Il Video assistent referee non spegne le polemiche legate ai singoli episodi e, come se non bastasse, toglie fascino alla Serie A
Il mondo è bello perché è vario. O almeno così si dice, anche se poi si è scarsamente propensi ad accettare ed accogliere questa varietà, quando essa si presenta in carne ed ossa. Sarà, ma il calcio con la sua recente assonanza (vario e Var) è brutto perché è Var, l’acronimo che teoricamente nulla avrebbe a che fare con il significato dell’aggettivo (Var sta per Video Assistent Referee il che vorrebbe far capire che è un aiuto all’arbitro, “un aiuto per la scesa”…).
Le ingiustizie
Il Var è un mezzo, il varista un lavoro: il mezzo non sbaglia, e neppure ‘azzecca: il concetto di errore non gli appartiene, la tecnologia è neutra e neutrale. È l’utilizzatore finale (vecchia citazione berlusconiana) che semmai non lo è: involontariamente, s’intende. E le “variazioni sul tema” si susseguono a ritmo serrato. Fatti simili, e perfino uguali, vengono interpretati prima e giudicati poi in maniera difforme: ci vorrà una separazione delle carriere pure in questa mini-giustizia che a volte si risolve in una maxi-ingiustizia?
Le “variazioni”
La giornata del campionato di calcio (serie A) appena trascorsa è stata vittima delle “variazioni”. Che poi, a pensarci, quelle tre lettere “var” hanno una lunga serie di declinazioni: svariare, svarioni, divario, avarie, varietà, con il “fine dicitore” come nel varietà storico, figlio d’avanspettacolo. Qui il dicitore è il decisore, l’arbitro che fa l’annuncio, scambiato per annunciazione, al centro del campo come fosse l’ombelico del mondo, il microfono che spesso s’accende con quel secondo di ritardo, i calciatori che sono numeri e la decisione finale. C’è, dicono, un protocollo, ma deve essere scritto in modo tale che, come diceva della legge Giolitti, il definito “ministro della malavita”, “si applica ai nemici e s’interpreta per gli amici”.
Il caso di Milan-Lazio
Perché perfino la ormai consolidata prassi che “se lo chiamano al Var ti danno il rigore o ti tolgono il gol” può essere tradita, come è accaduto in Milan-Lazio, minuti anzi secondi finali, quando l’arbitro ha indicato l’angolo, il Var gli ha detto “occhio”, quello è andato allo schermo (trovato a fatica fra i rissosi delle due panchine che facevano peggio dei maranza e delle gang band, unico assente il coltello) e poi è tornato a centro campo ed ha fatto il suo annuncio, dicendo c’era un braccio fuori sagoma, questo sì, ma c’era un fallo precedente che annullava la fuoruscita del braccio stesso. Un colpo di scena: che sagome!
Le tensioni
Ora non staremo a discutere se fosse rigore o meno, che questo non lo sa nessuno per via che le immagini, specie se rallentate o fermate, chiariscono sempre poco o niente: l’ha toccato? L’ha preso per la maglietta) prima il pallone o prima il piede? E con quale potenza? E a quale velocità? E poi, per dirla con Papa Francesco, “chi sono io per giudicare”. “È che dovreste mettere meno pressione agli arbitri” ha detto ramanzino il bravo cronista a Max Allegri, che era stato espulso per aver detto “qualcosa” all’arbitro (“quando ci sei tu, succede sempre un casino”) e fu bella la risposta del mister rossonero: “Da quando sto qui mi avete fatto tre domande e tutte sull’arbitro: non sarete voi a dover mettere minor pressione?”. Si potrà, però. Discutere del fatto che non sempre “due è meglio che one”, e che può capitare che anziché la famigerata compensazioni degli errori venga fuori, alla fine, che uno sbaglio non cancella quello di prima, ma che si finisce per farne due?
Le emozioni frenate
Il Var ha già rallentato l’emozione, perché non sai se puoi godertela in diretta o devi aspettare il verdetto; non sai se il gol del Napoli alla Roma, quello che riportato in cima i campioni in carica, era da festeggiare subito o invece dovevi aspettare che la regia rivedesse se qualche anno prima, in area partenopea, c’era stato un fallo su Konè (che c’era… ma sempre chi sono io per giudicare…), ed era da lì partita la velocissima, ben congegnata e ben realizzata, ripartenza dei campioni, che lanciava Neres al cucchiaio-gol.
Un calcio solo “virtuale”
Ora, frenata l’emozione, riesce pure, con le sue immagini di traverso e rallentate, a fartici capire ancor meno, trasportandoti in un calcio che non è più quello del campo ma quello virtuale, che perde in dinamismo, che, con il contrasto, è una delle basi di questo sport. Finisce che non sono le reti che contano, ma la Rete. Del resto ne è prova la polemica appena sgorgata dai vitaioli della tastiera: Sinner non ha fatto neppure una storia social sulla scomparsa di Pietrangeli. E giù tutta una valanga di accuse e difese. Poi Jannik fa sapere d’aver agito non via social ma direttamente con altri mezzi. “Cogito ergo sum” filosofeggiava Cartesio, “penso dunque sono”. Invece ormai è “digito ergo sum” e se non vivi sui social è come se non esistessi. La vita artificiale, l’intelligenza artificiale, il calcio artificiale. Si svaria e si va in avaria.









