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Occhiuto a valanga in Calabria: per i riformisti nelle urne suona la sveglia

Le elezioni calabre segnano la fine della stagione populiste, l’idea di uno Stato soccorritore non convince più

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Tridico, il Campo largo, i suoi acritici sostenitori hanno perso di brutto. Ma ancora più sconfitta è la stagione populista. Questa tornata elettorale l’archivia senza se e senza ma. Nella Regione più indietro per pil e reddito pro-capite d’Italia, l’idea di uno Stato soccorritore non convince più.

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Il reddito di cittadinanza, le assunzioni pubbliche di massa, i sussidi a larghe mani che il candidato del centrosinistra ha promesso in campagna elettorale non hanno avuto alcun effetto sull’elettorato che aveva fatto fino a pochi anni fa le fortune dei Cinquestelle al Sud, e che stavolta è rimasto a casa, o ha votato dall’altra parte. Dimostrando che i tempi sono cambiati.

L’incertezza internazionale e una moderata fiducia sulla ripartenza del Paese spingono verso chi governa al Centro. Occhiuto ne rappresenta il simbolo più coerente, anche più coraggioso, capace di sfidare, con la sua scelta di dimettersi e ricandidarsi, l’in chiesta giudiziaria e, con essa, ogni tentativo di usare mezzi vecchi in tempi nuovi.

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Pasquale Tridico

Non funziona più, non tanto e non solo il Campo largo, ma anche gli slogan, gli stereotipi di una sinistra che è vecchia e non ce la fa, proprio non ce la fa a fiutare il cambiamento, perché schiava dei tic di una nevrosi cronica.  Il primo: l’uso strumentale dell’azione penale per colpire l’avversario.

Il secondo: l’am bientalismo ideologico che vede, per esempio, una sciagura nel Ponte sullo Stretto. Il terzo: un rigurgito statalista, a cui, in verità, non è immune una parte della destra, che vagheggia la sanità pubblica, la scuola pubblica, e adesso anche l’industria pubblica, e pretende, per esempio, di salvare l’Ilva scaricandola sullo Stato imprenditore. Il quarto: l’idea che la piazza e i suoi slogan siano ancora una suggestiva alternativa al Palazzo, e basti perciò contarsi in due milioni per sentirsi di più dei cinquattotto milioni che restano a casa.

Tridico, per molti calabresi, era calabrese allo stesso modo con cui Sinner è percepito italiano da molti italiani. Le gaffe che ha sciorinato in campagna elettorale hanno aumentato il senso di estraneità che la sua candidatura suscitava. E tuttavia era il più aggregante candidato di un’alleanza che si proponesse di tenere insieme la sinistra. Perché i Cinquestelle l’avrebbero votato, diversamente da come hanno fatto con i candidati del Pd.

E perché anche il Pd lo avrebbe sostenuto, in quanto fautore di politiche sociali e del lavoro consacrate nel referendum della Cgil contro il Jobs act. Il fatto è che questa sintesi soddisfa i due partiti e scontenta la società, che ormai sta altrove, perché per campare e crescere ha capito che deve fare a meno di vecchia politica.

Il riflesso nazionale di questa stagione elettorale, parziale ma non insignificante, è che la destra vince e prolunga la sua luna di miele con l’elettorato perché, al netto di tutte le contraddizioni, gli estremismi, le strumentalizzazioni di cui fa larghissimo uso, si dimostra più concreta, più flessibile, meno ideologica. A Roma come a Catanzaro. È difficile che Elly Schlein capisca la lezione. Più probabile che insista a testa bassa su questa linea, puntando a prendersi la guida di Campania, Puglia e Toscana, per illudersi che un pareggio di tre e tre con il Veneto a destra – basterebbe a legittimarla per la sfida delle elezioni politiche.

Elly Schlein

E tuttavia la sua, prima che una scelta, è un’identità. La segretaria del Pd esprime una leadership che non ha, per contiguità con il populismo pentastellato, e per inadeguatezza strategica, alcuna possibilità di gestire autorevolmente nessuno dei dossier che i tempi mettono nelle mani di chi governa un Paese come il nostro, tanto nella politica estera, quanto nelle policy interne.

Chi si immagina un’alternativa – ogni riferimento alla sindaca di Genova Silvia Salis è puramente esplicito, farebbe bene a ricordare che Renzi, prima di approdare a Palazzo Chigi, girò in lungo e in largo l’Italia da sindaco di Firenze, predicando la rottamazione di D’Alema e dei dalemiani. A restare sottocoperta si rischia di fare la fine dei miglioristi durante la lunga stagione comunista. Sveglia!

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