Il ministro dell’Interno della Renania-Palatinato chiede l’esclusione per i membri di estrema destra. La Germania pensa alla messa al bando
Gli affiliati all’AfD (Alternative für Deutschland, letteralmente Alternativa per la Germania), il controverso partito di estrema destra tedesco, potrebbero presto essere esclusi da qualunque impiego pubblico. Questa la scioccante sostanza contenuta nell’annuncio del ministro dell’Interno della Renania-Palatinato, Michael Ebling (Partito Socialdemocratico tedesco, Spd), per il momento limitato soltanto al territorio del lander tedesco-occidentale. Nello specifico la decisione del governo locale a guida socialdemocratica escluderebbe chiunque abbia partecipato alle attività di soggetti indicati dai servizi segreti tedeschi come sovversivi o pericolosi.
Tra cui proprio l’AfD, indicata nell’ultimo report dell’Ufficio per la protezione della Costituzione (Bfv, il controspionaggio federale) come «organizzazione di estrema destra pericolosa per la democrazia». Non si tratta di una misura da poco: essa riguarda infatti l’intera pubblica amministrazione, vietando loro qualunque impiego in enti, agenzie e istituzioni alle dipendenze del lander, dalle forze dell’ordine fino al trasporto locale, passando per l’insegnamento in scuole e istituti statali. Non basterà non essere semplicemente iscritti ad Afd.
Gli aspiranti dovranno dimostrare di avere la “fedina” politica degli ultimi 5 anni pulita, ovvero conteranno anche i vecchi endorsement al partito. In caso di omissione, se scoperti, scatterà il licenziamento diretto. La draconiana misura ha riacceso il dibattito sui limiti della repressione in una società democratica e sulla possibilità di mettere al bando l’AfD. In questo contesto, le autorità regionali di Magonza si sono inserite in un vuoto politico, dal momento che a livello federale il governo ha deciso per ora di non decidere, soprattutto a causa dei dubbi del cancelliere Friedrich Merz.
Il tentativo di “professionalizzazione” dell’AfD
Ma il Partito socialdemocratico non ha abbandonato la battaglia e continua a puntare a raccogliere sufficiente consenso da presentare una mozione di fronte alla Corte costituzionale tedesca per chiedere lo scioglimento dell’AfD. «Spaventoso che il governo della Renania-Palatinato discrimini le opinioni politiche. In questo modo si calpestano i principi fondamentali della democrazia. Gli elettori di Afd non si faranno intimidire», ha denunciato invece la co-leader del partito sotto accusa Alice Weidel. Nonostante le parole di fuoco, il timore di un’azione legale – simile a quanto accaduto nei mesi scorsi in Romania, dove il candidato populista Calin Georgescu è stato squalificato a elezioni in corso – resta alto.
Non a caso, nei giorni scorsi i parlamentari dell’AfD hanno firmato un documento in cui si sono impegnati a vestirsi in modo elegante, a ridurre gli attacchi scomposti e le interruzioni in parlamento, e ad attenersi a un breve manifesto che ha omesso in modo significativo l’appello alla “re-migrazione” – usata frequentemente dalla leader Alice Weidel durante la campagna elettorale, e ampiamente interpretata come un invito a espellere cittadini e migranti non assimilati e non etnicamente tedeschi. Un alto funzionario del partito, che ha chiesto di rimanere anonimo, ha detto che le nuove regole mirano a “professionalizzare” il partito – sebbene alcuni, soprattutto figure storiche dell’est tedesco non presenti nel parlamento nazionale, si oppongano a cambiare una formula che finora ha avuto successo.
«La parola ‘re-migrazione’ è stata giudicata incostituzionale e non ha futuro», ha commentato il parlamentare Maximilian Krah, un tempo considerato una delle figure più radicali del partito. «Fine della storia. Il tribunale si è espresso», ha aggiunto perentorio, senza tuttavia fugare i sospetti – corroborati da fonti del partito – che la decisione abbia più a che vedere col desiderio di evitare la messa al bando del partito che un sincero ripensamento politico. La parola “re-emigrazione” è stata citata come prova da un tribunale che ha recentemente confermato la valutazione dei servizi di sicurezza secondo cui l’AfD potrebbe essere un partito estremista e quindi incostituzionale.
Il dubbio sulla possibilità politica dell’esclusione
In Germania, per mettere al bando un partito politico, non basta tuttavia che venga giudicato contrario all’ordine democratico: deve anche agire in quella direzione con una concreta possibilità di successo. Finora, il cancelliere conservatore Friedrich Merz si è opposto a un simile divieto, che deve essere richiesto da una delle due camere del parlamento o dal governo, per poi essere esaminato dalla Corte Costituzionale. La corte ha vietato un partito solo due volte in passato, nel 1952 e nel 1956, all’apogeo della “paura rossa” seguita all’inizio della Guerra fredda e solo nei confronti di piccole formazioni estremiste prive di una seria rappresentanza parlamentare. Un passo gravido di conseguenze, che i giudici finora sono stati refrattari a intraprendere.
Proprio di fronte a questa prudenza – scambiata per pavida esitazione – la fuga in avanti della Renania-Palatinato cerca di stimolare una presa di posizione precisa, in un senso o nell’altro. Per rompere un’ambiguità di fondo che la Germania ormai si trascina da anni: se l’AfD è un gruppo estremista con finalità golpiste tale da risultare pericoloso non dovrebbe partecipare alle elezioni; se invece non lo è la sua libertà d’azione non dovrebbe essere intaccata, limitando le critiche alla sfera della retorica politica.
Comminare penalità come fatto finora da un lato non si è rivelato utile a frenare l’ascesa della formazione radicale e dall’altro ha rafforzato la convinzione in molti elettori tedeschi di un punizione per vie extra-parlamentari contro il successo del loro partito. La repubblica tedesca, turbata da fantasmi mai sopiti, dovrà nei prossimi anni compiere una scelta molto difficile e da cui dipenderà – in un senso o nell’altro – il carattere della sua democrazia.