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Caso Milano, quando il diritto si fa morale ed esce dai binari

Milano, i dazi e la Striscia di Gaza sono i temi centrali del dibattito di questi giorni. A parlarne a tutto tondo in questa intervista sono il Direttore dell’Altravoce Alessandro Barbano e Sabino Cassese, insigne giurista, ministro per la Funzione Pubblica all’inizio degli anni ‘90 ed ex giudice della Corte Costituzionale

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Barbano: Professore, partiamo dalla strettissima attualità. Il Gip di Milano ha decretato l’arresto ai domiciliari (e in un caso in carcere) di tutti i sei indagati per i quali la procura aveva chiesto gli arresti. Anche di coloro che, come l’assessore all’urbanistica Tancredi, si erano dimessi dalla carica e che quindi in nessun modo avrebbero potuto reiterare il reato. Tutto questo offre l’impressione che l’ interpretazione delle norme sia molto lasca in questo paese. E quando qualcuno dice che la separazione delle carriere serve per garantire il primato del giudicante e la terzietà del Gip sembra ricevere da fatti come questo un qualche segnale. Che idea si è fatto di tutta questa vicenda?

Cassese: Da quanto sappiamo questa intera procedura è motivata più da valutazioni di carattere generale che da specifiche imputazioni e più da irregolarità amministrative o conflitti di interessi che da fattispecie penali. Quindi ci sono diversi motivi per rimanere perplessi davanti a iniziative così 
clamorose, perché c’è un forte divario tra ciò che viene segnalato – che riguarda fattispecie non penali ma di conflitti di interesse – e le sanzioni provvisorie che vengono irrogate. Per ora dobbiamo trattenere il giudizio, perché naturalmente la giustizia deve fare il suo corso. Possiamo però sperare che lo faccia molto rapidamente, perché si tratta sostanzialmente della messa sotto accusa di un’intera politica seguita da un ente locale e dai suoi rappresentanti.

Barbano: E’ l’accusa a un modello. C’è da parte della procura la censura di quello che che è stato il modello Milano. E però, come lei ha detto giustamente, non sappiamo sulla base di che cosa, perché da quello che abbiamo letto abbiamo visto conflitti d’interesse, violazioni amministrative, ma non scambi corruttivi, così come li abbiamo fin qui conosciuti. Vuol dire che il diritto sta cambiando nel senso che è diventato qualcosa di diverso: oggi sotto la lente della magistratura e del processo entra il contesto, è quasi come se la sociologia stesse in qualche modo surrogando il diritto.

Cassese: Esistono la politica, la morale e il diritto. Quando chi deve giudicare sulla base del diritto si mette a giudicare sulla base della politica e della morale chiaramente va fuori dal seminato. 

Barbano: Queste due domande erano d’obbligo, ma andiamo 
al discorso tenuto due giorni fa dal capo dello Stato. Il Quirinale è stato messo sotto accusa dall’iniziativa della Russia che ha inserito il nome di Mattarella fra le personalità russofobe. In questo momento di grande incertezza, in cui le cancellerie sono condizionate da mille prudenze, contingenze e appartenenze, la voce di un capo dello Stato come Mattarella ha un valore particolare?

Cassese: Non c’è dubbio, ed è la voce della nazione perché il giudizio che esprime è estremamente equilibrato e riconosce le situazioni e la diversità delle situazioni. Insomma, rappresenta la coscienza della nazione. 

Barbano: Giorgia Meloni nei primi quasi tre anni di mandato ha beneficiato di una scelta lungimirante che è stata quella di difendere anzitutto la posizione euro-atlantista anche nei momenti più difficili. Però è come se dalle elezioni di Trump in avanti questo rapporto privilegiato con gli Usa l’abbia in qualche modo invischiata. Tanto sui dazi, dove ha suggerito una linea morbida che oggi viene messa in discussione, quanto su Gaza, rispetto a cui la sua voce non si è sentita forte e chiara come nei mesi precedenti. E’ come se la premier stesse pagando questo rapporto privilegiato con Trump. Condivide questa lettura?

Cassese: Il mio giudizio complessivo è che è la presidente del consiglio abbia colto un elemento tipico della politica di De Gasperi: fare la politica interna attraverso la politica estera. In questo quadro – che riguarda ancora il metodo – nel merito ha seguito sempre la linea di una politica atlantista e europeista, quindi si è collegata alla tradizione più nobile del nostro paese e di uno dei fondatori dell’Italia repubblicana. E’ chiaro che con il passare del tempo, la quantità dei conflitti che in questa fase della storia dominano il mondo costringe a prendere delle posizioni e quindi la politica estera unisce meno di quanto non unisse in un momento precedente. Però io non penso che stia pagando un costo di questa accentuazione della politica estera come un fattore determinante della politica interna.

Barbano: Certo, però nell’eventualità che Trump fosse stato un grande costruttore di alleanze sicuramente sarebbe stato un vantaggio. Però, visto quello che è diventato Trump, la vicinanza della premier non rischia di rivelarsi un boomerang?

