Un’indagine trasforma lo sviluppo urbano in speculazione criminale. Ma è la legge a parlare o un’ideologia mascherata da legalità?
La storia della Repubblica giudiziaria contraddice la profezia di Marx, al cui credo pure s’ispira. Non si ripete come una farsa, ma torna a farsi tragedia. Trentatré anni dopo Mani Pulite, terremota la politica e sotterra l’economia della più vitale città del Paese. Lo fa tagliando a fette, con l’accetta affilata del racconto di polizia, un potere municipale non privo di opacità, politicamente irrisolto, ma fino a ieri ancora in grado di stare in piedi. Ieri, però è già lontano. Il tempo di Milano è quello fulmineo della rivoluzione. Le prime teste cadono sotto i colpi di un’azione penale che parla con le metafore di una costruzione ideologica: «Un’incontrollata espansione edilizia – la definisce il pm – dietro la quale si cela un’operazione di vasta speculazione».
Senonché viene da chiedersi: la speculazione è sempre reato? Proviamo a stare ai fatti. L’assessore Giancarlo Tancredi avrebbe ricevuto nel suo ufficio gli investitori privati da coinvolgere in una strategia urbanistica di pianificazione di estesissime aree del territorio di Milano. Non a caso la sua delega era la rigenerazione urbana, da portare avanti con gruppi della finanza e di sviluppo immobiliare. Con costoro avrebbe stretto accordi di partenariato tra pubblico e privato, contrattando quote di edilizia residenziale sociale in cambio dell’approvazione dei progetti di edilizia privata.
È un illecito? Nel racconto della procura lo è. Di inaudita gravità, tanto da configurare «un Piano ombra di governo del territorio, una mappatura per una nuova Milano da sviluppare in altezza e con pochi (o nessuno) vincoli urbanistici». L’edilizia sociale, per i pm milanesi, sarebbe stato poco più che uno specchietto per le allodole, per giustificare i grattacieli.
Senonché da due anni il Comune di Milano contesta questa interpretazione della legge urbanistica, sostenendo la correttezza delle procedure adottate e rivendicando la potestà, tutta politica, di definire i contorni di una riqualificazione urbana che sceglie di verticalizzare la città, anziché dilatare la cementificazione del territorio. Con queste ragioni Milano aveva chiesto alla politica nazionale di farsi carico di una norma di interpretazione autentica, che legittimasse l’azione amministrativa e facesse scudo ai dirigenti e tecnici coinvolti dall’indagine della procura, che ha sequestrato centocinquanta cantieri, con l’effetto di bloccare l’attività amministrativa e paralizzare lo sviluppo di una grande città.
La norma cosiddetta «Salva Milano», condivisa da giuristi e tecnici, è stata approvata alla Camera da una maggioranza estesa al Pd, salvo poi arenarsi al Senato di fronte alla pervicacia dell’inchiesta e alla propaganda del giustizialismo che spirava dalla sinistra radicale. Replicando un copione già visto troppe volte in questi anni, il Pd si è allineato alle posizioni intransigenti dei Cinquestelle, nel timore di essere scavalcato a sinistra, e i fratelli d’Italia si sono chiesti chi gliela facesse fare a togliere le castagne dal fuoco ai «compagni» rivali. Il colpo di grazia lo hanno dato i primi arresti della procura, e il racconto politico si è fatto racconto giudiziario.
Così l’espansione edilizia è diventata «incontrollata», la speculazione «vasta», lo strumento urbanistico «il piano ombra»: le suggestioni criminogene di un pm aduso agli aggettivi – gli stessi a cui il buon giornalismo dovrebbe rinunciare in nome di un rigore narrativo – ci portano dentro la nuova Tangentopoli meneghina. E se lo stesso pm scrive che l’assessore confidava nell’appoggio del sindaco Sala, la postura del primo cittadino si fa periclitante. Perché spesso le parole più insignificanti di un’ordinanza cautelare, quelle cioè prive di qualunque rilevanza penale, hanno un’incidenza politica decisiva che non sfugge certo a chi le ha scritte. Peccato che all’amo abbocchino più o meno tutti i partiti, invocando da destra e da sinistra le dimissioni del primo cittadino, tranne Forza Italia, che non ripete l’errore fatto l’anno scorso a Bari nell’inchiesta sull’amministrazione De Caro, e professa la presunzione di innocenza.
Resta un quesito finale? Perché gli arresti due anni dopo? Che cosa li giustifica? Pericolo di ripetere il reato con una città paralizzata e 4.500 cittadini che non possono entrare nelle case acquistate e costretti a pagarne il mutuo? Pericolo di inquinamento delle prove, con migliaia di atti acquisiti dopo due anni di indagine? Pericolo di fuga? Siamo seri. L’unico pericolo è quello di lasciare in vita quel poco di politica e quel poco di mercato che restava nell’oasi di Milano, mentre tutt’attorno nel Paese cresce il deserto giudiziario.
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