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Da Evola a Jünger, quel bosco di libri dove la sinistra non vuol passare

Continuano le polemiche dopo l’appello per escludere dal festival “Più libri più liberi” l’editore Passaggio al bosco. il caso degli autori “proibiti” riaccende lo scontro culturale nelle fiere. Ma chi di questi fa paura a sinistra?

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Chissà, forse è solo una questione di fascino per un universo culturale che non capiscono o, peggio, non conoscono. Il problema nasce quando quando le contraddizioni della cultura che si vuole progressista si avvitano in una spirale censoria e moralista.

L’ho capito nel febbraio del 2018, quando, discutendo una tesi sulla filosofia di Julius Evola, una nota e affermata filosofa progressista (oggi pro Pal in prima linea) che presiedeva la seduta di laurea, la chiuse esclamando: «Le conseguenze di questa ricerca possono essere penali».

Almeno, in quel caso, la repulsione e il fastidio si inserivano in una cornice di ironia. Furio Jesi, insigne studioso del mito, traduttore di Bachofen e Canetti, definì Evola «un razzista così sporco che ripugna toccarlo con le dita». Ma Jesi quegli autori, quelli che oggi fanno gridare allo scandalo perché presenti nel catalogo di “Passaggio al bosco”, li conosceva, li leggeva e non ne nascondeva il fascino. Non risultano invece studi rigorosi di Zerocalcare sulla cultura di destra né conferenze accademiche di Tomaso Montanari e Christian Raimo sulla rivoluzione conservatrice.

Il fronte che si spacca

A contare è l’appello, la testimonianza, la presa di posizione in quanto tale più che le motivazioni che le soggiacciono. Tanto che lo stesso fronte si spacca: Raimo dichiara che parteciperà, che sono i nazisti a dover fare un passo indietro. Zerocalcare si chiama fuori e ne guadagna la prima pagina di Repubblica. Stupisce che Montanari, fresco di pamphlet sulla “libera università”, non si affanni a reclamare la stessa libertà per fiere e festival librari.

«Meno libri meno liberi»

«Meno libri meno liberi» potrebbe essere lo slogan di costoro, ci dice Gianfranco de Turris, il giornalista-scrittore a cui Evola consegnò la propria eredità culturale.

De Turris è abituato a muoversi tra le case editrici di “area” e tempo fa trovò nelle edizioni Mediterranee un porto sicuro per ripubblicare i testi di Evola corredandoli di apparati scientifici, prefazioni firmate da accademici di vaglia e bibliografie, tanto da attrarre su di sé le critiche degli “evolomani”, i lettori acritici e ideologici.

«Evola è l’ultimo tabù per la cultura ufficiale italiana, nonostante i grandi passi in avanti che sono stati fatti». Ma torniamo alla polemica sul festival:

«Credo che coloro che hanno protestato non abbiano paura delle idee degli altri, ma delle proprie. Le ritengono non in grado di resistere all’opinione di un editore di estrema destra».

Il caso di Roma non è una novità assoluta

Il caso di Roma non è una novità assoluta. Nel 2019 sollevò un clamore simile la presenza, al Salone del Libro di Torino, di Altaforte, casa editrice legata a Casapound e, in quel caso, esclusa dalla kermesse. «Ma se esistono questi editori, vuol dire che non commettono reati. Non fanno apologia di fascismo». Soprattutto, la contestazione si rivolge al catalogo, agli autori pubblicati, e de Turris sa bene che, se non esistessero case editrici marginali, nessuno li pubblicherebbe.

«Tra i firmatari dell’appello ci sono persone già note per queste posizioni, quindi c’è poco di cui stupirsi». In realtà, qualcosa di cui stupirsi c’è: tra i firmatari spicca il nome di uno studioso serio come Carlo Ginzburg. «In altre occasioni non si è comportato così, sarà stato tirato in mezzo in qualche modo…».

 Intanto arrivano notizie dal primo giorno di fiera: pare che lo stand di “Passaggio al Bosco” sia stato preso d’assalto. Non da facinorosi antifascisti, ma da partecipanti al festival intenzionati ad acquistarne i libri. 

