16 Dicembre 2025

Direttore: Alessandro Barbano

16 Dic, 2025

Bertolotti: «Sydney può accadere anche in Italia»

Per Claudio Bertolotti l’attentato in Australia non è un episodio isolato ma il punto di arrivo di una nuova ondata di jihadismo globale che rischia di estendersi anche all’Europa e all’Italia.

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«È un attacco contro gli ebrei in quanto tali, coerente con la chiamata fatta da Hamas nel novembre ’23 a colpire gli ebrei e i loro alleati in tutto il mondo. È un cerchio che si chiude. Quello di Syndey è un evento che si inserisce nel jihad globale con specifico riferimento alle dinamiche più recenti del medio oriente». Claudio Bertolotti è direttore esecutivo dell’osservatorio sul radicalismo e il contrasto al terrorismo “ReaCT” e direttore della rivista online Start Insight.
«Va subito precisato che il terrorismo è soltanto la punta dell’iceberg di un più ampio fenomeno di radicalizzazione. Non tutti i radicalizzati poi portano a compimento atti terroristici».

Perché questo attentato ha avuto un tale impatto mediatico?

«Perché si tratta di un attentato di successo. Ha avuto successo a livello strategico – perché ha generato appunto grande attenzione mediatica -, a livello operativo – perché ha bloccato un intero quadrante della città – e dal punto di vista tattico, perché ha ottenuto un alto numero di morti e di feriti. Tutto questo contribuisce a farne un atto terroristico “di successo”».

In cosa differisce dagli altri atti terroristici a cui assistiamo in occidente?

«Spesso il terrorismo è individuale, emulativo, disorganizzato, insomma spesso è fallimentare e per questo non ottiene grande attenzione mediatica. Ma qui parliamo di due attentatori con il minimo di organizzazione e di supporto logistico».

All’impatto mediatico ha contribuito molto il fatto che gli attentatori fossero padre e figlio. È una novità?

«È un elemento statisticamente irrilevante, proprio perché la maggior parte delle azioni terroristiche sono individuali, condotte da soggetti che agiscono all’ombra anche rispetto alle famiglie, che danno segni di radicalizzazione, ma la cui volontà violenta si manifesta solo nella fase condotta dell’attacco. Ci sono stati casi di fratelli o cugini che hanno agito di concerto, come a Parigi nel 2015. In questo caso bisognerebbe capire se è stato il padre a coinvolgere il figlio o viceversa».

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Tendenzialmente la radicalizzazione ha più presa sui giovani?

«Ha presa sui molto giovani e sui giovani adulti, fino ai 25-30 anni. L’età mediana dei terroristi è di 24 anni, con un’ampia partecipazione di giovani in età post-adolescenziale, che rispecchia anche l’età di coloro che negli anni 2014-17 hanno lasciato l’Europa per combattere con lo Stato Islamico in Siria e Iraq».

L’Australia ha fatto poco per contrastare la radicalizzazione islamica che ha seguito la guerra di Gaza. Il contesto politico contribuisce al diffondersi di questa nuova ondata di jihadismo?

«È vero che l’Australia ha avuto una politica molto tollerante nei confronti delle frange islamiste più violente, ma il problema è la scarsa capacità di comprendere il rischio dell’Islam politico, in particolare di quello legato alla fratellanza musulmana, in cui si riconosce anche Hamas, che è a sua volta sostenuto sia dalla Turchia che dall’Iran».

All’interno dell’opinione pubblica italiana ed europea si possono trovare questi elementi radicalizzati?

«Molti dei gruppi cosiddetti pro Pal hanno tra le loro fila elementi fortemente radicalizzati e spesso direttamente collegati alla fratellanza musulmana. Questi gruppi hanno creato una narrazione che passa dall’antisionismo all’antisemitismo senza soluzione di continuità e sovrappone le legittime istanze dei palestinesi a quelle di Hamas. L’incapacità dei governi di individuare questo legame fa sì che il movimento pro Pal venga recepito in toto come un fenomeno di protesta legittimo e non pericoloso, quando invece al suo interno ha dei semi estremamente preoccupanti».

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Quindi il pericolo riguarda anche l’Italia?

«Sì, in Italia è particolarmente pericolosa la fusione di istanze ideologico-religiose con agende e narrazioni “laiche”».

A cosa si riferisce?

«Ci sono alcuni gruppi di opposizione politica extraparlamentare, di sinistra radicale o anarco-insurrezionalisti, che sposano istanze globali, le fondono con quelle locali e le utilizzano come leva per condizionare la politica interna dei singoli Stati».

Può fare degli esempi di gruppi di questo tipo?

«Il centro sociale Askatasuna di Torino ha seguito questa parabola: è andato a fondere la propria azione operativa con quella dei gruppi più violenti della galassia pro Pal. L’Iran in particolare sta supportando gang giovanili composte soprattutto di minorenni, quindi persone poco punibili, per commettere azioni violente, dalle “spaccate” all’omicidio. È quello a cui stiamo assistendo in città come Torino, Milano o Roma con il fenomeno dei cosiddetti “maranza”, figli di immigrati che vengono utilizzati come strumento di violenza».

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