Cassese: Non credo, per due motivi. Anzitutto perché questa vicinanza è stata preceduta da una vicinanza con Biden. 
Non dimentichiamo le foto di Meloni mano nella mano con Biden e non dimentichiamo il volto di Biden che sfiora la testa della nostra presidente del consiglio. In secondo luogo, perché la politica estera prescinde dai momenti storici. La politica estera è una politica nella quale si rapportano stati con stati e governi con governi, non governi con persone. Bisogna non dimenticare quella che è stata la storia del nostro paese, cioè tutti gli elementi che hanno portato alla conquista della democrazia. Mi riferisco ai cimiteri americani che troviamo nel nostro territorio, ma anche ovviamente alla presenza di quello che chiamiamo generalmente “l’occidente” nella storia d’Italia. Non bisogna costruire l’andamento della politica estera sul giorno per giorno, bisogna vederla nel lungo periodo e nella sua linea esponenziale. Facciamo parte di una parte del mondo in cui troviamo tanti elementi di consonanza. 
Penso ai miei studenti che vanno in America, fino al fatto che noi utilizziamo di piattaforme digitali che sono state prodotte in California. Anche Trump è un fatto passeggero e non si può pensare di tagliare i rapporti con l’America solo perché ora è guidata da Trump. Io vedo un elemento di saggezza nel modo in cui si sta comportando il nostro governo, anche nel modo in cui sta “schivando” qualcuna delle frecce che arrivano a causa di certe posizioni rispetto alla Francia, per esempio, o rispetto all’Inghilterra.

Barbano: Quindi il suo giudizio è positivo anche rispetto all’esito della trattativa sui dazi? Tenendo ovviamente presenti le condizioni di debolezza dell’Europa e la necessità di garantirsi la copertura degli Usa. Si poteva ottenere di più, sia pure all’interno questa alleanza di sistema?

Cassese: Io ritengo che sia sbagliato il modo in cui in Italia stiamo seguendo il tema dei dazi. Stiamo considerando solamente una parte di una trattativa più complessa, nella quale è più evidente la parte dazi perché ha una quantificazione, 
ma ci sono altri elementi che non sono sufficientemente evidenti.

Barbano: Quali? 

Cassese: Anzitutto, il fatto che noi paghiamo per l’acquisto di servizi dagli Stati Uniti e che noi europei diamo molto agli Stati Uniti in termini di investimenti. Dall’altro lato, la presenza di quelle che si chiamano “barriere non tariffarie” alle quali noi non abbiamo rinunciato. Consideri ad esempio tutti i limiti che derivano dal sistema regolatorio europeo sulle piattaforme digitali. Non dimentichiamo poi tutte le procedure sulle Big Tech avviate dalla procura di Milano. Ecco, questi sono elementi di un quadro complessivo in cui quella dei dazi è la punta dell’iceberg, che si vede di più. 
Ma la sostanza comprende anche questi elementi di regolazione. Fino a prova contraria, i quattro pilastri della disciplina digitale europea stanno ancora lì, così come tutti i poteri della Unione europea. E sullo sfondo c’è ancora la web tax, quindi la partita è ancora aperta.

Barbano: Veniamo all’altra grande questione al centro del dibattito pubblico, la questione di Gaza. Ieri è stato il Ministro degli esteri tedesco ad avvicinarsi alle posizioni di Starmer e di Macron sul riconoscimento dello Stato di Palestina. In una prospettiva giuridico-costituzionale esistono i presupposti per questo riconoscimento oppure è un azzardo? O addirittura un atto di pura propaganda?

Cassese: Il riconoscimento di uno Stato comporta che altri Stati riconoscono che esiste un ordinamento giuridico dotato di tre poteri, che controlla un territorio e che è dotato di sovranità. Questo perché gli elementi fondamentali di uno Stato sono questi: la popolazione, il territorio e la sovranità. Ora, possiamo dire – al di là del chiaro allineamento dalla parte di una popolazione martoriata – che tutti questi elementi esistono nella zona? L’interrogativo che ci si può porre è se la dichiarazione di un prossimo riconoscimento di questo Stato è veramente fondata sull’esistenza di questi elementi (territorio, popolazione sovranità) oppure non è una comprensibilissima e condivisibilissima dichiarazione di supporto di una popolazione martoriata. Dal punto di vista giuridico questo è un problema.

Barbano: Dobbiamo tenere anche conto del fatto che la nozione di Stato che noi abbiamo si inquadra in un contesto illuminista ed occidentale ed è molto diversa dalla percezione che dello Stato che si ha in Medio Oriente, nel mondo arabo e forse anche in una parte del pensiero sionista, dove il concetto di Stato è qualcosa di più legato al dato etnico e identitario che a quello della cittadinanza.

