C’è chi vede nelle recenti esternazioni della Cassazione una torsione politica figlia della nuova fase di scontro tra politica e magistratura
Malgrado i riservati ammonimenti a non esacerbare il clima tra governo e magistratura, Sergio Mattarella si ritrova pubblicamente tirato per la giacchetta proprio dal governo, nella persona del ministro delle giustizia Carlo Nordio. Eppure anche Giorgia Meloni, a quanti si era saputo, aveva detto con una certa fermezza ai colleghi di non insistere nella polemica contro la Cassazione dopo le ruvide uscite di Matteo Piantedosi, lo stesso Nordio e Tommaso Foti dopo che il Massimario della Cassazione, facendo proprie varie critiche venute da più parti, aveva demolito l’impianto del decreto sicurezza.
Ma ieri il Guardasigilli ha pensato bene di “girare” il parere della Cassazione contro il Presidente della Repubblica: questo intervento «è stato irreverente verso il presidente della Repubblica perché contiene critiche radicali sul decreto sicurezza, sia sulla sua necessità ed urgenza, sia sui suoi contenuti, ritenuti manifestamente incostituzionali.
Se così fosse, il presidente sarebbe stato il primo a rilevarli, e invece non l’ha fatto». È facilmente immaginabile l’irritazione del Quirinale per questo voler rinfocolare la polemica per di più con esplicita citazione del Capo dello Stato. Ma la questione non è isolata. È lo sparo che dà il via a una sorta di campagna elettorale che avrà il suo culmine con il referendum confermativo (quindi senza quorum) sulla legge costituzionale sulla separazione delle carriere dei magistrati che verrà approvata dal Senato tra pochi giorni, concludendo così la prima lettura da parte del Parlamento (in autunno poi gli ultimi due voti ancora da parte di Camera e Senato).
Questa virtuale campagna elettorale vede già la magistratura, o suoi pezzi importanti, organizzarsi per ostacolare i provvedimenti del governo, a partire, come detto dalla separazione delle carriere: dunque, la bocciatura “politica” del decreto sicurezza da parte del Massimario della Cassazione può considerarsi come un primo “avvertimento” al governo (e al Parlamento che quel decreto ha convertito in legge). Non solo.
Non è sfuggito che la stessa Cassazione abbia invitato Mattarella alla sua Assemblea generale del 19 giugno suscitando la reazione delle Camere penali che ha criticato «un utilizzo improprio dello strumento dell’Assemblea generale del quale non può tacersi la gravità, rappresentando esso una nuova frontiera dell’ampliamento del potere della magistratura a detrimento del potere legislativo» dato che in quella assemblea la Cassazione ha emesso una serie di richieste e pareri che esulano, secondo la giunta delle Camere penali, dai compiti della Cassazione.
C’è insomma chi vede nelle recenti esternazioni di quest’ultima una torsione politica figlia appunto della nuova fase di scontro tra politica e magistratura. Peraltro, la stessa Cassazione – e qui entriamo nello specifico ma che ha un chiaro significato culturale oltre che pratico – ha recentemente “allargato” l’ambito di utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni rispetto alla lettura più rigida della sentenza Cavallo, che aveva posto un argine all’utilizzo “indiscriminato” dei risultati delle intercettazioni, strumento principe degli inquirenti adoperato spesso fuori da ogni logica garantista.
Da tutto questo insieme di cose sembra perciò di assistere ancora una volta ad un protagonismo della magistratura che potrebbe portare a nuove iniziative ed esternazioni polemiche. Siamo già dentro uno scontro istituzionale nel quale beninteso ciascuno menerà le mani come meglio gli aggrada: e tutti sanno che sempre non scarseggiano pezzi del mondo politico che hanno qualche conto da regolare con la magistratura. Ed è solo l’inizio dell’ennesima battaglia campale che si concluderà con il voto dei cittadini, tra un anno.