22 Dicembre 2025

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21 Dic, 2025

Nel paradiso delle sante travestite

Gli abiti maschili come corazza e gabbia contro soprusi e violenze misogine


di EDVIGE VITALIANO

Sotto mentite spoglie si può anche raggiungere il Paradiso. Questa è una storie di donne e di sante. Sante travestite, così le chiamano. Figure storiche e leggendarie della agiografia cristiana. Fanno parte di un racconto che esce fuori dagli schemi, oltrepassa il consueto, sfida i codici, pone domande e resta un mistero. Pelagia, Tecla, Eugenia, Marina, Giovanna: sono solo alcune delle protagoniste di una trama che fa il paio con diversi punti di domanda.

Chi sono queste donne? Perché hanno indossato abiti maschili? E può un vestito essere la corazza o la gabbia con cui presentarsi al mondo?

Identità celate. Nascoste per sfuggire a matrimoni imposti, per entrare in quei monasteri vietati alle donne, per scampare alle persecuzioni, per praticare la fede dopo la conversione o vivere da eremite in situazioni estreme mettendo alla prova il corpo e la mente. L’anagrafe velata allora può diventare una sorta di salvacondotto per vivere la vita che si è scelto di vivere, per difendersi e difendere ciò che si è e ciò in cui si crede. C’è chi si è chiesto se queste storie non siano che leggende che lambiscono solo in parte la verità e chi a queste figure ha dedicato studi e ricerche. Poco importa. Basta anche solo sfiorare questi racconti arrivati fino ai nostri giorni, per avere la misura con quante e quali prove le donne hanno dovuto fare i conti nel corso dei secoli. Tra fatti e fiorite epopee, capita pure di imbattersi in doppie e più narrazioni.

La vicenda di Pelagia – il cui nome in latino evoca il mare – insegna. Nel suo caso non una, non due ma di più. Il Martirologio Romano ricorda quattro sante con questo nome. Ma in questa cronaca d’altri tempi, però, seguiamo due versioni e andiamo ad Antiochia. Secondo alcune fonti, la “prima” Pelagia fu un’attrice e pare anche una famosa prostituta. Dopo la conversione condusse una vita da penitente e morì da eremita presso Gerusalemme. Secondo altre fonti, la “seconda” Pelagia fu una vergine e martire, menzionata da san Giovanni Crisostomo e sant’Ambrogio. Alla sventurata sarebbe toccato in sorte di buttarsi da una finestra per preservare la purezza durante la persecuzione di Diocleziano.

Ma torniamo alla “prima” Pelagia. La vicenda si nutre di dettagli. Di lei si canta per esempio una bellezza così rara da farle guadagnare il nome di Margherita. E allora, te la immagini bella come i petali candidi di una fiore spuntato ai bordi di una strada polverosa. Fantasia o realtà? Nella Vitae Sanctae Pelagiae meretricis, però, si legge che la giovane era famosa per essere “la prima delle attrici di Antiochia, ed era anche la prima delle danzatrici mimiche” e che andava in giro in corteo ricoperta di “oro e perle e pietre preziose…”. L’incontro con un vescovo e le sue parole segnano la svolta. Battezzata, Pelagia detta Margherita cambia. Si spoglia dei suoi preziosi abiti e indossa la tunica del penitente. Lascia Antiochia. Raggiunge a piedi Gerusalemme. E qui vive in una “modesta cella chiusa da ogni parte e che aveva una piccola finestrella su una parete”. Scambiata per un uomo viene chiamata Pelagio. Si dice che il monaco eremita sotto la tunica avesse messo una camicia di pelo. La morte ne restituisce la vera identità.

Diversi i racconti nati anche intorno alla figura di Tecla di Iconio, patrona degli internauti. Discepola di San Paolo, Tecla si taglia i capelli e si traveste da uomo per sfuggire alle persecuzioni. Uno stratagemma che le consente di seguire Paolo ma anche di vivere poi in eremitaggio. Capace di autobattezzarsi dopo aver affrontare le belve nell’arena in cui fu gettata per aver respinto una persona influente c’è chi la descrive come «un personaggio virile (…). Questo carattere forte, che trasforma spiritualmente una donna in un uomo, diverrà paradigmatico per le agiografie femminili dal IV secolo in poi». La sua biografia compare per la prima volta nel testo apocrifo Atti di Paolo e Tecla.

