Nel loro ciclico ripetersi, non sono altro che momenti di transizione, di cambiamento che scandiscono il trascorrere inesorabile del tempo
Eugenio Montale, sfidando il mistero del tempo, rappresentava l’esistenza umana come un grande albero che fiorisce e sfiorisce, rinasce al sole e si spoglia nell’inverno. Una visione ben presente anche nelle nature morte antropomorfizzate dell’Arcimboldo che sono un chiaro riferimento alle quattro età della vita dell’uomo, e alle caratteristiche che meglio contraddistinguono ciascuna di queste fasi. Perché, come la vita, così le stagioni, nel loro ciclico ripetersi, in fondo non sono altro che momenti di transizione, di cambiamento, che scandiscono il trascorrere del tempo, donandoci un singolare ritratto del mutamento della grande e intricata trama della vita umana.
È così che le stagioni della natura, ma anche stagioni esistenziali, storiche, sociali e sportive sono da sempre fonte di ispirazione in tutte le loro sfumature e suggestioni: a volte come indimenticabile sfondo a grandi romanzi, altre volte divenendo esse stesse protagoniste.
Come non ricordare i venti racconti associati alle stagioni di Italo Calvino nell’opera Le stagioni in città, dove all’inverno del freddo e della fatica si contrappone la luce e la leggerezza della primavera enfatizzate poi, dal calore dell’estate che cederà il posto al desiderio della calma ovattata dell’autunno. Una stagione, quella autunnale, che coinvolge i nostri sensi a tutto tondo, ma spesso intesa in senso metaforico, come il declino di un’epoca, di una società e dei suoi valori.
Non a caso, per Montale, è l’autunno la stagione che meglio rappresenta l’umano, perché la più incerta e in quanto tale sottratta alla costante illusione della ripetizione che sfiora l’eterno, essendo l’uomo fatto di materia, con un corpo usurabile, soggetto alla vecchiaia e al mutamento. Così il poeta, nella sua raccolta più metafisica Satura del 1971, sfida la concezione comune delle stagioni, dimostrando che non sono altro che attimi di mutamento cui l’uomo ha voluto dare un nome per poter meglio circoscrivere l’ampio raggio della vita.
Ma l’autunno è anche sinonimo di malinconia. Un sentimento che pervade Anne Elliot, la protagonista di Persuasione di Jane Austen, che si gode lo spettacolo delle foglie cadute mentre cammina per strade nebbiose con passi scricchiolanti su tappeti di foglie dorate e arancioni e tra siepi ingiallite, triste per un amore perduto. L’opposto di Orgoglio e Pregiudizio che invece brilla come un sole, che illumina la primavera della vita perché è durante una Pasqua primaverile che tutta la storia arriva a un punto di svolta.
Scrittori come Albert Camus e Virginia Woolf hanno spesso utilizzato la stagione autunnale come metafora per esplorare i temi della solitudine e dell’esistenzialismo, perché stagione di passaggio, di incertezza, ma anche momento di simbolico approccio alla meditazione e di potenziale trasformazione. A ricordarcelo sono anche i versi di To Autumn di John Keats, che celebra l’autunno come una stagione di pienezza e bellezza, un momento in cui la natura raggiunge il suo massimo splendore prima del declino.
Immagini che evocano non solo la bellezza fisica del momento, ma anche il profondo significato emotivo che questa stagione può trasmettere: una celebrazione della vita e una meditazione sulla sua fragilità. Autunno, quindi, come sinonimo di una certa decadenza a tratti pure dolce, di passioni dispettose, ma anche espressione di un’anima in trasformazione.
Ma c’è anche l’autunno fatto di mosto ed ebbrezza come canta Guccini e racconta Vivaldi, misto all’odore di legna bruciata: colori e atmosfere che talvolta diventano protagonisti anche nel racconto visivo. È quanto accade nelle opere di Van Gogh, le cui pennellate sembrano danzare come foglie mosse dal vento, creando un movimento che riflette l’energia stessa della stagione. Un’energia che, nei quadri del pittore olandese assume toni malinconici e spogli per descrivere la fine di un ciclo di vita, mentre nell’Autunno ad Argenteuil di Monet riacquista luce e colore, nella consapevolezza che la vita va avanti e si rinnova, mentre il tempo passa con le sue stagioni.
Se l’autunno è metafora della vita in tutta la sua precarietà e provvisorietà, nonostante i tentativi di certezze che gli stessi uomini si costruiscono.
Una condizione che riguarda tutti indistintamente, come testimonia la piccola ma famosa poesia di Giuseppe Ungaretti “Si sta come d’autunno sugli alberi le fogli”, scritta nel bosco di Courton, sul fronte della prima guerra mondiale. Che dire dell’inverno: con il suo freddo mantello avvolgente che ricopre tutto di bianco, immergendo ogni cosa nel silenzioso fruscio del vento gelido, la stagione invernale si rivela un vero e proprio specchio dell’animo umano.
Pieter Bruegel il Vecchio, nell’opera Cacciatori nella neve del 1565, esplora questo periodo dell’anno soffermandosi sulla bellezza del paesaggio invernale e intessendo il silenzio della neve con l’attività umana: i cacciatori sono ancorati alla quiete della stagione, diventando simbolo della relazione tra l’uomo e la natura.
