Un solo voto di scarto ha deciso le sorti di una delle più alte cariche della magistratura, in un momento quanto mai cruciale per la giustizia. La vittoria al fotofinish ha visto prevalere alla guida degli ermellini Pasquale D’Ascola, 67 anni, fino a ieri presidente aggiunto della Corte di Cassazione, che fa di lui quasi un naturale successore di Margherita Cassano, in pensione dal 9 settembre.
D’Ascola ha ottenuto dal plenum del Csm 14 voti, uno in più rispetto all’altro candidato, Stefano Mogini, attuale segretario generale della Suprema Corte. A giocare un ruolo sulla scelta sono state anche le 5 astensioni: oltre al vicepresidente del Csm Fabio Pinelli, si sono astenuti dal voto l’ormai ex prima presidente Cassano, il pg della Suprema Corte Pietro Gaeta, e i due togati indipendenti Roberto Fontana e Andrea Mirenda, i quali avevano già reso nota la loro scelta di astenersi spiegando che non aveva a che vedere con le «qualità dei due candidati, che sono eccellenti, ma con il meccanismo di nomina previsto dal Testo Unico» sulla dirigenza giudiziaria. Una sfida partita tutta dall’interno di piazza Cavour, dove entrambi gli aspiranti alla poltrona più ambita – entrambi con un curriculum di alto livello – sono stati protagonisti di un periodo di alta tensione per le riforme in cantiere, su cui lo scontro con la politica è più che mai in atto.
Il neo primo presidente si troverà subito ad affrontare la campagna per il referendum sulla separazione delle carriere fra pm e giudici, a cui l’Anm e non solo ha dichiarato guerra. L’ex presidente Cassano ha preso sul punto posizioni molto nette, criticando apertamente la riforma costituzionale che dovrebbe terminare l’iter parlamentare in autunno, consentendo così di fissare la data del referendum, per il quale non sarà necessario il raggiungimento del quorum, per la prossima primavera. E la scelta di D’Ascola sembra voler delineare la rotta: quella di una continuità della linea fino ad oggi adottata dalla Corte e di cui è stata protagonista Cassano.
È stata la prima donna nella storia a ricoprire questo incarico, come ha sottolineato il vicepresidente del Csm, Fabio Pinelli, e «in questa veste ha saputo incarnare una leadership sobria e autorevole, guidando la Corte in momenti di tensione sociale e riforme di sistema, sempre nel rispetto dei principi democratici e della divisione dei poteri», e ha ricordato «con forza che l’autonomia della magistratura non è privilegio di casta, ma presidio di democrazia».
Parole in linea con il discorso del Capo dello Stato, Sergio Mattarella, che come sempre ha mostrato il suo immancabile ruolo di garante: ha evidenziato di astenersi dal voto come di consueto, e di aver votato solo quando fu nominata Cassano, la prima donna ai vertici degli ermellini. Di fronte ad un Csm spaccato sulla nomina e nonostante la moral suasion del Quirinale ad un voto unanime – che non c’è stato – per un incarico così cruciale, le sue parole hanno come sempre costituito un forte richiamo all’unità. «Si apre l’ultima fase dell’attuale consiliatura, anche con il rinnovo, ormai prossimo, della composizione delle commissioni. Auspico come sempre – ha sottolineato Mattarella – che il Csm continui ad assicurare tempestività e trasparenza alle proprie decisioni. Siamo tutti consapevoli che queste devono essere fondate su criteri ed elementi di valutazione al di sopra di pregiudiziali divisioni di parte».
E ancora, riportando l’attenzione alla strada tracciata da Cassano, ha ricordato come abbia interpretato «l’irrinunziabile stato di autonomia e indipendenza della giurisdizione rispetto ad altri poteri, nello spirito dei valori fondamentali della nostra Costituzione». Infine, il Capo dello Stato ha rivolto il suo apprezzamento a Mogini e le sue congratulazioni a D’Ascola, sottolineando che il suo «sapere giuridico e la sua lunga esperienza gli consentiranno di guidare con efficacia la Corte, proseguendo anche nelle attività di rinnovata efficienza avviata durante il mandato della presidente Cassano», ha concluso.
Anche nelle parole di Gaeta, si legge un richiamo al dialogo e all’unità che in questo momento epocale della giustizia è spesso disatteso e contraddistinto da continui strappi istituzionali. Per il pg della Suprema Corte le due contrapposte proposte sulla nomina di vertice non vanno lette come una «allarmante frattura di opposti schieramenti», ma sono la prova di un «capitale professionale assai considerevole di cui la magistratura italiana dispone», e ridurre tutto ad una «disputa solo ideologica è un approccio inaccettabile».
Ma nonostante gli inviti all’unità e a ripudiare logiche correntizie, le polemiche non sono mancate dopo l’annuncio di astensione dei consiglieri Fontana e Mirenda: i togati di Area al Csm, Mariafrancesca Abenavoli, Marcello Basilico, Maurizio Carbone, Genantonio Chiarelli, Antonello Cosentino e Tullio Morello, dopo la nomina di vertice rimarcano che la loro preferenza a favore di D’Ascola «si è fondata su una rigorosa applicazione del testo unico sulla dirigenza giudiziaria, che offriva un’indicazione chiara a suo favore, così come peraltro emerso in un dibattito alto e intenso. Stona ancora di più, pertanto – concludono – la posizione assunta dai consiglieri Fontana e Mirenda che si sono sottratti, con motivazioni pretestuose, alla scelta tra i due candidati in uno dei passaggi più cruciali della consiliatura».
Anche i togati di Unicost giudicano l’astensione dei consiglieri «non condivisibile. Solo pochi mesi fa – attaccano – avevano applicato senza esitazioni lo stesso Testo Unico nella nomina del procuratore generale della Cassazione e, ad oggi, non hanno presentato alcuna proposta di modifica degli articoli che ora contestano». La replica di Mirenda è secca: «Secondo quella che oramai è tradizione per le nomine apicali, anche oggi abbiamo assistito ad un’imbarazzante spaccatura a metà del Consiglio.
Non sfugge a nessuno che, con le stesse regole, deliberatamente di contenuto quanto mai vago, possono essere proposti candidati assolutamente diversi e non sovrapponibili. E sempre, purtroppo, secondo salda tradizione, il metodo assicura alle correnti consiliari di votare il ‘proprio’, con la consueta irridente disinvoltura. La verità è nuda: senza sorteggio non si va più da nessuna parte. Nihil novi sub sole…».