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Se la Cisgiordania diventa una prigione a cielo aperto

Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare. E quando le cose pericolose si complicano, chi vuol agire con prudenza deve capire che cosa sta esattamente succedendo. La reazione israeliana all’abominevole infamia del 7 ottobre 2023, con quasi due migliaia di morti e la cattura da parte di Hamas di alcune decine di ostaggi israeliani hanno scatenato non già la rappresaglia – le rappresaglie sono secondo il diritto di guerra regolate da leggi – bensì la vendetta d’Israele, con a tutt’oggi almeno 60.000 morti.

Le trattative per la fine di questo macello (non m’interessa se lo si possa o meno definire genocidio) sono iniziate all’indomani dell’assalto palestinese e continuano ancora senza che nessuno a parte i vertici interessati ne sappia nulla di preciso. Ma oggi appare palese, ufficialmente dichiarato, quello che da molto tempo sappiamo tutti: l’attuale governo israeliano (il partito di centrodestra Likud affiancato da alcuni gruppi dell’area sionistico-religiosa) mira a cogliere la tragedia di Gaza come pretesto per un atto irreversibile. Esso consiste nell’impedire formalmente e materialmente che possa mai sorgere in territorio palestinese uno Stato palestinese unitario, secondo il diritto internazionale garantito dalle Nazioni Unite.

Lo scopo ultimo di questo governo è rendere impossibile la vita in Palestina a quei palestinesi che ancora si ostinano a rimanervi impedendo loro la vita normale, il lavoro, la possibilità di spostarsi da un luogo all’altro del Paese. Potranno solo uscirne – “volontariamente”, assicurano con cinismo le autorità israeliane – o restare imbottigliati in una serie di aree non comunicanti tra loro. La Palestina diventa da oggi quello che ormai da anni si avviava ad essere, una prigione a cielo aperto e a celle scollegate tra loro e controllate dall’esercito degli occupanti insieme con le milizie armate dei coloni civili ebrei.

Il ministro delle finanze israeliano Bezalel Smotrich (partito “La Casa Ebraica”, sionista-religioso) ha annunziato in conferenza stampa l’approvazione definitiva del progetto d’insediamento “E1” in Cisgiordania, con 3401 unità abitative adiacenti all’insediamento di Ma’ale Adumim nella Giordania centrale e altre 341 unità nell’insediamento di As’ael presso Hebron nel sud del Paese: tale insediamento era già stato dal governo d’Israele illegittimamente legalizzato dal febbraio del 2023 (però tutti gli insediamenti coloniali in Palestina sono illegali secondo il diritto internazionale). Oggi, in Palestina, i coloni ai quali l’Onu non riconosce il diritto di residenza sono 700.000. Circa l’8% della totale popolazione metropolitana d’Israele, tra ebrei e arabi (i palestinesi dei territori prima del 7 ottobre 2023 erano in tutto più o meno 5 milioni).

Nessun dubbio sulle intenzioni del governo Netanyahu. I cittadini palestinesi verranno da oggi isolati in piccoli gruppi e in aree limitate, senza collegamento fra loro: vivere, lavorare, circolare nel cuore della Cisgiordania, tra Gerusalemme, Ramallah e Betlemme diventerà impossibile: ed era già difficile in quanto i palestinesi vivono ormai soggetti a categorie legislative diverse da luogo a luogo, controllati dalle forze armate e da circa 7000 civili armati, i coloni ebrei illegalmente ma solidamente insediati nell’area. Frattanto il ministro della Difesa Israel Katz ha disposto il richiamo di 60.000 riservisti israeliani ai quali sarà d’ora in poi non si sa per tanto tempo affidato il ruolo non già di soldati, bensì di guardie carcerarie.

Da notare che queste decisioni sono state assunte mentre lavoravano a pieno ritmo i tentativi di mediazione per giungere a una tregua del sud della Palestina (l’area di Gaza, a sua volta isolata dal resto del Paese e controllata dagli israeliani) e alla liberazione degli ostaggi. Ma di ciò, di quella tanto attesa liberazione, ormai non si parla nemmeno più: prima di conquistarsi il diritto a trasformarsi in secondini o magari a tornare a casa, i 60.000 riservisti richiamati da Katz serviranno alla conquista militare di Gaza City. La città, dopo mesi di rovinosi bombardamenti che l’hanno già ridotta a un cumulo di macerie, verrà trasformata per non si sa quanti giorni in una sorta di Stalingrado palestinese.

Comunque, state allegri. C’è la bella verità che il ministro Smotrich è un signore dotato di un bel senso di humour: magari un tantino macabro, come quando facetamente parla delle decisioni del suo governo come di altrettanti “chiodi sulla bara” dell’ormai defunto progetto di Stato unitario palestinese. Come se ormai non ce ne fossero già abbastanza, da quelle parti, di chiodi e di bare. Ma Smotrich è uno che non sa frenare la sua allegria. Già da tempo, alludendo ai provvedimenti che ora sono diventati realtà, aveva dichiarato che entro poco tempo “gli ipocriti governi occidentali” che aspettano di riconoscere lo Stato palestinese non avrebbero avuto più nulla da riconoscere.

Certo, le proteste che si sono innalzate al cielo sono state molte e durissime. In Israele, in Palestina, da noi. L’organizzazione Peace Now ha dichiarato che lo scopo del governo Netanyahu è sabotare le risoluzioni di pace: intelligente osservazione. Quando, giorni fa, Emmanuel Macron annunziò l’intenzione di riconoscere lo Stato palestinese, Netanyahu gli dette dell’antisemita e la nostra premier replicò che la sua decisione era “prematura”. Aveva perfettamente ragione, come Smotrich. Ormai si stanno compiendo le premesse per far in modo che non ci sia più nulla di cui aspettar la maturazione. Il problema sembra in via di definitiva risoluzione. Con tanto di chiodi e di bara.

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