Due gli scenari sul tavolo, entrambi, assicura il ministro, garantiscono tre forni elettrici, con gli stessi livelli di produzione e occupazione
«Mentre Roma discute, Sagunto cade»: durante la riunione con le amministrazioni locali pugliesi convocata ieri al Mimit, Adolfo Urso ricorre alla proverbiale frase di Tito Livio per rimarcare la drammaticità della situazione in cui versa l’Ex Ilva e sottolineare l’urgenza di arrivare all’intesa sull’Accordo di programma interistituzionale per Taranto, tassello indispensabile ai fini del rilascio dell’Autorizzazione integrata ambientale (Aia) da cui dipende il destino dell’impianto siderurgico pugliese: senza l’Aia, infatti, si rischia la chiusura degli impianti di Taranto per effetto dell’attesa sentenza del Tribunale di Milano, che dovrebbe dare esecuzione alla decisione della Corte di Giustizia europea.
Il tempo è scaduto, ribadisce il ministro scandendo i tempi del confronto che avrebbe dovuto andare avanti ad oltranza per arrivare all’intesa entro giovedì, quando avrebbe dovuto tenersi la conferenza di servizi per l’Aia. Ma a metà pomeriggio, dopo otto ore di confronto serrato, il tavolo viene aggiornato a martedì, rendendo necessaria la richiesta di un rinvio della conferenza di servizi.
Sul tavolo, intorno a cui siedono, tra gli altri, il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, i sindaci di Taranto e di Statte, rispettivamente Piero Bitetti e Fabio Spada, il ministro ha posto due scenari per la decarbonizzazione dell’Ex Ilva. Entrambi, assicura, garantiscono tre forni elettrici, con gli stessi livelli di produzione e occupazione. Scenari ora al vaglio degli enti locali, ma anche delle associazioni ambientaliste che sugli amministratori esercitano pressione in virtù del consenso elettorale.
Urso crede nella possibilità di tagliare il traguardo: «Credo sia una giornata importante, decisiva e storica per Taranto, ma anche per la siderurgia italiana», dice al termine della riunione, parlando di un clima «collaborativo e costruttivo» intorno al tavolo, e ricordando l’appuntamento di martedì prossimo, giorno in cui «incontreremo i sindacati e poi sigleremo l’accordo». «Un accordo – afferma – in cui ambiente e lavoro, salute e impresa saranno finalmente coniugati in modo equilibrato, attraverso un piano di decarbonizzazione che renderà l’Italia il Paese più avanzato in Europa sull’acciaio green».
Per il momento la piena funzionalità di tutti e tre gli altoforni è stata garantita per il primo trimestre del 2026.
Ma cosa prevedono le due ipotesi sul tavolo? La prima presuppone la realizzazione a Taranto, «in tempi congrui», di tre forni elettrici con tre Dri per alimentarli e la necessità di una nave rigassificatrice che fornisca il gas per alimentare i Dri che realizzeranno il preridotto per i tre impianti. In questo caso, la piena decarbonizzazione richiederà otto anni, contro i dodici inizialmente previsti.
Nella seconda ipotesi, che prevede un processo di riconversione di sette anni, «a Taranto – spiega il ministro – si realizzeranno i tre forni elettrici che saranno alimentati anche con un contratto di servizio da parte di Dri Italia che realizzerà i Dri in altra località». «In entrambi i casi – assicura – sarà mantenuta la continuità produttiva per giungere all’appuntamento avendo manutenuto le quote di mercato, rifornito i clienti e tenuto i livelli occupazionali» e si punterà, con tre altoforni, a 6 milioni di tonnellate di acciaio.
Bisogna però considerare i costi, avverte il ministro: «Se l’alimentazione a gas avviene attraverso gasdotto o rigassificatore terrestre costa meno, sia la realizzazione sia l’attività e i costi operativi. Se invece il Dri viene alimentato da una nave, in porto o a largo, costa di più. E di questi aspetti economici dobbiamo tenere conto», spiega, impegnandosi a fornire tutti i chiarimenti necessari.
Taranto è la priorità, afferma. «Poi – ammette – dovremo valutare insieme se sarà utile creare le condizioni affinché gli investitori possano eventualmente realizzare un forno elettrico per Genova e gli stabilimenti del Nord, così da fornire quello che serve a quei siti».
I sindacati restano alla finestra. Per Loris Scarpa, coordinatore nazionale siderurgia per la Fiom-Cgil, «qualsiasi decisione non può mettere in discussione la continuità produttiva necessaria a garantire il raggiungimento di due obiettivi: la decarbonizzazione e la tutela occupazionale».
Il governatore della Puglia auspica il supporto della politica: «Nessuno, tra maggioranza e opposizione, ha espresso l’intendimento di chiudere la fabbrica. Ho informato i segretari dei partiti di opposizione: Schlein, Bonelli, Fratoianni e Conte. La nostra decisione è autonoma e prescinde dal giudizio dei partiti, ma pensiamo che ci debbano dire cosa pensano sui due scenari che abbiamo definito. Mi auguro non ci lascino soli».
«Ora saranno inviate due ulteriori bozze di accordo dal ministero – commenta il sindaco di Taranto – e con gli uffici tecnici valuteremo, faremo dei passaggi coi nostri territori». Intanto, il gigante dell’acciaio con i piedi d’argilla continua a boccheggiare.