Ue».

Però rimane aperta la possibilità di contenziosi giudiziari.

«Tutte le volte che una legge europea stabilisce principi o regole molto nette, bilancia sempre con il principio del ricorso effettivo al giudice. In concreto, se anche io provengo da un Paese definito sicuro, non per questo posso essere rimpatriato senza un accertamento giudiziario. Se sono in grado di portare elementi che evidenziano un rischio specifico per la salvaguardia dei miei diritti fondamentali, non basta la definizione in astratto di Paese sicuro».

In concreto quali possono essere casi di questo tipo?

«Supponiamo che il giudice debba entrare nel merito del caso di un cittadino egiziano, sindacalista socialista, venuto in Italia, e che un eventuale suo rimpatrio può esporlo al rischio di persecuzioni anche in quel Paese stabilito sicuro che è l’Egitto: il giudice può dire no al rimpatrio. In quel caso viene definito “non sicuro” non il Paese, ma il rimpatrio di quel soggetto».

Altri esempi?

«Un esempio non attinente a questa materia ma che serve per comprendere riguarda la possibilità che tra Paesi dell’Unione Europea dove vi è certezza del rispetto dei diritti fondamentali, il giudice puó comunque fare valutazioni autonome nel caso concreto: ci sono brigatisti rossi, condannati dalle autorità italiane in tutti i gradi di giudizio, che vivono liberamente in Francia e non vengono estradati perché la Francia ritiene che ci sia il rischio di una persecuzione. In quel caso l’Italia non è considerato un Paese sicuro per quei soggetti».

Il via libera del Consiglio può comunque essere considerato un primo passo verso una gestione europea dell’immigrazione?

«Direi di sì: gli Stati membri tendono ad autonomizzare le decisioni di natura normativa e giudiziaria e l’Ue sta cercando di trovare un bilanciamento tra i suoi principi fondamentali e le istanze protettive dei singoli Stati rispetto all’assorbimento dei migranti».

LEGGI De Vita: “Corte come Consulta, valuta la compatibilità fra leggi e principi Ue”

Quali sono gli elementi più innovativi di questo nuovo regolamento?

«I passaggi più significativi di questa decisione sono cinque: 1) la possibilità di istituire hub in altri Paesi (come quelli in Albania); 2) il fatto che la definizione generale di Paese sicuro non può essere rimessa al giudice; 3) il fatto che si stabilisce l’obbligo del mutuo riconoscimento delle decisioni in materia tra i vari Stati (se arriva in Italia una persona con provvedimento di rimpatrio tedesco, l’Italia lo esegue senza rifare la valutazione); 4) viene previsto l’ordine europeo di rimpatrio; 5) vengono previsti una pluralità di strumenti per garantire l’effettività dei rimpatri. Insomma, si tende a spostare la questione dei rimpatri dal tema astratto della sicurezza a quello concreto delle condizioni».

È stato raggiunto l’accordo per il 2026 in materia di strategie per i Paesi sotto pressione migratoria. Come lo valuta?

«È importantissimo, perché ci sono Paesi che vengono esplicitamente riconosciuti come oggetto di pressione migratoria e tra questi c’è l’Italia. Questo è coerente con quanto il governo italiano ha più volte lamentato, cioè il riconoscimento di una condizione specifica del nostro Paese. L’Europa sta modificando strumenti che prima erano improntati a un principio generale di accoglienza che oggi molti Stati membri vogliono rivalutare».

Tag:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

EDICOLA