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Psicologo come il medico di base, la buona notizia che non c’era

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Nel nuovo piano sulla Salute mentale inserita la figura dello psicologo. Cresce disagio fra i giovani, questa è una prima risposta


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Tutto cominciò ai tempi del Covid, quando il bonus psicologo fu argomento di dibattito politico e scelta saggia. Oggi che si parla di “psicologo di base” inserito nelle strutture territoriali viene da augurarsi un percorso bipartisan, perché si tratta di un servizio che prima non c’era, in una medicina di prossimità che continua a mostrare, soprattutto al Sud, gravi lacune: più che strizzacervelli, saranno professionisti formati come i medici di famiglia, abituati a lavorare in équipe.

Qualche cittadino delle zone interne potrebbe reagire dicendo: “Noi non abbiamo nemmeno la guardia medica”. Ma la presenza di uno psicologo è una zattera in quartieri deprivati, una porta alla quale si può bussare, è prevenzione e presidio di salute ovunque. Fino a pochi anni fa, era un termine che faceva paura, significava rapportarsi con figure presenti quasi solo in strutture private, spesso a un prezzo elevato.

In più, c’è un certo disagio a dichiarare il disagio, che spesso le stesse famiglie, i genitori non vedono. Ma andare dallo psicologo non significa stare male, significa cercare aiuto dalle persone giuste e qualificate. Ora le scuole, gli ospedali, le aziende, perfino le squadre di calcio hanno il loro professionista di riferimento. Anzi emergono figure più sofisticate come il “mental coach”: ma cerchiamo di restare terra terra, ai cittadini, alle famiglie e alle comunità. 

L’inserimento della figura dello psicologo di base è inserito nel Piano nazionale per la Salute Mentale 2025-2030. Almeno sulla carta, è un modo per avvicinare la sanità ai cittadini, offrire punti e luoghi di ascolto. Non è un caso che questa emergenza si sia sentita ai tempi del Covid, quando le strutture di quartiere mostrarono mille lacune, e fu ingorgo al Pronto Soccorso. Mancò allora quel filtro decisivo, che ora la politica sta cercando di ricostruire. 

Non solo: mancò anche l’assistenza ai ragazzi, sono loro quelli che hanno sofferto di più, chiusi nella solitudine. Come certifica una ricerca Open Polis, sono stati i giovani a subire l’emergenza su diversi fronti, e i problemi si sono trascinati negli anni. E questo vale anche per la salute mentale in tutte le sue forme, la diffusione delle droghe, il difficile inserimento dei ragazzi stranieri. Che il bisogno esista, lo rivela un dato sul “bonus psicologo”: l’Inps è riuscita a coprire la metà delle quattrocentomila richieste.

La presenza di uno psicologo a portata di autobus è quindi una buona notizia ma va riempita di contenuti e di persone. In Italia oggi sono circa 120mila, e sicuramente ne servono altri. Il welfare italiano non riesce a selezionare i primari e i medici nelle strutture d’emergenza, l’applicazione delle nuove norme nelle “zone calde” troverà altrettante difficoltà. Ma è una risposta al mondo che cambia, nascono nuovi profili e nuove professioni come per esempio quella del mediatore culturale. C’è bisogno di strutture specializzate dove si parlano le lingue e i nuovi linguaggi. E non è peccato chiedere aiuto.

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