Cassese: La domanda che io mi pongo è questa: le cose orribili che Netanyahu – non Israele – sta facendo, sono un’operazione bellica o un’operazione di polizia? Perché in realtà dietro tutto quello che sta succedendo c’è un equivoco. Si sta facendo, con mezzi tipici di un’operazione bellica, quella che è un’operazione di polizia, cioè un’operazione che non riguarda l’intera popolazione della striscia di Gaza, ma semplicemente un tentativo di identificare un gruppo criminale che deve essere sanzionato per avere a sua volta commesso delle azioni terribili. 
Netanyahu sta svolgendo un’operazione con mezzi bellici – che colpiscono tutti, anche i non colpevoli – per cercare i colpevoli. Colpevoli anzitutto del 7 ottobre e poi di detenere illegalmente e di avere in parte ucciso gli ostaggi. Se posso fare un esempio, forse un po’ peregrino, pensi al brigantaggio meridionale. 
Quando fu fatta l’unità d’Italia, per circa trent’anni, le forze militari furono utilizzate sul territorio nazionale per colpire il cosiddetto brigantaggio. In quel caso l’esercito venne utilizzato con funzioni di ordine pubblico e di polizia. Uno dei motivi della debolezza iniziale del nostro esercito fu che, invece di stare nelle caserme, era distribuito sul territorio per svolgere una funzione di polizia, che in alcuni casi fu anche molto cruenta, contro quelli che spesso erano dei semplici oppositori politici.

Barbano: C’è anche da dire che, a differenza dei briganti, Hamas è un gruppo terroristico che assoggetta un’intera popolazione, che solo apparentemente ne rappresenta il consenso, che riceve finanziamenti, che persegue il progetto di annientamento di un altro popolo. Aggiungo che non è casuale che qualche giorno fa la Lega Araba si sia pronunciata contro Hamas per la prima volta. Tutto questo, purtroppo, non è adeguatamente compreso. Occorre interrogarsi anche sul dopo. 

Cassese: Certo, perché altrimenti si ripropone il problema di territorio, popolazione, sovranità di cui parlavamo prima. Se si pone il problema del riconoscimento dello Stato, bisogna chiedersi dov’è la macchina dello Stato, dov’è l’ordine gerarchico, dove sono i dipendenti pubblici, coloro che costruiscono le strade, che organizzano un sistema scolastico e così via. Quindi c’è un serio problema di costruzione di una società civile nel senso hegeliano dell’espressione. E tutto questo viene percepito in maniera sbagliata a causa della forte polarizzazione delle opinioni pubbliche mondiali. 

Barbano: E direi anche delle classi dirigenti e dei circoli intellettuali. Ha visto le spaccature tra gli intellettuali che animano la rivista “Il Mulino”? Tutto è nato da un articolo di Sergio della Pergola giudicato troppo filo-israeliano. E’ come se nel dibattito quei fatti si amplificassero come accade sui social media e diventassero sentimenti fuori controllo. 

Cassese: D’altra parte la parola “polarizzazione” indica proprio questo: una progressiva modificazione dei propri atteggiamenti a favore di opinioni estreme. La polarizzazione comporta delle opinioni che non sono polarizzate, ma che lo diventano. Questo mi ricorda il 1924, quando uscì un libro che si chiamava Der Zauberberg, La montagna incantata (o “magica”). Thomas Mann in quel libro descrive la vicenda di oggi. Ci sono due personaggi, Naphta e Settembrini. Settembrini è ottimista, illuminista, romantico, progressista, liberale. Naphta è gesuita, nichilista, reazionario. Discutono per tutto il romanzo discutono, e alla fine questa discussione diventa un duello a cui Settembrini si sottrae e Naphta si uccide. Quello è un fenomeno di polarizzazione, di progressivo spostamento delle posizioni su atteggiamenti di tipo estremo. 
Qualche giorno fa, è stata data pubblicità ad un lavoro intrapreso da un economista e uno specialista di informatica, Leonardo Becchetti e Stefano Quintarelli. Hanno studiato perché nasce la polarizzazione. Nei termini di Thomas Mann: perché si passa dal dialogo al duello? Spiegano che la rete e i media, per richiamare l’attenzione del pubblico, tendono a enfatizzare i conflitti, perché i conflitti destano maggiore interesse. Si finisce per accentuare il litigio, il conflitto, il duello. Hanno messo in piedi un programma di intelligenza artificiale, chiamato Habermas Machine, nel quale hanno sperimentato, creando degli agenti virtuali e dando loro delle affermazioni divisive, un processo in base al quale lentamente tendono a convergere sulla base di un consenso. Hanno poi sperimentato questo processo su un piccolo campione di persone, partendo proprio da argomenti fortemente polarizzanti e sono riusciti a trovare delle piattaforme di consenso. Ora io penso che nelle società occidentali i modi di comunicazione sono cambiati al punto tale da accentuare questo aspetto “teatrale”, è come nel teatro dei pupi. Questo per dire ai miei cari amici del Mulino che loro dovrebbero fare un esercizio proprio di ricerca del consenso.

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