I personalismi distruttivi della politica e la permeabilità della stampa dietro le tensioni tra la premier Meloni e il presidente Mattarella
Il chiarimento formale al Quirinale tra Sergio Mattarella e Giorgia Meloni ricompone la superficie del dialogo istituzionale, ma non rimette insieme ciò che sotto si è incrinato. Due fenditure segnano la tregua. La prima si apre attorno a una inquietante notizia emersa ieri.
L’articolo pubblicato da “La Verità” martedì mattina – quello che accusa il consigliere del Colle Francesco Saverio Garofani di tramare contro il governo – si fonda quasi integralmente su una velina inviata ore prima, via e-mail, a diverse redazioni. L’articolo pubblicato da “La Verità” martedì mattina – quello che accusa il consigliere del Colle Francesco Saverio Garofani di tramare contro il governo – si fonda quasi integralmente su una velina inviata ore prima, via e-mail, a diverse redazioni.
L’ombra dei Servizi
Questo significa una cosa semplice e grave: una manina interessata ha confezionato il fango. Qualcuno – un collega malevolo, un funzionario in cerca di regolamenti di conti, o piuttosto una talpa di Servizi stranieri? – ha trovato anzitutto un bersaglio simbolico: Garofani è il segretario del Collegio Supremo di Difesa, il consesso da cui Mattarella poche ore prima ha ribadito la condanna alla Russia per la sua barbara guerra di aggressione all’Ucraina.
E poi la stessa fonte ha aperto una crepa nella grammatica istituzionale con un’unica nota velenosa. Ha diffuso un testo cucinato apposta per “trovare” il direttore giusto, quello pronto a farne uno scoop, spacciandolo come il risultato di un proprio lavoro di indagine. È la dimostrazione plastica della permeabilità del sistema mediatico: basta una mail anonima, un testo costruito ad arte, e un giornale megafono si trova sempre.
Il salto di qualità
Il secondo interrogativo riguarda ciò che accade dopo. Perché la rottura delle forme non è mai un gesto isolato. È una catena. È un meccanismo reattivo che moltiplica gli effetti. L’articolo esce. Il centrodestra non si limita a prenderne atto. Non verifica. Non chiede spiegazioni. Amplifica. Spara, per bocca del capogruppo alla Camera, non certo l’ultimo dei parlamentari. Trasforma l’incidente in una campagna. E lo fa evocando il complotto del Colle. Un’accusa gravissima. Un salto di qualità.
Le democrazie mature
In una democrazia matura, un consigliere del Quirinale che parla troppo è un episodio. Lo si verifica. Lo si interpreta. E magari non s’ignora che oltre a coltivare trame contro il governo, Garofani esprime nelle sue incaute esternazioni un giudizio di inadeguatezza assoluta per l’opposizione e la sua leadership. Comunque sia, in una democrazia matura, quelle parole al più si «incartano». Si portano in una trattativa riservata. Si va al Colle e si chiede: «A che gioco giochiamo?». Oppure si allude, inviando un segnale con un’intervista. E si apre insieme un corridoio istituzionale. Non si attacca il Quirinale con un’accusa tratta da un’illazione de relato che non ha fondamento documentale.
La strategia di Meloni
Qui accadde il contrario. Fratelli d’Italia alza il tiro. E la premier di primo acchito tace. Non frena, non richiama, non disinnesca. Lascia avanzare i suoi gregari. E si rende responsabile di un grave errore politico. Perché avallare un metodo che porta la democrazia in uno stato di fibrillazione non giova alla costruzione di un’egemonia moderata e rassicurante, obiettivo incompiuto del suo percorso politico.
La distruttività primitiva
Il fatto è che una distruttività primitiva si è impossessata della classe dirigente del Paese. Lo si è visto ieri con l’attacco del centrodestra al Quirinale. Lo si è visto l’altro ieri con l’attacco di Elly Schlein al Garante della Privacy. I veleni di Belpietro e le illazioni di Ranucci, a dispetto delle diverse estremità da cui parlano, sono speculari, oltre che figli di un comune modo di intendere il giornalismo.