Censure di ieri e di oggi

Facile interpellare il curatore dell’opera omnia di Julius Evola (nella foto accanto), si dirà. Contattiamo allora un accademico, filosofo, che Evola ha contribuito a sdoganarlo: «Mi sembra una presa di posizione surreale: io, da studioso, voglio poter leggere qualsiasi autore». Ma Massimo Donà, oltre che filosofo, è musicista jazz e proprio sul jazz Evola ha scritto pagine controverse: da un lato, nel suo ritmo sincopato, nei movimenti che stimola, vede il contributo alla liberazione del corpo, dall’altro vi riconosce poco più che musica “negroide”.

«Ma non possiamo tornare alla censura, quella che durante il fascismo portava a stravolgere i nomi dei jazzisti perché erano nomi inglesi; così Louis Armstrong veniva ribattezzato Luigi Braccioforte. La censura è un metodo autoritario che limita in modo intollerabile la libertà di espressione e di pubblicazione».

Nel catalogo di “Passaggio al Bosco”

Evola pars pro toto, quindi. Nel catalogo di “Passaggio al Bosco” di Evola c’è però solo una silloge di scritti dedicati a Ernst Jünger, dal cui Trattato del ribelle la casa editrice prende il nome. Ecco, Jünger è un altro autore pericoloso, anche se Adelphi ha contribuito a urbanizzarlo, come del resto ha fatto con Schmitt, Guenon, Coomaraswamy e, in testa a tutti, con Nietzsche.

Magari ci fosse solo Jünger: le ombre provengono soprattutto da un testo di Armin Mohler, La rivoluzione conservatrice. «Mi hanno battuto sul tempo, anch’io avevo in progetto una nuova edizione di quel libro». A confessarlo è di nuovo uno studioso, questa volta un germanista della Sapienza, Gabriele Guerra, presidente dell’associazione italiana Walter Benjamin, autore di tutt’altra atmosfera politica rispetto a quelli citati.

«Penso che la loro edizione di Mohler sia meritoria: sono 830 pagine, hanno tradotto tutti gli apparati bibliografici. Questa traduzione italiana si annuncia migliore della precedente, che era pessima». Era quella di un vecchio editore legato alla Nuova Destra di Marco Tarchi.

«Parto da un retroterra culturale e politico molto chiaro, non sono affatto “uno di loro”. Ma non ho nessun problema a recarmi nelle librerie di “area” a comprare i libri che mi interessano. Per me è un argomento di studio: come diceva Eco, non è che se uno studia la sifilide, poi vuole a tutti i costi avere la sifilide». A meno che non si stabilisca che certi argomenti non possono proprio essere oggetto di studio. Del resto, la pubblicazione del Mein Kampf in Germania è vietata.

«È un discorso che si dovrebbe affrontare serenamente in Italia, senza contrapposizioni tra chi si dice orgogliosamente nazista e chi, puntando il dito contro i presunti nazisti, ne reclami la censura. In Italia tendiamo a ridurci sempre a Montecchi contro Capuleti».

Franchini: «Difficile dire ‘questo sì e questo no’»

Manca in questa rassegna l’impronta dell’editore: «Non so di preciso che accordi fossero stati presi tra la casa editrice e la fiera “Più libri più liberi”». Sicuramente, quando si partecipa a un festival librario, l’editore firma un contratto, paga uno stand ed è quantomeno inusuale che venga escluso per ragioni ideologiche.

Antonio Franchini, a lungo direttore editoriale di Mondadori, ci dice: «Ho guardato per curiosità il catalogo di “Passaggio al Bosco”. Tra gli autori maledetti e condannati che appartengono al Pantheon di una certa destra ci sono alcuni tra i più grandi scrittori del Novecento. Difficile dire “questo sì e questo no”». Senza che noi gli suggeriamo alcun nome, è lo stesso Franchini a chiudere il cerchio: «Evola io lo leggo, lo trovo un pensatore estremamente interessante. Certo, su Leon Degrelle avrei qualche dubbio».

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