Oggi l’incontro con il presidente degli Stati Uniti. Gli sceicchi di Hebron rompono con l’Anp: «Vogliamo un Emirato e la pace con Israele»
Mentre la Striscia di Gaza continua a pagare un prezzo altissimo in vite umane, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu parte per Washington, dove oggi incontra il presidente degli Stati Uniti Donald Trump. In parallelo, una delegazione negoziale israeliana è giunta a Doha, in Qatar, per trattative indirette con Hamas, con l’obiettivo di chiudere su un cessate il fuoco temporaneo e ottenere il rilascio degli ostaggi.
La situazione sul terreno resta grave. Secondo il bollettino diffuso dal ministero della Sanità controllato da Hamas, sono almeno 57.418 i palestinesi uccisi e 136.261 i feriti da quando, il 7 ottobre 2023, è iniziata la campagna militare israeliana sulla Striscia. Anche se questi dati sono indimostrabili. Nelle ultime 24 ore sono state 80 le vittime e 304 i feriti registrati, anche se i numeri non sono verificabili in modo indipendente.
Netanyahu ha parlato a Channel 12 prima di salire sull’aereo: «Siamo determinati a riportare a casa tutti gli ostaggi. Allo stesso tempo, insistiamo sull’eliminazione delle capacità militari di Hamas e sul fatto che Gaza non rappresenti più una minaccia per Israele. Un incontro con il presidente Donald Trump potrebbe contribuire al raggiungimento dell’accordo».
Mentre il presidente israeliano Isaac Herzog ha ricevuto Bibi poco prima della partenza: «Nella sua visita a Washington, il primo ministro porta con sé una missione importante: un accordo per riportare a casa tutti i nostri ostaggi», ha detto. «Sostengo pienamente questi sforzi, anche quando comportano decisioni difficili, complesse e dolorose. Il costo non è semplice, ma sono fiducioso che il gabinetto e l’establishment della sicurezza saranno all’altezza della sfida».
Il viaggio americano avviene mentre Israele ha fatto sapere di considerare «inaccettabili» le modifiche richieste da Hamas alla bozza dell’accordo presentata dal Qatar e approvata da Tel Aviv. La delegazione negoziale israeliana, composta da Gal Hirsch, Ofir Falk, un ex vice dello Shin Bet, funzionari del Mossad e ufficiali delle Idf, ha ricevuto mandato di valutare la tenuta dell’intesa nelle prossime ore. L’obiettivo dichiarato dei colloqui è raggiungere un cessate il fuoco di 60 giorni, durante i quali si negozierà la fine delle ostilità. Un primo segnale di apertura, secondo Al-Araby, sarebbe arrivato da Hamas con richieste di modifica minori rispetto al testo originale. Israele, però, al momento ha ribadito il suo no.
Mentre Netanyahu si prepara all’incontro con Trump previsto per le 18,30, ora della East Coast americana, (le 2,30 di notte in Italia), l’amministrazione ha confermato che durante l’assenza del premier sarà il ministro della Difesa, Israel Katz, a presiedere il gabinetto ristretto, mentre il ministro della Giustizia Yariv Levin sostituirà Netanyahu nella riunione del governo.
Nel frattempo, si è aperto un fronte politico in Cisgiordania che ridisegna potenzialmente il quadro della rappresentanza palestinese. Cinque sceicchi delle tribù di Hebron hanno inviato una lettera al ministro dell’Economia israeliano Nir Barkat, proponendo la creazione di un Emirato indipendente dal controllo dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), pronto a riconoscere Israele e ad aderire agli Accordi di Abramo. «Vogliamo l’Emirato e la pace con Israele», si legge nel documento, che descrive l’intesa come «equa e dignitosa».
Secondo lo sceicco Wadee’ al-Jaabari, leader dell’iniziativa: «Non ci sarà nessuno Stato palestinese, nemmeno tra mille anni. Dopo il 7 ottobre, Israele non lo concederà più». La proposta intende sostituire gli accordi di Oslo, ritenuti dai firmatari fonte di «danni, morte, disastro economico e distruzione». Il piano prevede la futura adesione di sei altri Emirati palestinesi: Betlemme, Jerico, Nablus, Tulkarem, Jenin, Qalqilya e infine Ramallah, roccaforte di Abu Mazen. «Jaabari vuole la pace con Israele e aderire agli Accordi di Abramo, con il sostegno dei suoi confratelli. Chi in Israele dirà di no?», ha dichiarato Barkat, che ha ricevuto Jaabari decine di volte a Gerusalemme negli ultimi mesi.
Il clan Jaabari ha una lunga storia di contrasti con l’Anp: nel 2007 incendiò una stazione di polizia e prese in ostaggio 34 agenti dopo l’uccisione di un membro della famiglia da parte delle forze di sicurezza palestinesi. Anche il padre dello sceicco aveva avviato contatti diretti con Israele già negli anni Novanta. Secondo quanto riportato dal Jerusalem Post, Jaabari controllerebbe circa il 78% della popolazione metropolitana di Hebron, ovvero più di 700.000 palestinesi. Intervistato nella sua tenda cerimoniale, lo sceicco ha descritto la sua visione come un ritorno alla gestione tradizionale del territorio da parte dei clan locali, senza più dipendere da un’autorità centrale considerata imposta dall’esterno. Fonti vicine al governo israeliano riferiscono che Netanyahu è stato informato nei dettagli, ma ha preferito per ora non intervenire direttamente: i rischi politici e di sicurezza dell’iniziativa sono elevati, e il premier aspetta di capire in quale direzione si muoverà la proposta.