23 Dicembre 2025

Direttore: Alessandro Barbano

23 Dic, 2025

Europa e Occidente dopo Trump: la democrazia liberale alla prova

Dal tramonto dell’asse euro-atlantico all’ascesa dei populismi, passando per la crisi dell’Ue: tra Trump e paura del futuro, l’Europa è chiamata a reinventare se stessa se vuole salvare l’idea stessa di Occidente


Fine anno, tempo di bilanci. Muoviamoci per una volta in modo trasgressivo: niente focus sul 2025 che sta finendo, mentre attenzione concentrata al secondo quarto di secolo che si aprirà dal primo gennaio 2026. Quali le prospettive?

Tra le numerose evoluzioni di questo complicato primo quarto di XXI secolo, una appare evidentissima: il concetto di occidente euroatlantico deve essere ripensato nella sua totalità.

Trump, con i suoi modi brutali e il suo incedere spesso imperscrutabile ne ha certificato l’esaurirsi, perlomeno nella versione che si era progressivamente strutturata a partire dal primo intervento statunitense sul continente europeo nel corso della Grande guerra.

LEGGI Trump nomina il governatore della Louisiana ‘inviato speciale’ in Groenlandia

Giunto alla Casa Bianca per la prima volta nel gennaio 2017, un secolo esatto dall’ingresso nel primo conflitto mondiale degli Stati Uniti di Woodrow Wilson, il tycoon americano ha segnato la fine di un’epoca. E come spesso accade oggi viviamo in quella terra di mezzo simil rivoluzionaria così caratteristica delle fasi di transizione.

La centralità della democrazia liberale

Alla ricerca di qualche chiave di lettura sensata per interpretare tale transizione, è necessario tornare all’essenziale. Se volessimo descrivere in maniera semplice l’evoluzione dell’occidente euroatlantico dovremmo considerare la centralità del concetto di democrazia liberale.

Per un secolo abbondante l’occidente euroatlantico ha fatto della democrazia liberale il suo credo assoluto, affinché prevalesse e poi si consolidasse. In terra d’America con un’accentuazione maggiore da un punto di vista capitalistico ed imprenditoriale. Sul versante europeo con più attenzione alla dimensione sociale.

A partire dal post 1945, grazie alla spinta statunitense, il processo di integrazione europeo ha svolto un ruolo decisivo per l’espansione e il consolidarsi del primato della democrazia liberale.

Lo dimostrano in maniera evidente la pacificazione franco-tedesca, i successi delle prime Comunità e poi progressivamente gli allargamenti alle ex dittature mediterranee e poi alle ex democrazie popolari dell’orbita sovietica.

LEGGI «Ho ereditato un disastro, ora siamo tornati»: Trump ‘urla’ all’America

L’adesione alla Cee, poi Ue, è stata sempre garanzia di sviluppo democratico. E il percorso verso l’adesione è divenuto sinonimo di prosperità almeno quanto di processo di democratizzazione.

L’Europa e la crisi del modello euroatlantico

Ebbene sulle due sponde del “lago Atlantico” oggi tutto ciò sembra profondamente rimesso in discussione.

Gli Stati Uniti non solo hanno messo in dubbio tale centralità del modello di democrazia liberale, ma hanno anche formalizzato la competizione all’interno dello spazio euro-atlantico. E cosa dire dei Paesi dell’Ue?

La liberal-democrazia sotto attacco

Prima di tutto si possono citare i casi emblematici di Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia che hanno fatto della rimessa in discussione dei cardini del modello liberal-democratico la loro ragion d’essere e la loro proposta di governo del paese. Ma segnali d’allarme giungono da opinioni pubbliche ed elettorati di Stati ben più popolosi e storicamente determinanti per il processo di integrazione europeo sin dalle origini come Francia e Germania.

In questo caso ci sembra di poter certificare una sorta di schizofrenia democratica in azione. A leggere le più recenti indagini d’opinione, tra molte si può citare l’ultimo Eurobarometro dell’autunno 2025, una larghissima maggioranza di europei parla di un’Unione che dovrebbe svolgere un ruolo più rilevante nella protezione dalle crisi internazionali.

