Ci fu un tempo in cui si erano tanto amati. Ma è durato veramente poco. Adesso Donald Trump ed Elon Musk proprio non si sopportano. Al punto che il patron della Tesla non è stato nemmeno invitato alla grande cena alla Casa Bianca con i big della Silicon Valley. C’erano Zuckerberg e Gates a braccetto, Tim Cook che annuiva con eleganza, Satya Nadella che prendeva appunti, Sundar Pichai pronto a schivare domande scomode, e persino Sam Altman che annusava l’aria da guru dell’IA. Ma c’era una seduta vuota. Una poltrona tristemente libera. La poltrona di Elon Musk. Il motivo? Uno strappo pubblico con Donald Trump, nato all’inizio dell’anno dopo le vicissitudini del Dipartimento per l’efficienza governativa.
Il tycoon politico, nonostante Melania avesse promosso l’iniziativa sull’intelligenza artificiale come fosse l’evento dell’anno, ha lasciato Musk fuori dalla porta. E Musk? Beh, lui si è consolato mandando un rappresentante al suo posto, probabilmente un androide molto simile a un umano, visto il contesto. Gli altri, ovviamente, si sono affrettati a ringraziare Trump tra sorrisi smaglianti e battute di circostanza: «La nostra amministrazione rende facile costruire data center per l’intelligenza artificiale», ha sentenziato il presidente, come se i dazi e le minacce commerciali fossero solo un dettaglio. E mentre la cena scintillava di charme e potere politico, Musk giocava una partita tutta sua, quella dei numeri colossali.
Il consiglio di amministrazione di Tesla ha appena messo sul tavolo un piano compensi che sfida ogni legge della fisica finanziaria: mille miliardi di dollari in dieci anni, tutto in azioni, subordinato a obiettivi talmente ambiziosi da far tremare chiunque. Capitalizzazione da 8.500 miliardi, un milione di taxi autonomi sulle strade, un milione di robot pronti a fare il lavoro sporco: è il menu deluxe di Musk, condito da una dose massiccia di audacia e follia geniale. Per incassare tutto, dovrà restare almeno dieci anni al timone, invertire il trend negativo delle azioni Tesla, calate del 30%, e convincere il mercato che nulla è impossibile. Insomma, mentre gli altri discutono di sussidi e regolamentazioni, Musk prepara la sua rivincita colossale.
Trump, dal canto suo, continua a giocare la partita dei dazi con precisione chirurgica. L’accordo commerciale con il Giappone è stato formalizzato: un dazio massimo del 15% su automobili e componenti, e la promessa di un fondo di investimento statunitense da 550 miliardi di dollari. Ma le trattative più roventi riguardano Messico e Canada, con il T-MEC che rischia di diventare più un ring che un accordo commerciale. Dazi del 25% su acciaio, alluminio e prodotti fuori accordo, riunioni trilaterali, consultazioni pubbliche, audizioni al Congresso: un vero reality show diplomatico, condito da minacce e accuse di lassismo sui traffici di droga. Ieri Trump ha parlato con il primo ministro canadese Mark Carney e con la presidente messicana Claudia Sheinbaum, mentre il rappresentante commerciale Jamieson Greer prepara il terreno per nuove negoziazioni da brivido.
Musk sorride guardando il suo maxi bonus. Già in passato ha dimostrato di poter trasformare obiettivi impossibili in realtà da record: il pacchetto del 2018, considerato inarrivabile, lo aveva portato a conquistare 56 miliardi di dollari in stock option, facendo impallidire qualsiasi altro Ceo sulla faccia del pianeta. Questa volta l’asticella è ancora più alta, ma se qualcuno può farcela, quello è lui. E allora, mentre gli altri parlano di regolamentazioni, accordi e complimenti formali, Musk sogna robot, taxi autonomi e un impero azionario da 8.500 miliardi. In fondo, la morale è chiara: puoi ignorare Musk a cena, puoi minacciarlo con dazi o attacchi politici, ma quando arriva il momento del maxi bonus, è lui a decidere il menu. E mentre Trump impasta accordi e dazi come fossero biscotti natalizi, Elon prepara il suo prossimo record mondiale, con il sorriso di chi sa che la Silicon Valley, alla fine, è fatta di numeri, azioni e sogni impossibili.