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Riforma elettorale, la parola ai sondaggisti

Giuseppe Conte, leader del M5S

Per Noto e Piepoli gli italiani sarebbero favorevoli a un cambiamento della legge elettorale

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Eccolo di nuovo, il dibattito sulla legge elettorale, accompagnato dalla consueta schiera di retroscena, sussurri di palazzo, imbeccate giornalistiche, strategie (poche) e (molte) tattiche politiche. A chi conviene il proporzionale? A chi il maggioritario? Sul tavolo delle trattative di FdI c’è un proporzionale con premio di maggioranza al 40%, una soglia di sbarramento molto bassa (al 2%) per ottenere il sostegno dei partiti più piccoli e – forse la vera discriminante – il nome del candidato premier sulla lista, cosa che favorirebbe i partiti personali e penalizzerebbe il centrosinistra, ancora lontano dal trovare una leadership forte paragonabile a quella di Meloni.

Come di consueto, i partiti di maggioranza tentano di garantirsi il successo anche alle prossime elezioni politiche mettendo mano alla legge sulla base della quale verranno eletti i prossimi seicento parlamentari. Qui si nasconde il primo problema, come, dialogando con l’Altravoce, fa notare Antonio Noto, fondatore di NotoSondaggi, istituto demoscopico tra i più accreditati in Italia: «il problema è che si pone la questione solo a partire da quale legge elettorale può favorire l’una o l’altra parte politica, mentre ci si dovrebbe chiedere qual è quella che gli italiani preferiscono».

Il dibattito non è sulla rappresentanza ma sulla convenienza

In effetti, da quanto emerge dai retroscena, non sembra proprio che i tavoli delle trattative e i dibattiti tra alleati (e non solo) ruotino attorno a quale legge saprebbe rappresentare più fedelmente l’opinione degli italiani, ma su quella da cui i gruppi che la voteranno potrebbero trarre maggiore beneficio. Ma qual è la legge a cui gli italiani sono più affezionati? «E’ indubbiamente il vecchio mattarellum, perché era quello che garantiva un rapporto diretto tra elettori ed eletti, tanto che, anche dopo essere statti eletti, molti continuavano a coltivare il rapporto con il territorio».

Insistere sul proporzionale potrebbe allora rivelarsi un’arma a doppio taglio per la premier. La posta in gioco è molto più alta di quanto i normali giochi di palazzo suggeriscano. Ne va del modo di concepire la rappresentanza e il collegio uninominale, seppur con una piccola percentuale di proporzionale, sarebbe il sistema che garantisce il minore scarto possibile tra la volontà degli elettori e gli eletti.

La questione non si ferma qui, e limitarsi a opporre maggioritario e proporzionale rischia di far perdere di vista la questione ben più importante delle liste bloccate, che agli elettori proprio sembrano non andare giù. Ora il dibattito è se portare tutto sul proporzionale eliminando la quota residua di uninominale. Noto dice che non sarebbe una grande perdita, perché i collegi sono talmente grandi che anche quel voto finisce semplicemente confermare il proporzionale.

La Meloni punta sul proporzionale

Più ci si avvicina a una ripartizione proporzionale dell’opinione pubblica, più si è vicini al sentimento e anche al controllo della popolazione. Quindi, visto che il consenso della Meloni dopo tre anni di governo è ancora piuttosto alto, è normale che la premier punti sul proporzionale, ci spiega Nicola Piepoli, a capo dell’istituto di sondaggistica che porta il suo nome. E in tutto questo la Lega? Lo scambio di monete per assicurarsi l’appoggio sul proporzionale rischia di essere un gioco al massacro per il partito di Salvini, che non ci sta e punta sul quel poco di radicamento territoriale che gli rimane al nord.

Ma non basta l’uninominale a garantire il legame, come spiega ancora Piepoli: «non è detto che la Lega sia avvantaggiata dall’uninominale perché dipende da come sono composti i collegi, se i collegi sono regionali o provinciali. Ma sono convinto che il consenso degli elettori non si sposti di molto anche adottando una legge non proporzionale».

L’idea poi di mettere il nome del premier in lista è una fiche – se non si vuole parlare di arma di ricatto – da giocare per i cinquestelle, perché costringerebbe la coalizione di centrosinistra a trovare un accordo sul candidato premier. Ma su questo Piepoli tiene fede al suo lavoro e non si sbilancia: «Da sondaggista il dibattito sui nomi mi interessa meno rispetto a quanto mi interessi il buon funzionamento della democrazia.

E una democrazia funziona quando si rispetta la volontà popolare di aderire a un sistema che possa rendere la proporzionalità delle elezioni. Il sistema uninominale è sicuramente preferibile, vedasi l’Inghilterra che ha questo sistema da trecento anni ed è la democrazia che funziona meglio al mondo».

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