Addirittura, si arriva al 90% degli europei, i quali sostengono che gliStati membri dovrebbero affrontare insieme le sfide globali e circa l’80% che vorrebbe dotare l’Ue di più mezzi per muoversi in un fronte geopolitico sempre più sfidante. Il dato impressionante è che le stesse opinioni pubbliche, quando si confrontano con il voto, sembrano fare scelte in totale discontinuità rispetto a tale richiesta di “più Europa”.

LEGGI Garanzie Ue e opting out, il “compromesso Meloni” che ha convinto l’Europa

Germania e Francia: i segnali più evidenti

Sul fronte tedesco abbiamo una AfD sempre più avanti nei sondaggi, oggi è data al 26%, nettamente primo partito di Germania. Ma già alle elezioni dello scorso febbraio, Alternative aveva ottenuto oltre dieci milioni di voti ed eletto 151 deputati. All’estremo opposto troviamo Die Linke, che sfiora il 15%. In sostanza oltre quattro tedeschi su dieci sono pronti a scegliere un partito radicale o antisistema.

E cosa dire dell’altra sponda del Reno? Qui in vista dell’esaurirsi anche del secondo mandato di Macron, caratterizzato da un’instabilità governativa per la quale la Quinta Repubblica aveva rappresentato la soluzione, troviamo un Rassemblement national oltre al 30% oramai stabilmente.

Basti pensare che alle ultime elezioni presidenziali oltre il 60% dei francesi al primo turno ha scelto un candidato di un partito antisistema (RN, LFI o Zemmour). Discorsi simili potrebbero essere fatti per la Spagna e per la Polonia e un capitolo a sé meriterebbe il caso britannico, con Reform UK di Nigel Farage di nuovo in prima linea dopo aver portato a casa Brexit: oggi tutti i sondaggi lo accreditano del primo posto in caso di elezioni e con oltre 250 mila iscritti risulta anche il partito con più militanti del Regno Unito.

Un nuovo concetto di occidente

Insomma, al di là e al di qua dell’Atlantico la democrazia liberale sembra arretrare, travolta da un’onda rivoluzionaria quanto populista. La ribellione domina nel tempo dell’ansia per il futuro e della trasgressione. I concetti di destra e sinistra non sembrano più in grado di fotografare il reale.

Il culto del relativismo ha finito per produrre quello della post-verità e l’imporsi del politicamente corretto ha generato soggetti legittimati dalpoliticamente scorretto (vedi il nesso tra cultura woke e trumpismo). Questo mix per nulla virtuoso ha trovato il suo definitivo innesco nella fase della crisi pandemica. Oggi ci troviamo al punto di non ritorno.

La domanda da porsi è se interessa ancora a qualcuno provare a declinare un nuovo concetto di occidente, partendo oggi per forza di cose dalla sua dimensione europea e soprattutto dall’inattuale primato della democrazia liberale. Se la risposta è positiva occorre prima di tutto andare alla ricerca di leadership nazionali nel Vecchio Continente capaci di contrastare l’estremismo radicale in apparenza sempre più dominante.

Uno dei più influenti pensatori del nostro tempo, Ivan Krastev, di recente ha ricordato le parole del liberale Sieyès a proposito dei complicati anni del “terrore rivoluzionario”. Da liberale quale era, la sua unica preoccupazione era stata quella di sopravvivere.

Una volta tenuta in vita la fiammella liberaldemocratica, serve poi provare a declinarla in base agli odierni “tempi nuovi”, essere cioè pronti a confrontarsi con concetti “scabrosi” come quelli di nazione, di confine, di sicurezza ma anche di produttività, di merito e di competizione.

La rivoluzione radical-populista, o rivolta contro le élite che dir si voglia, deve essere letta come desiderio estremo di protezione e benessere. L’Europa deve farsi carico di questo fardello, se vuole dare una nuova possibilità all’occidente liberal-democratico. Il prossimo quarto di secolo sarà quello decisivo.

Una voce delle notizie: da oggi sempre con te!

Accedi a contenuti esclusivi

Potrebbe interessarti

Le rubriche

Mimì

Sport

Primo piano

Nessun risultato

La pagina richiesta non è stata trovata. Affina la tua ricerca, o utilizza la barra di navigazione qui sopra per trovare il post.

EDICOLA