Martedì, Cecilia De Astis, 71 anni, è stata travolta da un’auto rubata guidata da un tredicenne. Con lui, altri tre ragazzini tra gli 11 e i 13 anni, tutti residenti nel campo rom abusivo di via Selvanesco. Nessuno di loro sarà imputabile: la legge vieta la responsabilità penale sotto i 14 anni. Riaffidati alle loro famiglie, restano liberi.
La Procura per i Minorenni di Milano, guidata da Luca Villa, ha avviato accertamenti per verificarne la “pericolosità sociale”, ma non esistono condizioni per provvedimenti d’urgenza. Ogni passo – dal collocamento in comunità alla sospensione della responsabilità genitoriale – richiede una richiesta formale al giudice.
Il nodo, secondo il procuratore Villa, è duplice: da un lato, «gli strumenti alternativi al processo esistono», ma «gli enti locali devono essere dotati di risorse». Dall’altro, «l’alternativa per un infraquattordicenne non è il carcere: troverebbe solo ragazzi più grandi da imitare». Eppure l’eco politico, amplificato dall’indignazione popolare, invoca provvedimenti drastici.
Matteo Salvini ha invocato lo sgombero immediato del campo e l’arresto dei genitori. Secondo la Lega, l’episodio dimostrerebbe il fallimento totale delle politiche di inclusione e lo spreco di fondi pubblici. Ma le opposizioni non ci stanno. Riccardo Magi (+Europa) ha affermato che chiudere i campi è possibile, ma solo attraverso percorsi abitativi e occupazionali, non con le ruspe. Gli fa eco Carlo Monguzzi (Verdi), il quale sottolinea che «non serve odio, servono servizi sociali».
Al centro della discussione resta il nodo dell’affido. Restituire i minori alle stesse famiglie che evidentemente non garantiscono prevenzione è una resa, ma sottrarli in via d’urgenza, senza affrontare le cause profonde, rischia di produrre effetti ancora più gravi sull’integrazione dei diretti interessati. «Allontanarli senza un progetto è abbandonarli», avverte don Claudio Burgio, cappellano del carcere minorile Beccaria. «Oggi tanti minori rom scappano anche dalle comunità. Il problema non è dove li mettiamo, ma cosa costruiamo attorno a loro».
Dalla madre di uno dei ragazzi è arrivata una confessione sommessa: «Piango per mio figlio e per la signora. Sono solo bambini. Non ne sapevo niente, sono distrutta». Una voce che rivela una realtà fragile, contraddistinta da assenza di scuola, tutele e prospettive. Tuttavia, l’emozione non deve cancellare la responsabilità delle famiglie dei minorenni coinvolti, rei di non aver segnalato il furto dell’auto, sottratta a un turista il giorno prima dell’incidente. Per questo, il sindaco Giuseppe Sala ha chiesto «massima intransigenza verso i genitori», nel rispetto della legge.
Sostituire il nucleo familiare senza una rete solida di accompagnamento rischia però di replicare il disagio in ambienti solo apparentemente più sicuri. Se l’obiettivo è l’inclusione, come ribadito dal ConPeD, servono «finanziamenti certi e continuativi», percorsi educativi stabili e una reale alleanza educativa tra istituzioni, servizi sociali e comunità. Diversamente, si alimenta un circolo vizioso: l’abbandono genera devianza, la devianza giustifica il distacco, e il distacco perpetua il trauma.
Inoltre, c’è una questione etica che non può essere ignorata. L’allontanamento coatto di un minore dalla propria famiglia – senza prove inequivocabili di abuso – rappresenta sempre una frattura. In assenza di un sistema educativo e sociale realmente efficace, il rischio è quello di trasformare l’affidamento in una forma indiretta di punizione culturale. Affidare i bambini a terzi può offrire sollievo all’indignazione pubblica, ma potrebbe non restituire senso né futuro a quei minori.