Di fronte a una politica così stupidamente pronta a finire nelle fauci della magistratura, accontentiamoci di aver portato a casa la separazione delle carriere. Mentre il Governo vuole svuotare le carceri come un bambino con un secchiello il mare
Il Pd che a Milano difende timidamente il sindaco Sala con qualche mal di pancia, a Roma vota compatto contro la separazione delle carriere. Compatto vuol dire che anche i riformisti, gli eredi della cosiddetta mozione Martina, che nell’ultimo congresso del partito esplicitamente proponeva due status e due regimi diversi per pm e giudici, rinnegano le loro stesse idee di fronte alla necessità di sbarrare il passo al riformismo del centrodestra.
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E ignorano perfino l’appello di colui che ne incarna la leadership morale, Enrico Morando, a «votare sul merito della riforma», e a «non trasformare la prova referendaria in un test per le successive elezioni politiche». Il fatto è che questa classe dirigente, nessuno escluso, si percepisce in campagna elettorale permanente, su due fronti sempre diversi e contrapposti, poiché nella contrapposizione è la sua stessa identità, e perfino Renzi sente la necessità di distinguersi da una svolta storica sulla giustizia che chissà quante volte, nei suoi tormentati 1023 giorni di governo, ha sognato, ma oggi disconosce con un’incomprensibile astensione.
Allo stesso modo seicento chilometri a Nord, dagli scranni di Palazzo Marino, Fratelli d’Italia e la Lega chiedono a gran voce le dimissioni di Beppe Sala, nonostante la premier Meloni si sia astenuta dal farlo. Ma si sa, l’occasione di mettere le mani su Milano con l’aiutino dei pm è troppo ghiotta per lasciarsela scappare.
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Eppure l’inchiesta della procura insegna in controluce che la tentazione di lucrare sulle disgrazie altrui alla fine ti si ritorce sempre contro, perché prima o poi arriverà il tuo turno. Per comprenderlo basta tornare indietro ai giorni dell’indagine di Genova contro il governatore Giovanni Toti, le cui dimissioni furono più o meno esplicitamente sollecitate dalla procura con una interpretazione della legge sulla custodia cautelare del tutto originale: il rischio di reiterazione del reato veniva dedotto dal fatto che il governatore restava in carica. La mera persistenza del mandato era indizio della sua presunta pericolosità. Un’interpretazione palesemente abnorme, che tuttavia fu rivendicata apertamente dalla magistratura inquirente. Alla fine il governatore dovette inchinarsi, mentre Elly Schlein e i maggiorenti del Pd manifestavano con i Cinquestelle in piazza, invocando le dimissioni.
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L’inchiesta di Milano è la nemesi. I pm chiedono gli arresti dell’assessore all’urbanistica Giancarlo Tancredi, adducendo a prova della sua pericolosità il fatto che resti in carica. La riforma recentemente approvata gli concede un interrogatorio preventivo. È una garanzia alla sua libertà, ma non all’autonomia della politica. Perché le accuse della procura finiscono sui giornali come verità rivelate prima che un giudice terzo ne confermi la fondatezza
E l’enfasi mediatica rafforza il giudizio di pericolosità per l’assessore. Così il Pd s’inchina alla legge del più forte e consegna il suo scalpo alla procura. Ma, così facendo, delegittima il sindaco e la sua azione politica. Di più, offre a Sala un sostegno parziale, invocando una discontinuità che suona come una smentita. E su questa imbarazzata unità si tuffa a pesce l’opposizione del centrodestra, garantista a Roma e giustizialista a Milano, fingendo di ignorare che tra pochi mesi, forse giorni, un’altra inchiesta colpirà i suoi esponenti. E la pantomima si ripeterà a parti invertite.
Di fronte a una politica così stupidamente pronta a finire nelle fauci della magistratura, accontentiamoci di aver portato a casa la separazione delle carriere, ben sapendo che passeranno anni prima che dispieghi i suoi effetti, e restituisca al giudice terzo quel primato che è il vero obiettivo della riforma. E che è fatto di status, di cultura della giurisdizione, di indifferenza all’esito del giudizio, agli obiettivi della politica criminale e alle pressioni della piazza. Virtù da coltivare e da concimare finché il processo accusatorio, fondato sulla parità reale e non fittizia delle parti, non diventi realtà.
Quanto al rischio paventato che i pm slittino verso la postura di poliziotti irresponsabili, le cronache di Milano dimostrano che ciò è già accaduto. La giustizia malata può guarirla solo il magistero di un giudice terzo, indipendente e sovrano nella solitudine della sua immensa responsabilità.
P.S. Il Governo intende svuotare le carceri allo stesso modo con cui un bambino con un secchiello si proponesse di svuotare il mare. La priorità proclamata dal ministro Nordio è tardiva e insincera, poiché è unicamente volta a rispondere ai severi moniti del Capo dello Stato.
L’annuncio dei quindicimila nuovi posti è una misura inadeguata e insufficiente a trasformare le carceri in luoghi dove siano garantite condizioni di umanità. La detenzione differenziata per i tossicodipendenti in comunità è solo un annuncio, finché non sarà tradotto in legge da una maggioranza di cui fanno parte anche gli esponenti della Lega, non a caso assenti ieri alla conferenza stampa del governo. La liberazione anticipata per chi deve scontare una pena residua minore di due anni è una delega deresponsabilizzante alla solitudine dei magistrati di sorveglianza, pochi e intimiditi. Per questi motivi, e con la speranza di smentirci, chiamiamo le misure del governo per quello che appaiono: un bluff.