Se si cerca di intrappolare qualche gonzo con il gioco delle tre carte è bene appostarsi all’uscita di una stazione del metrò anziché manipolare i dati del mercato del lavoro, al solo scopo di contraddire il governo e la maggioranza che si vantano dei risultati riguardanti l’occupazione. Soprattutto quando c’è, a favore dei critici, un argomento inconfutabile: l’Italia ha compiuto dei progressi ma è ancora negli ultimi posti nella classifica europea in particolare per quanto riguarda il lavoro delle donne e dei giovani. Ma anche gli ultimi possono migliorare le loro performance; e negarlo è insensato.
Ebbene, in Italia, dalle rilevazioni dell’Istat risulta che, a luglio 2025 il numero di occupati è pari a 24 milioni e 217 mila, con una crescita, su base mensile, del tasso di occupazione che sale al 62,8% mentre il tasso di disoccupazione, invece, scende al 6,0%. Rispetto a luglio 2024, crescono gli occupati (+218 mila) in modo particolare per effetto dell’aumento dei dipendenti permanenti (+351 mila) e degli autonomi (+55 mila) e del calo dei dipendenti a termine (-188 mila).
Un’altra buona notizia, in un contesto di crisi del mercato del lavoro dal lato dell’offerta, viene dalla riduzione dei posti vacanti. Nel secondo trimestre 2025, per il totale delle imprese con dipendenti, il tasso destagionalizzato è calato di 0,1 punti percentuali rispetto al trimestre precedente attestandosi all’ 1,7%.
Il tema degli over 50
Quali sono i reali motivi di questi processi? A parte le differenze di genere (il tasso di occupazione delle donne è del 53,7%, contro il 71,8% degli uomini), il punto che si impone all’attenzione dei commentatori è il numero degli occupati over 50 che diventa sempre più la componente centrale del mercato del lavoro. Questo fatto viene di solito presentato come un elemento negativo, determinato in prevalenza dalle regole che hanno incrementato l’età di pensionamento, a danno dei nuovi occupati.
È ovvio che questa componente influisca sui numeri delle coorti. Ma i fattori determinanti viaggiano sul tapis roulant della demografia tra la tenaglia della denatalità e dell’invecchiamento che stanno mitridatizzando il mercato del lavoro. La tabella (fonte: Inps XXIV Rapporto) riporta valori assoluti e quindi posizioni lavorative effettive, molto più credibili dei dati in percentuale che dipendono da ciò che si scrive al denominatore (nel nostro caso la popolazione in età di lavoro).

I dati che emergono in un arco temporale di 25 anni indicano un incremento dell’occupazione di due milioni di unità (+ 3milioni circa per quanto riguarda il lavoro dipendente) a fronte di una diminuzione di circa un milione della popolazione in età di lavoro. Certo, in quest’arco temporale si sono verificati eventi che hanno inciso sull’occupazione; ma se facciamo riferimento agli anni post covid-19 possiamo apprezzare – a fronte di una sostanziale invarianza della popolazione presa a denominatore – un aumento degli occupati superiore ad un milione di unità, con dati ancora più interessanti per quanto riguarda il lavoro dipendente e a tempo indeterminato.
Manca la possibilità di sostituzione
Gli over 50 (10.157.000 a luglio 2025) non sono solo in crescita e non si limitano a rappresentare la componente più numerosa, ma non hanno nelle altre fasce di età un numero adeguato a garantire una sostituzione (tra i 35 e i 49 anni gli occupati sono 8.717.000), perché il peso del declino demografico si avverte anche sul mercato del lavoro. In sostanza, se le regole del pensionamento consentissero agli over 50 di andare in quiescenza prima, non vi sarebbe un maggior numero di occupati nelle fasce di età inferiore, ma un numero di occupati inferiore tout court. Il mercato del lavoro invecchia al pari della società.
Se tra qualche anno monitorassimo la composizione dell’occupazione troveremmo un ulteriore incremento degli ultracinquantenni per la più banale delle ragioni: che gli appartenenti alla coorte precedente sono invecchiati e trasferiti, per motivi statistici, nella coorte più anziana, senza che vi sia nella loro una sostituzione adeguata. Quanto influisce sull’occupazione dei giovani (tra i 15 e i 24 anni gli occupati sono 1.095.000, mentre tra i 25 e i 34 anni gli occupati sono 4.248.000) l’aspetto demografico? Quanti giovani non vengono assunti per la banale considerazione che non sono nati?
Inoltre, se davvero avessero un ruolo determinante le regole del pensionamento dovremmo riscontare un calo rilevante nel numero delle pensioni: un dato che non risulta. Certo, si può far notare nel 2025 un calo dei trattamenti anticipati (dovuto ai vincoli di quota 103), ma non di una consistenza tale da alterare il trend complessivo della crescita.
Il ragionamento tiene anche sul versante della disoccupazione: il tasso degli over 50, in un anno, diminuisce di meno (-4,1%) rispetto ad altre fasce di età. Quanto agli inattivi, la loro crescita tra i 15 e i 64 anni (+0,2%, pari a +30.000 unità) interessa le donne, i 25-34enni e chi ha almeno 50 anni. Tra gli uomini, i 15-24enni e i 35-49enni gli inattivi sono invece in diminuzione. In tale contesto va segnalata la crescita dei lavoratori extracomunitari (+665 mila nel periodo 2023-2024; + 175 mila nell’ultimo anno) con un tasso medio annuo pari al +6,9%, cioè quattro volte quello complessivo.