E veniamo ad Eugenia: vergine martire romana, seppellita nel cimitero di Aproniano, sulla via Latina. In suo onore poi fu costruita una basilica restaurata durante l’VIII. secolo. Figlia del nobile romano Filippo dopo la nomina del padre a prefetto d’Egitto da parte dell’imperatore Gallieno, Eugenia si trasferisce insieme alla famiglia ad Alessandria: qui viene convertita al cristianesimo dagli eunuchi Proto e Giacinto, suoi schiavi. Consacrata in gran segreto la sua verginità a Dio, per evitare le nozze con il giovane Aquilino (figlio del console), la giovane si traveste da uomo e si ritira sotto falsa identità in un monastero maschile. Eugenia diventa l’abate Eugenio. In queste vesti, dovrà fare i conti con la ricca Melanzia che respinta per vendetta punta il dito e tira in ballo le molestie sessuali. L’unica via di salvezza? Svelare l’identità: l’abate torna ad essere per tutti Eugenia. Commossi e grati per aver ritrovato la figlia che credevano perduta, i genitori della giovane aderiscono al cristianesimo e praticano opere di carità. Lei, Eugenia viene fatta decapitare ad Alessandria dal prefetto Nicezio un 25 dicembre di diversi secoli fa. Ma anche in questo caso le facce della storia sono doppie come quelle delle medaglie. Un’altra versione vede Eugenia, il cui nome di origine greca significa “nata bene”, subire il martirio a Roma sotto Gallieno e Valeriano.

Di Marina, invece, si racconta sia nata in Bitinia nel 725 circa e morta in Libano nel 750 circa. Marina viene descritta come una religiosa che visse sotto abiti camuffati in un monastero maschile col nome di Marino. È venerata come santa dalla chiesa cattolica, da quella ortodossa e da quella copta. Le sue spoglie sono conservate a Venezia (dal XIII secolo), nella chiesa di Santa Maria Formosa, dal 1810: la città veneta la venera anche come compatrona secondaria.In monastero vestita da uomo con il cappuccio calato sugli occhi che nella penombra misteriosa del chiostro ne cela l’identità, Marina ci entra con la complicità del padre che le taglia pure i capelli. A lei o meglio a Marino, il destino riserva l’accusa ingiuriosa e beffarda di aver messo incinta la figlia di un locandiere. Cacciata dal convento, vive per tre anni insieme al piccolo nato. Raminga tra stenti e elemosina senza mai svelare il suo segreto. I monaci che la riammettono tra loro – come per Pelagia – ne scopriranno l’identità alla morte insieme alla falsità dell’accusa che l’aveva costretta fuori dalle mure del monastero.

C’è poi la leggenda della papessa Giovanna secondo cui sarebbe stata lei l’unico papa donna e avrebbe regnato sulla Chiesa col nome pontificale di Giovanni VIII dall’855 all’857. In base al racconto tramandato, a svelare l’arcano nel suo caso i dolori del parto durante una processione. La vicenda è considerata dagli storici alla stregua di un mito o di una leggenda medievale.

In questa storia non può mancare Giovanna d’Arco: pulzella d’Orléans, eroina nazionale francese. Beatificata nel 1909 e proclamata santa da papa Benedetto XV nel 1920.

Rivoluzionaria, carismatica, coraggiosa, in Francia contro gli inglesi sul finire della sanguinosa “Guerra dei Cent’anni” la sua figura entra nella Storia dalla porta principale. Giovanna: la piccola contadina che udiva le voci e vedeva angeli e santi; Giovanna in battaglia a cavallo con i capelli “tagliati corti e rotondi come quelli di un giovane uomo”; Giovanna con indosso l’armatura o in spartani abiti maschili: così la conoscono tutti… Così e al rogo il 30 maggio del 1431 con l’accusa di stregoneria prima e eresia poi. «Tenete la croce in alto, cosicché io possa vederla anche attraverso le fiamme», le sue parole.

E questa non è una leggenda!

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