E ottengono in entrambi i casi l’effetto voluto: nessuno più si chiede se la multa del Garante fosse giusta, o se Mattarella stia davvero tramando contro il governo. La paranoia che affligge le leadership nasconde il cuore della questione dietro il fuoco d’artificio di uno scoop. Così la sinistra incide la sua eccedente indignazione in un disco rotto, incapace di parlare al Paese, se non con il tono monocorde della denuncia. Così la destra mostra quanto ancora siano distruttive certe sue pulsioni.
Il punto più pericoloso
La collusione implicita tra maggioranza e opposizione su queste pratiche è il punto più pericoloso. Perché crea un clima in cui i cittadini non riconoscono più alcuna autorità. In cui tutto sembra manipolazione. In cui nessuno rappresenta più nessuno. È un vuoto di fiducia che allontana il Paese dalla politica. È un disinvestimento che rischia di essere irreversibile.
I personalismi
Un altro effetto è che tutto il politico trasmoda nel personale. Non esistono più le forme. Non esistono più i codici. Non esiste più la distanza tra ruolo e individuo. La dialettica parlamentare è stata sostituita dall’impulsività dei rapporti privati. Le istituzioni si muovono come persone. Le persone pretendono di essere istituzioni. Le reazioni sono emotive. I rancori sono immediati. Le risposte sono istintive. È una mutazione radicale.
La grammatica istituzionale si frantuma, il riserbo e quella quota di irrinunciabile ipocrisia pubblica che connota la relazione tra soggetti politici bruciano nel disconoscimento.
Una democrazia matura sa duellare senza smarrirsi, la democrazia dei nuovi selvaggi invece si scopre nuda, senza difese perché senza più mediazioni. Dietro le confidenze incaute di un soggetto istituzionale, la velenosa e opaca ricostruzione giornalistica, il rilancio politico in una domanda che suona come un attacco al Colle, si delinea una diplopia del potere, cioè un fenomeno per cui il potere non si esercita solo all’interno delle istituzioni, ma anche attorno a queste. Con l’effetto di svuotare di sostanza la loro dialettica interna e degradare i loro processi formali.

Il ruolo della stampa
La stampa è parte di questa degradazione. Perché il metodo Belpietro non troverebbe legittimazione in nessun codice deontologico e in nessuna buona pratica del giornalismo moderno e indipendente. Se tu ascolti una conversazione privata ma politicamente rilevante tra un esponente del Quirinale e un soggetto terzo, hai il diritto dovere di raccontarlo, purché citi i protagonisti del colloquio, dove e quando si è svolto, come hai acquisito le informazioni.
Lo devi al lettore, poiché la potestà che eserciti è in realtà solo il suo diritto di sapere. Qui invece si lancia la pietra e si nasconde la mano, si adombra il sospetto e si nasconde la prova. La sortita di questo giornalismo pseudo-corsaro è la prima forma di distorsione istituzionale.
Il “tempo” di Mattarella
Poi c’è il punto politico più delicato. La tensione tra Governo e Quirinale nasce anche dal peso crescente del Capo dello Stato nel secondo settennato. Nessun equilibrio resta invariato quando il Presidente, per durata e per necessità, dilata la cosiddetta fisarmonica dei poteri di garanzia, di rappresentanza, di impulso politico, di influenza che per quattordici anni s’incentrano sulla stessa persona.
La trappola
E tuttavia la contesa, sostanziale e simbolica, che si apre non può risolversi con un attacco paranoide. La premier sa tutto questo. Sa di avere costruito in tre anni una credibilità internazionale preziosa. Sa di aver mantenuto una luna di miele con l’elettorato, laddove altre leadership si sono consumate rapidamente nel contesto europeo. Sa che la posta in gioco di un lungo ciclo politico riguarda, non solo la sua maggioranza, ma il rapporto con «la Nazione», per usare un termine a lei caro che rimanda all’immagine di una sintesi.
Sa anche che certe sovrapposizioni di ruolo si affrontano con il rilancio di una cultura politica e con un progetto di riforme, non con uno sterile braccio di ferro. Sa, da ultimo, che tutto ciò che accade attorno a noi in questo tornante della storia non si sottrae al rischio di una guerra ibrida combattuta con i mezzi della falsificazione, di cui l’ultimo «scoop» potrebbe essere una trappola fatale.
Caderci dentro così ingenuamente non sarebbe una prova di intuitività e di saggezza.












