Ci sono dibattiti e polemiche, discussioni, le leggi con i loro codici rossi, i proclami bypartisan, le Giornate internazionali. E poi c’è la realtà
Ci sono le leggi con i loro codici rossi, i proclami bypartisan, le Giornate internazionali e le panchine pure loro rosse, quante panchine rosse sono state inaugurate, praticamente ovunque, dai sindaci impettiti e le scolaresche intorno.
Ci sono dibattiti e polemiche, a volte surreali, più spesso disarmanti. Discussioni speciose, difficili da prendere sul serio, non sia mai passi l’idea di introdurre l’educazione sessuale a scuola, non sia mai a qualcuno sfugga la differenza che c’è (c’è?) tra maschilismo e patriarcato.
E poi c’è la realtà.
La vita vera. Le case con dentro gente che domina e gente che subisce, rapporti tossici, uomini possessivi e violenti, donne confuse, incapaci di reagire. Le urla, la paura. Le coltellate. E le leggi che diventano scatole vuote, i proclami della politica e delle Giornate internazionali che si disintegrano nel cosmo delle parole perdute.
Jessica Stapazzolo Custodio de Lima che denuncia e s’illude che un braccialetto elettronico la terrà al sicuro, ma quell’apparecchio l’energumeno obbligato a tenerlo se lo toglie come si toglie una scarpa o una cintura, e nessun allarme che scatta, nessun poliziotto o carabiniere che riesca a capire quello che sta succedendo. A intervenire per mantenere la promessa.
Pamela Genini che non denuncia, ma si presenta a un pronto soccorso piena di lividi e dice che lui prima o poi la ucciderà: e un anno dopo succede, 32 coltellate e un anno di angoscia e silenzi in cui nessun poliziotto, nessun magistrato, nessun assistente sociale si è fatto venire in mente che forse, denuncia o no, c’era una vita in gioco.
Un rischio da valutare.
Una “notitia criminis” da approfondire. Pare che il numero dei femminicidi, settanta a due mesi dalla fine dell’anno contro i cento e qualcosa del 2024 e del 2023, sia finalmente in diminuzione, in questo Paese così incrostato dei suoi vizi più antichi da non saper distinguere, spesso, tra il bene e il male. È una buona
notizia, ma non significa niente se in meno di due settimane di femminicidi ne dobbiamo contare tre – Luciana Ronchi fra Pamela Genini e Jessica Stropazzolo – e addirittura quattro in un mese, considerando la tragedia di Elisa Polcino uccisa a pietrate dal marito insieme al figlio Cosimo.
Storie troppo diverse l’una dall’altra per trarne un’unica conclusione, piuttosto la conferma di un cancro molto più diffuso di quanto cerchiamo a tutti i costi di credere, in ogni caso un fenomeno troppo sfaccettato e subdolo per pretendere di affrontarlo in un modo che non sia altrettanto “personalizzato”. Quello che fa male, ogni volta che una Giulia, una Pamela, una Luciana cadono per mano dell’uomo che diceva di amarle, non è solo la constatazione del fallimento delle misure messe in campo finora: in realtà queste stesse misure, senza che
noi possiamo neanche immaginarlo, in questo stesso tempo avranno aiutato molte altre donne a liberarsi dall’incubo.
Ci sono centri antiviolenza che a dispetto della carenza di fondi e personale funzionano bene, ci sono “percorsi rosa” negli ospedali e “stanze tutte per sé” nelle caserme e nei commissariati per formalizzare le denunce con maggiore calma. Passi in avanti ne sono stati fatti, sarebbe sbagliato ignorarlo o sottovalutarlo. Ma questo
non può rendere meno dolorosa l’idea che anche Pamela, Giulia e le altre avrebbero potuto salvarsi. O meglio, che avremmo potuto salvarle, perché – come spiega la sociologa Anna Malinconico in un manuale-verità che raccoglie storie che sembrano tratte da film dell’orrore, e che invece sono state croce quotidiana per donne riuscite infine a venirne fuori – nessuna, in questa battaglia, si salva da sola.
Cosa non può può passare come “normale”
Per salvare Pamela, o Jessica, e chissà quante altre, sarebbe bastato accorgerci prima – e intervenire nel modo corretto – del cortocircuito che le ha condannate e che adesso che è tutto finito vediamo con tanta chiarezza. Non può passare come “normale”, come un incidente imprevedibile, il fatto che un braccialetto elettronico, strumento ad altissimo tasso di tecnologia utilizzato per tenere sotto controllo persone che si giudicano pericolose, venga rotto con così tanta facilità da chi ha interesse a liberarsene; non si spiega – e invece sarebbe necessario capire – come questa sorta di evasione non sia stata segnalata da un qualche sistema di allarme, che
avrebbe potuto – diciamo anzi dovuto – portare le forze dell’ordine a intervenire per bloccare l’evaso.

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Il quale – non possiamo ignorarlo – aveva già minacciato di morte l’ex compagna. Di più: l’aveva gettata a terra e trascinata per i capelli sull’asfalto, l’aveva colpita al volto con tre pugni e poi ripetutamente graffiata con la chiave della sua auto. Senza dire che pochi mesi prima aveva anche violentato la sorella di Jessica. Se un uomo così, che aveva compiuto simili reati, potesse aspettare il processo standosene tranquillamente libero, con l’unico “incomodo”del braccialetto elettronico, è un interrogativo su cui speriamo i magistrati troveranno modo di riflettere, tra una polemica e l’altra sulla riforma di quella giustizia di cui alla gente, al Paese reale che vive di
problemi concreti e quotidiane speranze, interessa solo che venga applicata e funzioni.
Che l’assassino di Pamela Genini potesse davvero farla franca dopo il pestaggio di un anno fa solo perché lei non aveva avuto il cuore di denunciarlo, è un altro buco nero che va riempito: su certe lesioni, quando il racconto è
così drammatico, si può agire d’ufficio, specie se avvengono in ambito familiare. O magari si fa di tutto per convincere la vittima ad andare fino in fondo, a difendersi con la denuncia: una voce, qualcuno di cui fidarsi che Pamela non ha trovato. Se davvero si vuole battere questo cancro, se ha un senso lo slogan “non una di meno”, non serve perdersi nelle polemiche e non basta applaudire all’ennesima panchina.
Le donne che non fidano
Bisogna che ogni mossa sia fatta con la massima serietà. E che gli errori, le approssimazioni, le sottovalutazioni vengano riconosciuti e sanzionati. Questo è un patto tra le istituzioni e le donne. Che debbono potersi fidare. Che non meritano, come è successo a Jessica, di scambiare l’illusione di una vita finalmente libera con la verità di una falla che metterà il coltello in mano all’assassino.









