L’intervento dell’ex premier in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico del dipartimento di Scienze Politiche all’Università Federico II di Napoli
In occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico del Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università Federico II, l’ex premier Enrico Letta, oggi decano della IE School of Politics, Economics and Global Affairs della IE University di Madrid, ha tenuto una lectio magistralis dal titolo “Per un’Europa autonoma e sovrana”. La lezione è stata introdotta dagli interventi del Magnifico Rettore dell’ateneo di Napoli, Matteo Lorito, della direttrice del Dipartimento Paola De Vivo e del professore di filosofia teoretica Massimo Adinolfi. Proponiamo qui un estratto della relazione del presidente Letta.
Il “metodo Delors”
«Vorrei raccontare di come è nato il mio rapporto “Much More than a Market” sul mercato unico europeo. Io ho avuto la fortuna di presiedere l’istituto Jacques Delors. Delors, scomparso un anno e mezzo fa, è stato il fondatore del mercato unico. Andai da lui quando fui incaricato di scrivere quel rapporto. Il mercato unico europeo nasce con una grandissima impronta italiana, alla fine del 1985, quando proprio Delors lanciò l’idea di eliminare le barriere interne all’Europa, che a quel tempo era a dieci membri. È la prima volta che viene applicato il metodo Delors: prendiamo insieme delle iniziative e fissiamo delle scadenze, in modo tale che i nostri progetti non rimangano lettera morta. (…)
La debolezza dell’Europa
Partiamo da un problema: parliamo di mercato unico europeo, abbiamo l’euro e l’Erasmus e mille altre cose che ci parlano di una dimensione unitaria. Ma in verità esistono alcuni settori dello stesso mercato unico che, per motivi politici, si è deciso di non sviluppare e il cui mancato sviluppo è il motivo principale della debolezza dell’Unione Europea. Non mi riferisco alle questioni che sono strutturalmente non europee, cioè di competenza dei singoli Stati, come la sicurezza o l’istruzione, che sono i trattati a mantenere nazionali. Ma ci sono materie comunitarie da tutti i punti di vista che abbiamo tenuto nazionali perché il più grande avanzamento nell’integrazione, l’euro, ha avuto bisogno di una digestione molto lunga e faticosa. La fatica di quella digestione suggerì di posticipare altri capitoli fondamentali dell’integrazione del mercato. Poi arrivarono la crisi finanziaria del 2007-2011, la crisi della Brexit, quella del Covid, e ci siamo ritrovati nel 2023 a chiederci qual è la causa della mancanza di competitività dell’Europa.
I tre mercati ancora da integrare
Ci sono tre capitoli chiave che non sono stati integrati: i mercati finanziari, l’energia e la connettività. Questa mancata integrazione ha fatto sì che noi europei non siamo autonomi e sovrani nei terreni che oggi sono la cifra della competitività di un sistema. (…) Se riguardo a questi temi non si è integrati e si rimane ventisette stati frammentati, il cambiamento dello scenario mondiale ci condanna alla dipendenza se non all’irrilevanza.
Oggi i paesi europei sono divisi in due gruppi: i paesi piccoli e i paesi che non hanno ancora capito di essere piccoli. È una questione di consapevolezza: rispetto alla Cina, all’India e agli Stati Uniti, ogni paese europeo è piccolo.

La connettività e l’energia
Prendiamo il tema della connettività: negli anni ’90 l’Europa era leader mondiale nel settore delle telecomunicazioni, i grandi marchi erano tutti europei. Poi siamo rimasti con ventisette sistemi frammentati. Oggi un operatore cinese ha in media 867 milioni di clienti, un operatore americano 107 milioni; il numero medio di clienti di un operatore europeo è di 5 milioni. Questo perché in Europa ci sono 80 operatori e ogni paese ne ha quattro o cinque. Ora prendiamo il caso dell’energia: il motivo per cui i prezzi dell’energia sono così ballerini è che non esiste un mercato unico dell’energia. Chi opera in quel campo sa che l’autorità di riferimento è l’autorità per l’energia e per il gas di ogni singolo paese, non c’è uno spazio europeo.
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I mercati finanziari
Ma il caso dei mercati finanziari è quello forse più clamoroso di tutti. Ogni anno tra i 300 e i 400 miliardi di euro di risparmi di noi europei se ne vanno negli Stati Uniti, dove diventano azioni che rinforzano le imprese americane, che poi comprano le imprese europee con i soldi dei risparmiatori europei. È la quintessenza di un suicidio dovuto proprio alla frammentazione. Qualsiasi brand della finanza europea ha un passaporto nazionale: è l’opposto di quanto accade negli Usa, dove i grandi marchi sono americani e basta e, in quanto americani, hanno immediato accesso all’intero mercato americano. Invece, uno strumento europeo parte nazionale e incontra il primo limite non negli Usa o in Cina, ma nel paese immediatamente vicino. Pensate alle transazioni che facciamo quotidianamente con le nostre carte di credito: i tre marchi scritti in basso a destra delle nostre carte sono tutti americani, non esiste una carta di credito europea. Questa frammentazione fa sì che, sul piano finanziario, l’Europa sia una colonia di Wall Street.
Oggi, nel 2025, abbiamo improvvisamente capito di essere dipendenti, cioè né autonomi né sovrani. Lo abbiamo capito quando Elon Musk ha fatto un tweet rivolto agli ucraini, ma che potrebbe essere rivolto a tutti i paesi europei, in cui diceva: “se vi stacco la spina, collasserete in un minuto”. Questa affermazione è drammaticamente vera: la nostra vita quotidiana dipende dai satelliti.
Gigantismo? No, consapevolezza del proprio ruolo nel mondo
Questi ragionamenti possono ingenerare un dubbio culturale: stiamo spingendo al gigantismo? Non è così: il tema è come preservare, nel mondo nuovo, il mix di grande e piccolo che ha sempre contraddistinto l’Europa. Bisogna preservare questo mix facendo crescere il “grande”, perché il “grande” di ieri oggi non è più sufficiente. Quando l’Italia era la quarta potenza mondiale, la Cina e l’India messe insieme avevano una dimensione economica inferiore a quella dell’Italia. (…)
Per favorire l’integrazione ho individuato tre facilitatori orizzontali: il primo è la “quinta libertà”, oltre le quattro indicate dai trattati e alle quali manca la dimensione dell’intangibile, l’innovazione della conoscenza. Il secondo facilitatore è la “freedom to stay”, la libertà di restare nei propri territori. La libertà del mercato unico non è solo libertà di movimento, ma anche quella di restare. Il terzo facilitatore è il concetto del 28esimo ordinamento. Dal momento che non è possibile cancellare i diritti nazionali, va creato un 28esimo stato virtuale, con un suo diritto, che diventa un facilitatore settoriale.
L’ultimo consiglio europeo ha ripreso il metodo Delors: ha fissato la scadenza del 2028. Questo è un fattore di speranza, l’Europa non può fermarsi a una logica della pura reazione».

















