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Dall’urbanistica ad Almasri. L’eterna partita tra politica e magistratura

Dalle “toghe rosse” alle “invasioni di campo”. I Pm esondano e ai politici manca equilibrio

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Il conflitto permanente

È ormai un conflitto permanente, quasi fisiologico, quello tra magistratura e politica. Un duello che non conosce tregue, che muta protagonisti ma non la trama: ieri le “toghe rosse”, oggi la “giustizia politicizzata”; ieri i governi sotto assedio, oggi gli esecutivi che accusano le toghe di “invasione di campo”. Un gioco di specchi in cui i ruoli si ribaltano con la stessa rapidità con cui si apre un nuovo fascicolo d’inchiesta. Il campo di battaglia più acceso rimane Milano — la capitale morale del Paese, si diceva un tempo — : la posta in gioco è il fragile equilibrio tra poteri, quello scolpito nella Costituzione come garanzia della democrazia. Garanzie che diventano trincee dietro le quali arroccarsi.

L’elenco è lungo e sullo sfondo resta la riforma della Giustizia, la separazione delle carriere, vissuto come un intervento a gamba tesa, come poco meno di un affronto.

Il caso San Siro

«Abbiamo fatto le cose per bene».

Giuseppe Sala l’ha detto ieri con tono fermo, ma consapevole del peso delle parole. Perché nel momento in cui il sindaco di Milano pronuncia quella frase, il clima politico e giudiziario nel Paese è già incandescente. La procura milanese due giorni fa ha aperto un’inchiesta per turbativa d’asta sulla vendita dello stadio Meazza proprio nel giorno in cui Inter e Milan firmavano il rogito con il Comune. Una coincidenza che, per molti, non è solo questione di calendario.

L’indagine, ancora alle prime battute, arriva in una città già segnata da mesi di tensione.
Dopo l’inchiesta sull’urbanistica che a metà 2025 ha congelato circa 150 cantieri – per un valore complessivo di 12 miliardi di investimenti – Milano si ritrova di nuovo impantanata tra carte giudiziarie e dossier. Famiglie che hanno versato anticipi milionari per appartamenti mai consegnati, imprese in attesa di permessi, una macchina amministrativa che fatica a rimettersi in moto.

La città simbolo dell’efficienza si scopre bloccata, mentre la stagione delle grandi opere – dallo stadio alle Olimpiadi invernali del 2026 – procede a singhiozzo.

Le Olimpiadi invernali

E proprio le Olimpiadi rappresentano l’altro fronte di attrito.

Il 6 novembre il giudice per le indagini preliminari di Milano ha sollevato la questione di legittimità costituzionale sul decreto “Salva-Olimpiadi”, con cui il governo ha trasformato la Fondazione Milano-Cortina in ente di diritto privato, sottraendola al controllo della Corte dei Conti. Il magistrato ha ritenuto che il decreto violi il diritto europeo e incida sulle indagini in corso per corruzione e turbativa d’asta relative agli appalti dei servizi digitali.
Il governo ha reagito con durezza, parlando di “invasione di campo” e difendendo la necessità di garantire la continuità dei lavori in vista dei Giochi. La magistratura, dal canto suo, ha rivendicato la propria autonomia di controllo.

La Corte dei Conti e il Ponte sullo Stretto

Una resa dei conti permanente, dicevamo.

La premier Giorgia Meloni e il ministro dei Trasporti Matteo Salvini avevano già attaccato duramente la Corte dei Conti poche settimane prima, dopo il parere tecnico – 26 rilievi – che metteva in dubbio la sostenibilità economico-finanziaria del Ponte sullo Stretto. Un parere tecnico, ma interpretato come una “bocciatura politica”.
«È un atto politico mascherato da analisi contabile», ha puntato il dito Salvini. «È un dovere istituzionale di verifica», ha replicato la Corte. E così, un giudizio tecnico si è trasformato nell’ennesimo scontro tra poteri dello Stato. LEGGI Ponte sullo Stretto, riunione Palazzo Chigi dopo stop Corte dei conti

Milano bloccata

La storia, in fondo, si ripete.

Chi oggi accusa i magistrati di invadere il campo della politica, fino a ieri ne citava le sentenze come bandiere d’opposizione. Chi invocava la giustizia come contrappeso al potere, oggi la considera un ostacolo all’azione di governo. È il paradosso italiano: il sistema dei pesi e contrappesi, scolpito a caratteri cubitali nella Costituzione, che da garanzia diventa trappola. Una zavorra che scoraggia gli investitori, alimenta la burocrazia e delegittima sia l’azione di governo che i giudici. Milano ne è l’emblema. Una città paralizzata da inchieste e sospetti, simbolo di un’Italia che non riesce a conciliare il principio di legalità con quello di efficienza. Eppure, in questi giorni, lo stesso Sala ha voluto ricordare che «grazie alla sinergia tra Comune, Regione, Governo e Coni i lavori olimpici procedono secondo i tempi previsti». Sinergie che reggeranno fino al prossimo eventuale intervento a gamba tesa della procura. Il confine tra controllo e intralcio resta sottile e sempre più incerto.

In mezzo c’è la Riforma

Nel frattempo, sullo sfondo, si riaccende il dibattito sulla riforma della giustizia, in particolare sulla separazione delle carriere.

L’Associazione nazionale Magistrati la considera un attacco diretto all’autonomia del potere giudiziario; il governo replica che si tratta di una misura per garantire equilibrio e responsabilità. In realtà, lo scontro appare più profondo: non è più tra norme e competenze, ma tra visioni del potere. E c’è anche una dimensione internazionale che aggiunge tensione: il caso di estradizione di Mahmoud Al Swaid, detto Almasri, sospettato di terrorismo, ha riportato il confronto tra esecutivo e magistratura su un terreno delicatissimo. Il governo chiedeva tempi rapidi per l’estradizione; i giudici hanno opposto motivi procedurali e garanzie legali. Il risultato: una figuraccia diplomatica che ha attraversato le cronache di mezza Europa. VIDEOCOMMENTO Come non si racconta la riforma della giustizia

A perdere è la democrazia

La domanda resta la stessa: fino a che punto la magistratura può spingersi nel nome del controllo, senza travalicare nel giudizio morale?

E fino a che punto la politica può riformare senza minare le fondamenta dell’indipendenza dei giudici?
Perché la giustizia non è morale, ma diritto; e la politica non è sentimento, ma responsabilità. Quando le due cose si confondono, la democrazia perde il suo equilibrio. L’Italia sembra così avvitata in una tensione permanente, una coazione a ripetere lo stesso schema. La magistratura vigila, la politica reagisce, i cittadini osservano – e pagano.

Milano resta sospesa tra inchieste e cantieri, tra stadi e decreti, tra Olimpiadi e procedimenti. Un Paese che corre su tre binari paralleli – governo, giustizia, amministrazione – ma senza mai incontrarsi davvero. E allora la domanda diventa inevitabile: quanto può resistere una democrazia in perenne stato di conflitto? Perché se la giustizia si spinge oltre il diritto e la politica oltre la misura, non resta più equilibrio, ma solo attrito. Da questo scontro, che dura da troppo, non ci saranno vincitori.

Solo un’Italia più lenta, più sfiduciata, più divisa. È una verità semplice, scritta tra le righe di ogni fascicolo e di ogni decreto: se i poteri dello Stato smettono di rispettarsi, a perdere non è la politica. È la democrazia.

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