16 Dicembre 2025

Direttore: Alessandro Barbano

16 Dic, 2025

Non si può stare con gli europei, ma contro l’Europa


Scrivo mentre leggo dalle agenzie che il capo negoziatore ucraino, Rustem Umerov, assicura che i negoziati condotti con gli Stati Uniti sono andati così bene, sono stati così costruttivi, da far sperare in un«accordo che avvicini alla pace entro la fine della giornata».

Tra un accordo che avvicini alla pace – in termini che non sono ancora noti – e la pace vera e propria non saprei dire quanta distanza ancora vi sia, ma di sicuro c’è lo spazio per una domanda. Non una domanda particolarmente originale, per la verità, e però indispensabile: che cosa si decide, con l’eventuale cessazione delle ostilità fra Russia e Ucraina?

Il futuro della sicurezza europea

Un pezzo di opinione pubblica continua infatti a leggere del Donbass, così come delle garanzie di sicurezza per l’Ucraina, o della ricostruzione del paese martoriato, e non si accorge, o finge di non accorgersi, che in gioco è molto di più che non il Donbass o l’Ucraina. Si fa presto a dire cosa: il futuro della sicurezza europea. Più precisamente: la necessità, per i Paesi europei, di assumersi la responsabilità della propria sicurezza, secondo nuove modalità, che tengano conto della minaccia rappresentata dalla Russia da un lato, e del sempre più evidente disimpegno degli Stati Uniti dall’altro.

Un tema affrontato con leggerezza

Di entrambe le cose si discute con troppa leggerezza, pensando che basti ironizzare sull’ipotesi che i cosacchi possano davvero, nel prossimo futuro, abbeverarsi a piazza San Pietro, oppure che sia sufficiente contare gli otto decenni di pax americana che abbiamo alle spalle (non davanti: alle spalle), per starsene tranquilli e contenti. Non è così, purtroppo, perché c’è, da un lato, un problema di riequilibrio delle spese militari, all’interno dell’alleanza atlantica, che si pone da tempo e che Trump ha semplicemente riproposto con maggiore brutalità; e c’è, dall’altro lato, una minaccia ibrida (che diciamo ibrida sperando che la parola non si riveli un eufemismo), che non deve necessariamente trasformarsi in scontro aperto per impensierire fin d’ora i Paesi europei. Più precisamente: che forse può non impensierire ancora Lisbona, Roma o Madrid, ma che è ben altrimenti avvertita a Helsinki, a Varsavia o a Tallinn.

Le ambiguità della politica

Proprio questo, però, è il punto: il formato europeo della risposta, per dare la quale un certo numero di ambiguità, o semplicemente di ipocrisie dovrebbe essere spazzate via. La prima e principale di esse consiste nel ripetere che abbiamo, come sempre, bisogno di Washington e delle basi Nato, che non possiamo immaginare un’Europa che non sia a fianco degli Usa, solo per non vedere quanto poco, nell’architettura della pace studiata alla Casa Bianca (e al Cremlino), siano tenuti in effettivo conto gli interessi europei. Solo per non vedere, aggiungo, che anche dopo l’accordo di pace che dovesse essere concluso al termine degli attuali negoziati, l’Unione europea non avrà meno il problema della sua sicurezza. A questo proposito, visto che si fa continuamente professione di realismo, conviene dirlo con franchezza, senza farsi illusioni: non saranno i metri quadri di territorio ucraino, e nemmeno il numero delle forze armate di Kiev, a risolvere la questione della difesa europea.

I filoputinisti nostrani

Non citerò ora i ragionamenti che si possono ascoltare indifferentemente da Matteo Salvini o da Massimo Cacciari, da Michele Santoro, da Giuseppe Conte o da Viktor Orbán – e dunque da populismi, nichilismi e filoputinismi vecchi e nuovi che allignano tanto a destra quanto a sinistra – ragionamenti del tipo: dare armi (dare soldi, dare aiuti) a Kiev è inutile, oltre che pericoloso, visto che Kiev ha già perso. Con simili ragionamenti – per nulla ambigui, solo indecenti – non avrebbe senso neppure dare future garanzie all’Ucraina perché Putin non invada nuovamente il Paese: sarebbero perfettamente inutili pure quelle (e, se non fossero inutili, perché però domani dovremmo voler morire per Kiev?).

Meloni ad Atreju

Citerò invece un passaggio del discorso di Meloni ad Atreju – poco notato ma di grande significato, temo – a proposito di ambiguità da sciogliere e di europeismi da coltivare. L’Europa – ha detto la presidente del Consiglio – non è un pachiderma inutile, non è solo il museo del passato, ma è «una civiltà viva» (e fin qui va benissimo) «che ha ancora una missione» (bene anche questo) e che «non chiede il permesso di esistere neanche alle istituzioni che la governano». E qui va decisamente meno bene, anzi va male.

La presa di distanza

Perché parlare, in un crescendo di toni, delle istituzioni europee come se fossero un’altra cosa dall’Europa, non una sua articolazione, come se si preoccupassero, quelle istituzioni, di rilasciare o non rilasciare permessi, come se costituissero un problema, un impaccio o un impedimento all’esistenza della civiltà europea, oltre ad essere una stupefacente scorciatoia sul piano storico – quando non c’erano le istituzioni europee c’era, è vero, la civiltà europea, ma c’erano pure terribili guerre, fra i Paesi che componevano quella gloriosa civiltà – è una scivolosissima presa di distanza. È un esercizio di diffidenza e, nei fatti, una neanche troppo velata delegittimazione del ruolo di Bruxelles. Una cosa che purtroppo si può ormai leggere nell’ultima versione della dottrina strategica degli Stati Uniti, ma che non si dovrebbe trovare neanche velatamente nelle parole della premier di uno dei paesi fondatori dell’Unione.

La “distanza” dall’Ue

Ecco l’ambiguità: si dovrebbero legare l’una all’altra la difesa dell’Ucraina, la difesa dell’Europa, la difesa dell’Unione europea, e in tutte trovarvi la difesa dell’Italia. Le cose, infatti, si tengono insieme. E invece l’Italia è solidale con l’Ucraina (a non voler ascoltare, per fortuna, Salvini e Santoro, Conte e Cacciari), è orgogliosa della civiltà europea e della sua missione, ma lo è a qualche distanza dall’Ue. È solidale con l’Ucraina, ma pure con gli Stati Uniti che, certo, amano i paesi europei (Trump lo ripete volentieri) ma di solidarizzare con l’Unione Europea non hanno alcuna voglia. Anzi.

Il monito di Mattarella

Invece, Sergio Mattarella: «È in atto un’operazione, diretta contro il campo occidentale, che vorrebbe allontanare le democrazie dai propri valori, separando i destini delle diverse nazioni […] La Russia vuole ridefinire con la forza gli equilibri e i confini in Europa, azione irresponsabile e inammissibile». E qui io non leggo nessuna, nessunissima ambiguità.

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