A Bologna per Cobolli un interminabile e trionfale tie-break: ora la squadra azzurra contro la vincente della semifinale Germania-Spagna
BOLOGNA – Dipende se piacciono di più la sfida e la conquista. O le cose scontate e quindi più sicure. Nello sport, e nell’essere tifosi, sono legittimati entrambi gli stati d’animo. I diecimila dell’ Unipol Arena di Bologna hanno decisamente scelto il sapore della sfida in questa settimana di Final 8 di Coppa Davis. Senza i due top ten, Sinner e Musetti, l’Ita tennis si è presentata alle Finali di Coppa Davis con la “squadra C”, Flavio Cobolli n.22 del mondo, Matteo Berrettini n.56, Lorenzo Sonego n.39 e la coppia di doppio semifinalista alla Finals, Bole e Wave. Per carità, ce l’avessero detto cinque anni fa avremmo fatte carte false per una squadra così.Da un paio d’anni però ci siamo abituati male. Ma è stato bello tornare “come gli altri” e andare a prendersi quindici su quindici tutti i punti per battere l’Austria (2-0), ieri il Belgio (2-0) e domenica tornare a giocare la finale della Coppa Davis. La squadra avversaria uscirà oggi con l’altra semifinale tra Spagna e Germania. La Spagna senza Alcaraz. La Germania con Zverev.
Un tie break da incubo
Basterebbe la cronaca dei 32 punti – e dei sette match point salvati da Flavio Cobolli – necessari per vincere il tie break finale del terzo set del secondo match di singolo con l’Italia avanti uno zero per impazzire di tennis. L’ITF è stata lesta nell’elaborare record: si tratta del sesto tie break più lungo nei 125 anni della Coppa Davis. Il Belgio si giocava tutto, soprattutto il ritorno in finale dopo il 2017 (sconfitta dalla Francia). Cobolli il privilegio di portare l’Italia nella terza finale consecutiva senza passare dalle forche caudine del doppio. E se stesso in quel luogo tra cronaca e leggenda che solo alcune gesta sportiva sanno abitare.
Matteo e Flavio, due ragazzi romani, cresciuti nei circoli di tennis Roma nord, si conoscono da quando Berrettini aveva 15 anni e Cobolli 8, “gli facevo quasi da baby sitter” scherza Matteo, “per me è come un fratello, mio padre lo ha allenato” aggiunge Flavio. Ora sono i singolaristi titolari di Coppa Davis e rischiano di andarla a vincere per la terza volta di fila. E’ riuscito solo agli Stati Uniti. Hanno anche sostituito in fretta nel cuore dei tifosi della Unipol Arena Sinner e Musetti. “Sinner dove sei?” si leggeva su qualche cartello qua e là nelle tribune. Senza polemica, lo stesso Sinner aveva detto: “Abbiamo una squadra fortissima, è giusto che ci provino anche gli altri”. Ci stanno provando, infatti. E totniamo al gusto per la sfida assai più saporito delle cose scontate.
La second life di Matteo
Quella di Matteo Berrettini è stata la partita forse più intensa della sua second life, da quando è tornato a giocare dopo il secondo prolungato stop causa infortunio. Dopo gli Internazionali di Roma (maggio) il bel Matteo è stato fermo più di tre mesi tra una cosa e l’altra. E se già aveva incantato il pubblico nel match vittorioso dei quarti contro l’Austria, ieri lo ha ammaliato definitivamente giocando due set quasi perfetti (6-3/6-4) contro Raphael Collignon, N.86 del mondo, 23 anni, una classifica bugiarda rispetto al gioco. Berrettini non è il Capitano di Davis (a Filippo Volandri il privilegio di consumarsi sulla panchina) ma è l’uomo Davis, il cuore, la passione, la strategia. “Per me giocare in questo contesto è la sensazione più bella, quella che mi gratifica di più e mi fa fare le cose migliori” ha raccontato Matteo che col passare del tempo mostra un approccio sempre più filosofico, anche nel tono di voce, nel raccontare se stesso e il suo tennis. “Bisogna imparare a godersi il momento e anche a farsi i complimenti. Io sono sempre molto severo con me steso ma oggi mi dico che è stata davvero una buona prestazione”. Il primo set non è mai stato in discussione: subito il break, 3-0 e il rischio di salire 4-0. Schema chiaro: solita bordata di servizio (“ma ho capito che possa tirare meno forte e più piazzato e faccio più punti” oltre che rischiare meno gli addominali), rovescio in slice molto efficace, martellata di diritto per chiudere. The Hammer ha imparato anche a ricamare con lob, smorzate e voleè. “Nel secondo set in effetti mi sono un po’ complicato la vita” ha detto. Da due palle per il 3-0 si è trovato sotto 3-2, poi break e controbreak fino al 6-4 finale arrivato con il solito servizio. “Sento di essere sicuramente più maturo e di gestire le emozioni che mi arrivano. In passato un break subito l’avrei preso in maniera più negativa, oggi ho messo la testa giù, ho detto ok, bisogna lavorare, bisogna continuare”. E l’ha vinto.