Un simbolismo intrinseco, quello della stagione invernale, che riceve la sua consacrazione ufficiale grazie al maestro delle novelle natalizie, Charles Dickens. Nel suo capolavoro Canto di Natale del 1843, l’inverno diventa il palcoscenico per la trasformazione interiore dei personaggi, simboleggiando il suo potere rigenerante non solo sulla natura circostante, ma anche sulla psiche umana. Così l’inverno non è solo uno sfondo scenografico, ma un elemento chiave per la narrativa che incarna il cambiamento e le possibilità della rinascita. La stagione fredda diviene in tal modo il palcoscenico sul quale installare una scenografia emotiva per riflettere sulle sfide interiori e le passioni rimaste inesaudite, cercando la forza per rialzarsi ed essere pronti quando le aspettative affiorano e si scontrano con la realtà.
L’inverno come stagione ideale per foraggiare l’anima, darle alimento e respiro, in quanto periodo dell’anno in cui, come ricorda F. Scott Fitzgerald in Sogni d’Inverno, le illusioni si svelano e le emozioni si congelano per ritornare a fiorire non appena sfiorate dal tepore dei primi raggi primaverili. Perché l’animo umano, proprio come la semente, ha bisogno di terra fertile per poi tornare a nuova vita, e con il gelo e l’inerzia i mesi invernali sono una cornice preziosa in cui ritrovare noi stessi.
La riscoperta di sé stessi ed il rifiorire della natura prodiga di ogni bene fuori dal tempo sono da sempre la chiave di lettura del periodo primaverile. A questo modello non si sottrae neppure il Sommo poeta, parlandone nei canti XXVIII e XXX del Purgatorio, ai quali si sarebbe ispirato Botticelli. Che la primavera coincida con il risveglio e la rinascita, con le sue gioie e i suoi tormenti lo troviamo anche nel sonetto A Zacinto, di Ugo Foscolo, in cui la dea della bellezza rende feconde le isole del Mar Greco col suo primo sorriso ed è sempre portatrice di vita coincidente con la stagione fiorita della primavera.
Tutte sensazioni che sono ben radicate nell’immaginario collettivo dell’umanità fin dall’alba dei tempi.
A ricordarcelo sono anche Lucrezio, Petrarca e Geoffrey Chaucer, poeta inglese autore dei Racconti di Canterbury.
Nei loro scritti c’è la presenza di Zefiro, il vento spesso mite che soffia da ovest, associato all’arrivo del bel tempo e alla fine del freddo, considerato da tutti e tre i poeti portatore di una qualche forza naturale che infonde energia e desiderio di vivere, di amare e di muoversi.
Ma se vogliamo trovare una diversa percezione di questa stagione, ci dobbiamo spostare in Germania con Hermann Hesse, il cui il famoso risveglio di Siddharta avviene proprio in questa stagione ed è di carattere mentale e spirituale, risultato di una ricerca interiore (der dasein) faticosa e audace, radicalmente influenzata dalla filosofia orientale: “Mi sono risvegliato nella realtà e oggi nasco per la prima volta”.
Immagini, parole, versi che ci regalano l’illusione che il soffio esistenziale di questi momenti possa durare per sempre, come se non fosse soggetto alle leggi ordinarie del tempo quotidiano, ma solamente a quelle della nostra speciale immaginazione. Eppure anche le stagioni scorrono, alternandosi fra loro, perché ciascuna racchiude in sé un mutamento e un’evoluzione implicita, proprio come la vita stessa. Ed è così che dopo la primavera arriva l’estate.
La stagione estiva è una realtà insieme misteriosa e familiare: un momento evasivo, di rottura e di incanto, in cui si vive in un tempo sospeso rispetto allo scorrere della vita di ogni giorno. Lunghe giornate, il calore del sole, il mare scintillante e le spiagge dorate: sensazioni che alcuni autori riescono a catturate dando sostanza all’effimera e fugace essenza della stagione estiva. È così se pensiamo a Gita al faro di Virginia Woolf, oppure ad Acqua di mare di Charles Simmons, ma anche a La bella estate di Cesare Pavese.
Una delle testimonianze più antiche dell’estate la troviamo nelle pagine di Ovidio più precisamente negli Amores, dove il poeta scrive: “Nel calore dell’estate e a metà del giorno. Per riposare le mie membra su un letto mi sono sdraiato” . Mentre, in Oliver Twist Dickens celebra l’arrivo dell’estate come stagione più fiorente perché: “La terra aveva indossato il suo manto di verde brillante e spargeva i suoi profumi più ricchi; tutte le cose erano felici e fiorenti”.
Botticelli, nella sua celebre opera La Nascita di Venere evoca l’estate attraverso la figura della dea emergente dalle acque, con un’ambientazione che richiama la bellezza e la fertilità della stagione. A catturare la bellezza dei giorni d’estate è anche l’arte di Claude Monet con la sua attenzione alla luce e ai momenti fugaci. Mentre, grazie a Paul Gauguin e ai suoi quadri tahitiani, si può esplorare l’estate tropicale con una visione esotica e simbolica.
Momenti di mietitura tra le spighe mature, trionfo di luce che emana calore e lucentezza mentre i campi sono vitali e colorati celebrando l’abbondanza della natura: sono le tipiche immagini di una giornata d’estate che alle volte a fatica una fotografia può contenere. Ma è un attimo, e l’aria ancora tiepida che ci regala mesi di una dolce estate tardiva suggerisce che le giornate si fanno più lunghe e si può rallentare, per riconnettersi con il ritmo interiore, secondo un ciclo inevitabile.
(Nella immagine, il quadro di Ferdinando Hodler “Mattino d’autunno”)


















