Praticando il nazionalismo anche con gli istituti di credito, il centrodestra dimentica interessi dei clienti e principi della Costituzione
Come andrà a finire l’inchiesta della Procura milanese sul collocamento del 15 per cento del Monte dei Paschi di Siena (MPS) e poi successivamente sulla scalata a Mediobanca è tutto da vedere, sarà compito della magistratura definire le eventuali responsabilità personali.
E in tutti i casi il dado è tratto; quale che sia la conclusione giudiziaria della vicenda, non si tornerà certo indietro rispetto ai nuovi equilibri azionari che si sono determinati in MPS, in Mediobanca e di riflesso sulle Assicurazioni Generali, dove tramite il controllo su Mediobanca e il pacchetto già in mano al gruppo Caltagirone e a Delfin il peso di questi azionisti sul colosso assicurativo triestino è diventato assai più rilevante.
Il piano economico e politico
Ma se sul piano giudiziario si deve obbligatoriamente tacere, su quello politico ed economico un giudizio si può dare e non è certamente favorevole. Per quello che riguarda l’aspetto politico, siamo evidentemente di nuovo all’”abbiamo una banca” di fassiniana memoria.
Il sistema politico nostrano, indipendentemente dalle collocazioni ideologiche, sembra incapace di resistere alla tentazione di interferire sul funzionamento e lo sviluppo del sistema bancario, alla ricerca di posizioni di potere e di accesso a risorse rilevanti. L’idea che in campo finanziario il settore pubblico dovrebbe limitarsi a svolgere un’azione di regolatore e arbitro imparziale di evoluzioni decise dalle forze di mercato è del tutto estraneo al pedigree intellettuale della maggior parte delle nostre forze politiche. Del resto, lo si è visto anche con l’attuale legge di bilancio, dove infischiandosene di regole tributarie e di possibili effetti reputazionali sui mercati internazionali, il governo, a corto di soldi, ha deciso semplicemente di andare a prenderli dove ci sono, cioè nei bilanci delle banche.
Il sovranismo del centrodestra
A questo riflesso connaturato del mondo politico, la nuova maggioranza di centro-destra ha aggiunto qualcosa in più, il sovranismo, la difesa dell’italianità, di nuovo senza preoccuparsi eccessivamente se questo obiettivo fosse in contrasto con l’interesse dei risparmiatori, la cui tutela è in teoria garantita anche dalla nostra Costituzione. La difesa dell’italianità ha assunto aspetti surreali con l’uso da parte del governo del golden power -uno strumento in teoria immaginato per evitare l’acquisizione da parte di potenze straniere di industrie particolarmente sensibili, come per esempio quelle della difesa – per bloccare il tentativo di acquisizione da parte di una banca italiana, Unicredit, del Banco BPM, il cui principale azionista è Credit Agricole, cioè una banca francese! Un intervento successivamente giudicato insostenibile sul piano giuridico dalla Commissione, ma di nuovo troppo tardi per poter influire sugli sviluppi di mercato. Tant’è che Unicredit ha da tempo ritirato la sua offerta e il destino di Banco BPM rimane ancora imprecisato.
Un vizio non solo italiano
Si dirà che il nazionalismo bancario non è solo un difetto italiano. Mentre la maggior parte degli economisti -si pensi al Rapporto Draghi o a quello Letta– insistono sulla necessità impellente di integrare maggiormente i mercati finanziari e bancari europei per sostenere la crescita e la competitività dell’economia, i governi europei fanno esattamente l’opposto e trincerano il proprio sistema finanziario anche nei confronti dei partner europei. Vedi per esempio le resistenze del governo tedesco ai tentativi della stessa Unicredit di acquisire Commerzbank. Tutto vero, ma almeno per il momento, il governo tedesco si è limitato a qualche dichiarazione negativa da parte di esponenti di livello, non è intervenuto sui meccanismi di mercato con interventi legislativi come ha fatto quello italiano. E in questi settori, la forma è anche sostanza.
Il risiko
Sul piano economico, bisognerà vedere cosa succede ora alla fine di questo risiko bancario, ammesso che sia veramente finito e non ci siano ulteriori sviluppi. Sulla sostanziale fusione tra MPS e Mediobanca gli esperti hanno sollevato parecchie perplessità, per le differenti caratteristiche industriali delle due banche (una banca commerciale la prima, di investimento la seconda, con anche una proiezione diversa sul territorio nazionale) che rendono dubbie le possibilità di generare sinergie importanti.
Su Generali, detto che il nuovo azionariato bloccherà probabilmente l’annunciata joint venture con la francese Natixis, non è chiaro quali saranno le evoluzioni future. Forse tutto si risolverà nella garanzia che Generali continuerà ad acquistare cifre importanti di titoli di stato italiani per le sue riserve.











