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Carandini: «Gestione folle dei monumenti. Il Ministero se ne occupi»

In dialogo con l’Altravoce, l’archeologo condanna duramente la gestione del patrimonio culturale di Roma

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«Lo Stato deve riprendersi il patrimonio di Roma che è stato ceduto frammentariamente al comune e ricomporre la città sotto l’egida del Ministero».

Andrea Carandini, tra i più noti e stimati archeologi italiani, non crede che il crollo alla Torre dei Conti sia un episodio casuale, ma rintraccia ben precise responsabilità e condanna duramente la gestione del patrimonio culturale della capitale. Sul caso specifico indagherà la procura di Roma, che ha già aperto un fascicolo con le ipotesi di disastro colposo e lesioni.

«Quello che è successo è molto grave. Un restauro che produce un crollo è come un medico che per curare un’influenza ti manda al creatore».

Professore, ci sono delle responsabilità a monte?

«Ci sono, e risalgono al 1872 quando l’Italia invece di procedere normalmente per Roma, avocando tutto il patrimonio culturale allo Stato, fece un’eccezione».

Che tipo di eccezione?

«Delegò una selezione di beni archeologici di Roma al comune, in rispetto alla tradizione papale e della gestione del patrimonio da parte dei papi. Si è creata così una sovrintendenza comunale, frastagliando la gestione del patrimonio culturale di Roma».

Fu una decisione sbagliata?

«Quella sovrintendenza ha avuto le sue glorie. Se ben condotta, anche una cosa sbagliata può funzionare. Ma da molto tempo non funziona più, è diventata mediocre. E ora sopraggiunge questo evento».

Che cosa ci dice l’episodio della Torre dei Conti?

«Ci dimostra l’incompetenza di un organismo nella tutela intesa in senso complessivo. È inammissibile che mentre si interviene su un monumento questo crolli. Perché è evidente che è crollato in concomitanza dell’intervento di manutenzione. C’è stato qualcosa di improvvido nell’intervento di ristrutturazione che ha innescato il crollo».

L’edificio in che condizioni era?

«Già di per sé era molto mal messo. La torre insiste su un’esedra del Tempio della Pace, è del nono secolo con una fase del dodicesimo e molte fasi successive, ha attraversato terremoti ecc».

Pare che il primo dei due crolli di ieri abbia riguardato uno sperone degli anni ’30.

«Questo non ha importanza, perché ogni monumento è una stratificazione. Ci sono fondamenta romane, una torre dell’ottavo secolo e poi, certo, uno sperone degli anni ’30. Ma a Roma tutto è ormai composito. Grazie a Dio però solitamente i monumenti non crollano».

Quindi è necessario ripensare il ruolo della sovrintendenza?

«Va abolita. Vista l’incompetenza e la decadenza culturale a cui ho assistito negli ultimi anni, penso che si debba ripensare l’attribuzione al comune di questi lacerti di Roma. Come è possibile che il Tempio della Pace sia del comune e il Foro Romano dello Stato? È un’assurdità che, unita all’inadeguatezza, richiede che quell’eccezione vada eliminata. Perché le eccezioni possono esistere se funzionano e finché funzionano».

Per quale motivo non funziona più il modello della sovrintendenza?

«Perché non si è aggiornato, non è stato al passo coi tempi. Si è accontentato della divinizzazione delle sue origini, che sono origini papali. Ma tutto questo oggi non ha nessun senso culturale. La funzione della tutela che risale a Raffaello poteva andar bene, ma Parisi Presicce, l’attuale sovrintendente, non è Raffaello. E si vede».

È un modello sbagliato che prescinde quindi dalle singole amministrazioni?

«Sì, ma va detto che l’attuale amministrazione non ha certo migliorato le cose. C’è un conservatorismo molto accentuato che è divertente osservare in un’amministrazione di centrosinistra».

E dal punto di vista teorico cosa non va nella suddivisione della gestione dei beni pubblici?

«Io sono un archeologo contestualista. Per me i rapporti tra le cose sono importanti quanto le cose. Questo affidamento arbitrario dei monumenti all’uno o all’altro ente è uno smembramento di Roma. I beni territoriali archeologici vanno ricomposti. Ma finché c’erano persone che agivano in modo competente, creativo e innovativo poteva anche andar bene. Ora c’è la mummificazione di questa funzione».

A che cosa è dovuta questa stasi della funzione della tutela del patrimonio?

«Alla convinzione che l’archeologia coincida con la storia dell’arte. L’archeologia affronta un’intera civiltà, dalle fogne ai ritratti. Bisogna avere competenze architettoniche strutturali, non basta saper leggere un’iconografia».

Ritiene che il Ministero della cultura avrebbe queste competenze?

«Certo non è perfetto, ma nella tutela in Italia ha svolto una funzione più che meritevole. Semmai le carenze sono nella valorizzazione e nel rapporto con la società civile. Perché non ricomporre tutto e far amministrare Roma in modo unitario invece di affidarla a burocrazie spesso in competizione tra loro? Penso che sia arrivato il momento di salutare la sovrintendenza, senza troppo ringraziarla, e andare avanti».

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