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Caso Epstein, Trump contrattacca: “Bugie, indagate Clinton”. Presto voto al Congresso

Il caso Epstein continua a scuotere la politica americana, coinvolgendo direttamente il presidente Donald Trump e i suoi avversari democratici. Nuove email, diffuse dalla Commissione di vigilanza della Camera, rivelano dettagli esplosivi: nel Giorno del ringraziamento del 2017, Epstein avrebbe trascorso la giornata con Trump, nonostante il presidente abbia sempre sostenuto di aver interrotto ogni rapporto con l’imprenditore nel 2004, dopo la sua prima condanna per abusi sessuali.

La notizia si aggiunge alle altre accuse mosse sulla base delle mail desecretate del finanziere morto suicida nel 2019, secondo cui il tycoon avrebbe trascorso molte ore con vittime accertate dei festini sessuali di Epstein e che avrebbe saputo del giro di prostitute minorenni che si celava dietro tali eventi. Trump ha replicato con forza sul suo social Truth: «Epstein era un democratico. Chiedete a Bill Clinton, non a me. Ho un Paese da governare!».

Il presidente ha accusato i Dem di «spingere sulla bufala Epstein» per distrarre l’opinione pubblica dai fallimenti del partito, in particolare dal caos dello shutdown governativo e dalla crisi interna. «Alcuni repubblicani deboli sono caduti nella loro trappola perché sono sciocchi», ha aggiunto. Il presidente è quindi passato al contrattacco, annunciando che chiederà alla Procuratrice generale Pam Bondi, al Dipartimento di Giustizia e all’Fbi di aprire un’indagine sui rapporti tra Epstein e figure democratiche di spicco, tra cui l’ex presidente Bill Clinton, l’economista Larry Summers (segretario al Tesoro con Clinton e consigliere di Barack Obama) e il miliardario Reid Hoffman (grande finanziatore del Partito Democratico).

«È un’altra truffa come il Russiagate. Tutti i documenti puntano ai democratici», scrive Trump, citando le 50.000 pagine già rese pubbliche. La vicenda rischia di avvelenare ulteriormente il clima politico in vista delle elezioni di medio termine previste per il 2026, polarizzando il dibattito tra accuse di insabbiamento e controaccuse di strumentalizzazione.

Nonostante le dure accuse del presidente, la Camera dei rappresentanti – uno dei due rami del Congresso assieme al Senato – si prepara a mettere ai voti la prossima settimana una mozione per desecretare tutti i documenti connessi al caso Epstein. Proposta dai democratici, che al parlamento americano sono in minoranza, la mozione ha guadagnato il sostegno di molti repubblicani che nelle ultime elezioni si sono impegnati di fronte ai propri elettori a fare luce sullo scandalo dei party sessuali di Jeffrey Epstein. In tal modo, la mozione è stata già sottoscritta da 218 deputati, la maggioranza assoluta e il numero necessario per richiedere l’immediata calendarizzazione del voto.

In vista del quale, la Casa Bianca è entrata in modalità controllo danni. Trump avrebbe personalmente chiamato molti deputati repubblicani, chiedendogli di ritirare il proprio sostegno alla mozione, ottenendo tuttavia poco successo. Ne è la dimostrazione la rottura pubblica con una delle sue più ferventi sostenitrici, Marjorie Taylor Greene, deputata della Georgia nota per le sue posizioni radicali pro-Maga: per il tycoon la parlamentare – una tempo considerata persino per la vicepresidenza, posto cui fu poi scelto J.D. Vance – sarebbe ora una “folle lunatica“, a tal punto che Trump ha ritirato l’endorsement per la sua rielezione.

Se anche la Camera approvasse il voto, comunque, non sarebbe la fine del caso. Per diventare vincolante infatti il documento dovrebbe essere approvato anche dal Senato, dove la maggioranza è più incerta, e poi ottenere la firma di Trump stesso, assolutamente contrario. Se il presidente opponesse il veto, il Congresso potrebbe annullarlo ma solo con una maggioranza dei due terzi, difficile da ottenere. Tuttavia, l’imbarazzo politico per il presidente sarebbe evidentemente molto forte, così come i sospetti – anche tra i suoi sostenitori – che il tycoon stia facendo ostruzione proprio perché abbia qualcosa da nascondere.

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