Le bombe americane sganciate su Fordow non hanno colpito in profondità l’impianto nucleare. I componenti principali del programma iraniano sono ancora in larga parte intatti. Gli attacchi del fine settimana probabilmente hanno solo ritardato i progressi di Teheran di qualche mese. A dirlo sono stati la CNN, il New York Times e la Reuters citando fonti interne alla Defense Intelligence Agency, il braccio operativo dell’intelligence del Pentagono. Le parole degli informatori delle testate americane si basano, stando a quanto riferito, su una valutazione dei danni dei bombardamenti condotta negli ultimi giorni dal Comando Centrale degli Stati Uniti, responsabile per le operazioni militari statunitensi in Medio Oriente.
L’analisi completa dell’impatto degli attacchi sulle infrastrutture nucleari dell’Iran è ancora in corso e i risultati finali potrebbero cambiare nei prossimi con l’ottenimento di nuove informazioni da parte dell’intelligence. Tuttavia, già dai primi risultati appare chiaro che lo stato delle cose sul campo è in contrasto, almeno parzialmente, con le affermazioni del presidente Donald Trump, il quale ha sostenuto subito dopo l’operazione Midnight Hammer che il programma nucleare iraniano fosse stato «completamente e totalmente annientato». Della stessa opinione era anche il Segretario della Difesa americano Pete Hegseth, che durante la lunga spiegazione dell’operazione condotta dai bombardieri B-2 Spirit dell’Air Force ha più volte sostenuto il completo successo del raid in territorio iraniano.
Il tycoon e i suoi fedelissimi cambiano narrativa
Entrambi però sembrano aver almeno in parte ritrattato le loro affermazioni precedenti durante la visita all’Aia per il vertice Nato. Trump ha infatti dichiarato, commentando le indiscrezioni pubblicate dalla stampa americana, che «l’intelligence dice che non lo sappiamo. [L’attacco] potrebbe essere stato molto grave. Questo è ciò che suggerisce l’intelligence», un passo indietro rispetto al «totale annientamento» annunciato domenica. Sulla stessa falsariga anche Hegseth, che è passato dal parlare di «obliterazione» degli obiettivi al definire i danni riportati dagli stabilimenti «tra moderati e severi».
I dubbi sugli effetti concreti degli attacchi americani all’Iran sono particolarmente preoccupanti per gli Stati Uniti in questo frangente, e lo sono sotto diversi punti di vista. Sul piano politico mettono in pericolo la narrativa di Trump e il tanto annunciato successo della sua strategia di risoluzione della crisi mediorientale, che si fondava sul fatto di aver conseguito l’obiettivo a lungo termine di Washington, ovvero quello dell’annientamento delle capacità nucleari iraniane, e di aver contemporaneamente messo fine alla guerra con Israele. Qualora i dati sui danni a Fordow venissero confermati, però, il rischio di un Iran nucleare tornerebbe prepotentemente sul tavolo dei pianificatori strategici americani, annullando di fatto il più grande conseguimento geopolitico dell’azione voluta da Trump.
Il “fallimento” rischia di riaccendere il conflitto
Sul piano militare, poi, l’eventuale fallimento dell’azione contro l’Iran dimostrerebbe, in particolare ai rivali di “prima classe” di Washington come Pechino e Mosca, che la supremazia tecnologica americana ha dei limiti e può essere limitata tramite accorgimenti relativamente semplici come quelli adottati dagli iraniani. In buona sostanza, questo sviluppo potrebbe essere un duro colpo alla famosa deterrenza militare tradizionalmente proiettata dalla superpotenza nordamericana. Questo “doppio colpo” subito da Trump potrebbe, nel breve periodo, avere il potenziale per riaccendere il conflitto in Medio Oriente. Non tanto per ragioni strategiche, era già ampiamente noto che l’Iran avesse spostato parte delle sue attrezzature per l’arricchimento in altri siti prima dell’attacco, quanto per ragioni eminentemente politiche.
Per il Presidente, infatti, gli e venti del fine settimana e il seguente cessate il fuoco tra i due belligeranti hanno segnato uno dei pochi successi reali in politica estera da quando è tornato a sedere alla Casa Bianca. Alla luce della risonanza interna che hanno avuto le indiscrezioni della CNN e del New York Times, Trump potrebbe tentare di salvare la faccia ordinando nuove e forse più ardite operazioni contro il programma nucleare iraniano. Una possibilità che, vista la ben nota incostanza del tycoon, è tutt’altro che remota. Forse proprio per questo ieri gli iraniani, per bocca del portavoce del ministero degli esteri Esmail Baghaei, si sono affrettati a sostenere che le proprie infrastrutture sono state «significativamente danneggiate» dai bombardamenti americani. A Teheran, probabilmente, si vuole dare qualche tipo di soddisfazione al volatile “comandante in capo” statunitense per evitare mosse azzardate e nuovi attacchi.