Sulla carta doveva essere una partita molto più complicata. Collignon si è lamentato del pubblico, “è un vantaggio per l’Italia”.
L’alchimia della Davis
La Fitp ha investito molto per avere la Davis in casa che, diversamente, rischiava di restare senza casa. Parleremo un’altra volta della crisi della Davis. Pardon, della sua formula perchè poi il pubblico quest’anno avrebbe avuto il numero 1 (Alcaraz), il numero 2 (Sinner) e il numero 3 Zverev. Si è dovuto “accontentare” del tedesco visto che gli altri top five hanno preferito cominciare la stagione off. Ma quando gioca la nazionale, il pubblico – e i giocatori – pensano alla maglia e non alle classifiche. Non è un caso se proprio in Davis si sono viste le partite più incredibili: giocare per il proprio Paese è un peso di non facile gestione, occorre una panchina molto unita, cresciuta insieme con un’alchimia speciale. Come quella italiana. C’è Stefano Santopadre, ad esempio, che adesso allena Sonego ma prima ha allenato per oltre dieci anni Berrettini e ha visto Cobolli tirare i pormi colpi. “Alla fine, Vincè, siamo sempre noi, come vent’anni fa…” sorride Matteo al suo ex coach che soffre con gli altri nella panchina della Davis.
Oppure babbo Cobolli, cioè Stefano, ex giocatore e poi coach di Flavio e anche di Matteo quando erano il primo un bimbo di 8 anni l’altro un ragazzino di 15. In effetti si potrebbe iniziare da lui nel raccontare le montagne russe del match di Flavio (n.22) contro il roccioso e talentoso Zizou Bergs, n. 43, che alla fine è scoppiato in lacrime con la testa tra le mani con Flavio che lo è andato a consolare perchè “potevo essere io al suo posto, stavolta è andata così, forse io l’ho voluto di più, insomma so cosa si prova”. L’azzurro ha vinto in tre set (6-3/4-6/7-6) con quel tie break pazzesco chiuso 17 a 15 dopo sette match ball salvati e cinque (a suo favore) buttati.
Psico-tie break
Non ci può essere bel tennis in un tie break così tirato, decisivo e quindi nervoso. Poche prime da entrambi i giocatori (tranne l’ace sporco del match ball sul 16-15), tanti errori gratuiti, specie di dritto come lo schiaffo al volo sul 14 pari sbagliato da Flavio. Anche alcune prodezze come il lob che Flavio riesce ad alzare dopo uno scambio sfinente. O lo smash tirato per disperazione (e forse andava fuori) ma per fortuna azzeccato. Babbo Stefano seguiva tutto questo senza muovere neppure un muscolo, braccia conserte, sguardo dritto e fermo. Quante volte da ragazzo avrebbe sognato le opportunità, le emozioni, le soddisfazioni – come quella della maglia azzurra e di una finale di Davis – che oggi sta vivendo il figlio. “Chiamatelo coach, non babbo” chiede Flavio che sorride con dolcezza agli occhi del padre. “Oggi abbiamo vinto in due così come avremmo perso in due se le cosse fossero andate in modo diverso. Oggi ho molto apprezzato la misura con cui ha sofferto per oltre tre ore…”.
Padri-figli-fratelli
Si è parlato molto in questi giorni del Flavio Cobolli bambino che incontra sul suo cammino tennistico Matteo Berrettini, di sei anni più grande. Quella stagione è finita per sempre perchè il ventitreenne romano oggi ha invertito i ruoli e ha preso per mano il padre e l’amico Matteo per guidarli in finale. Tra i fermo immagine di giornata c’è quella maglietta strappata e fatta a brandelli. Ha fatto la stessa cosa Djokovic vincendo ad Atene tre settimane. “La io l’ho fatto per celebrare me stesso e il mio fisico adesso così in forma…” ha scherzato Flavio. Capitano Volandri dice che “questi ragazzi sono andati oltre i limiti”. E la t-shirt strappata è stata messa tra i best memories di una carriera.






