Intervista a Gadi Luzzato Voghera, direttore del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano
L’aggressione di domenica scorsa all’autogrill di Lainate è solo l’ultimo di una serie di episodi di antisemitismo che sono in aumento in tutti i paesi occidentali. Gadi Luzzatto Voghera ha studiato a lungo il fenomeno, a cui ha dedicato saggi e interventi pubblici. Dal 2016 dirige il Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano.
Professore, dobbiamo preoccuparci della nuova ondata di odio contro gli ebrei?
«Quello che è certo è che c’è una diffusa incomprensione del fenomeno dell’antisemitismo, che non è un fenomeno contingente. L’antisemitismo ha una storia lunga che si innesta poi nel nostro presente. Gli italiani, in particolare, sono piuttosto smemorati: in questo paese l’antisemitismo ha significato il venir meno di ogni libertà. Il regime fascista ha “coronato” il suo Ventennio proprio con le leggi razziali. Se ci sono aggressioni a persone solo perché identificate come ebree, questo non ha nulla a che fare con Gaza, ma con le nostre libertà e in particolare con la libertà di religione garantita dalla Costituzione».
In questione allora non è soltanto la libertà degli ebrei.
«In un episodio come quello dell’autogrill di Lainate vengono violati diritti e libertà di tutti. Dobbiamo renderci conto di questo: se nella nostra società esprimiamo in maniera aperta sentimenti, dichiarazioni o azioni antisemiti, questo è un segnale di allarme per il nostro sistema di relazioni fondato sulla Costituzione repubblicana e che ci ha dato la libertà fino ad ora. Quindi è tutta la società ad essere in pericolo».
L’antisemitismo sembra un sentimento diffuso in ogni parte politica. Anzi, in questa fase storica sembra allignare più nella sinistra radicale che altrove.
«E’ oggettivo che la sinistra – e non solo quella estrema – faccia molta fatica a riconoscere i germi dell’antisemitismo al proprio interno, anche in molti salotti buoni. Ci sono delle componenti del mondo progressista che non vedono di buon occhio gli ebrei per varie ragioni, ad esempio perché vengono visti storicamente come i rappresentanti dello spirito capitalista. In Inghilterra il partito Laburista ha istituito una commissione per verificare i comportamenti antisemiti dei propri membri. In Italia tutto questo viene rifiutato con sdegno».
Il risultato di questo sdegno sono le manifestazioni pro-Pal sostenute anche da parte del mondo progressista.
«Sì, ma quello a cui si assiste in quelle manifestazioni sono appelli al boicottaggio e alla chiusura totale. E in tutti questi atteggiamenti non c’è nulla di progressista».
Questi atteggiamenti di chiusura possono sfociare in antisemitismo?
«La chiusura fa sì che si crei l’immagine di un nemico, che come al solito è l’ebreo in quanto tale. E quindi sì, questo sfocia nell’antisemitismo, nella equiparazione di israeliani, sionisti ed ebrei, un’equiparazione fatta di valutazioni antistoriche e di pregiudizio».
Assistiamo a una mobilitazione intellettuale, giornalistica e culturale in favore della Palestina. La battaglia della propaganda è ormai persa da Israele. Perché è accaduto questo?
«Israele ha perso la guerra della propaganda due ore dopo il 7 ottobre. E’ come se al governo israeliano non importasse nulla di quello che succede nell’opinione pubblica mondiale. Questo, tra l’altro, è un atteggiamento che ha messo in grande difficoltà le comunità ebraiche internazionali. Di fronte ai numeri della strage o alle immagini dei bambini di Gaza c’è un silenzio totale dell’ambasciata, che in altri contesti ha parlato fin troppo. Per questo silenzio pagano dazio le comunità ebraiche, che si sono trovate sul fronte senza volerlo e doverlo essere».
Sull’altro fronte invece il sistema di propaganda è molto ben organizzato.
«E non solo quella di Hamas. Ci sono veline che partono dall’Irna, l’agenzia di stampa iraniana. Poi c’è l’incredibile azione comunicativa di Al Jazeera».
Perché incredibile?
«Le faccio un esempio: quando è iniziata la guerra in Ucraina ci si è resi conto che la Russian Television era uno strumento di propaganda anti-occidentale. E’ stata quindi subito oscurata in tutto l’Occidente, e con la Rt tutta la narrazione russa della guerra in Ucraina. Anche Al Jazeera è una televisione di propaganda pura, finanziata dal Qatar, che gioca il ruolo del grande mediatore ma che ha finanziato per decenni la costruzione dei tunnel a Gaza».
Nel dibattito pubblico sta prendendo piede una lettura dell’Israele biblico (non solo quindi di quello politico) come di un’entità intrinsecamente votata alla violenza. Si tratta, per così dire, di un antisemitismo intellettuale, avvolto da un manto di pensiero teologico. Che idea si è fatto?
«Dobbiamo liberarci dell’illusione che l’antisemitismo sia il frutto dell’ignoranza. Non è così. L’antisemitismo è un pregiudizio profondamente radicato e ci sono fior di studi che testimoniano che in Italia c’è un 10-12% di persone che hanno questo pregiudizio, che è trasversale a tutti i gruppi politici e a tutte le classi sociali e non ha nulla a che fare né con la presenza di ebrei né con la loro conoscenza diretta. Non deve quindi stupire che ci siano teologi o sedicenti tali che alimentino questo pregiudizio».
Si è aperto un dibattito intorno al riconoscimento dello stato di Palestina. Prima la Francia, ora sembra anche la Gran Bretagna. Ma basta riconoscere uno stato per farlo nascere? Non è una formula vuota?
«Perché ci sia la pace ovviamente devono esserci due stati che la stipulano. Dopo di che, non saprei dire chi rappresenti lo stato di Palestina, come e dove lo rappresenti. Io sono convinto che il problema sia la forma-stato, che è un prodotto della mentalità occidentale e che non si attaglia a certe situazioni. Quella di Macron è stata una boutade, oltre che l’ennesima dimostrazione che l’Europa è incapace di parlare con una voce unitaria».