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Omicidio Nada Cella: armi insospettabili e omissioni nelle indagini

Nada Cella il processo

Il caso è stato riaperto nel 2021, dopo 25 anni. In aula i teste chiave: l’ex poliziotto Silvio Bozzi e il medico legale Marcello Canale

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Il delitto di Nada Cella, uccisa a soli 25 anni il 6 maggio 1996 a Chiavari, nello studio di Marco Soracco – il commercialista per cui lavorava come segretaria – è uno dei più noti cold case italiani rimasti in sospeso. Si cerca ancora il volto del killer, il movente, e la dinamica di quanto accadde alla ragazza. Il caso è stato riaperto nel 2021, dopo 25 anni di buio e senza un colpevole, grazie al lavoro di una criminologa. Un lavoro che ha portato a un processo che vede come principale indagata l’ex insegnante Annalucia Cecere, già sospettata in passato, e il commercialista Marco Soracco, per cui la vittima lavorava.

Nel processo sfilano così i testi che potrebbero essere utili a ricostruire la vicenda, dando finalmente una svolta definitiva alle nuove indagini. Nell’ultima udienza del 3 luglio, ha testimoniato Silvio Bozzi, ex dirigente di polizia e consulente della parte civile.

Già nel 1998 aveva analizzato il caso per la trasmissione Mistero in Blu, e sorprendentemente, le sue ipotesi dell’epoca coincidono con i risultati delle indagini più recenti. Secondo Bozzi, l’aggressione fu frutto di un impulso violento improvviso. L’accusata, Anna Lucia Cecere, si sarebbe introdotta nello studio e avrebbe atteso Soracco seduta alla sua scrivania. Bozzi ipotizza tre tipologie di strumenti usati nell’aggressione: le mani dell’aggressore, un oggetto compatibile con un fermacarte e, in particolare, una spillatrice metallica, riconoscibile da una traccia verde lasciata sul muro.

Secondo lui, la dinamica mostra una furia crescente, culminata in un attacco reiterato fino allo sfinimento. Il medico legale Marcello Canale, che eseguì l’autopsia nel 1996 e oggi affianca la famiglia Cella, ha confermato che Nada subì 25 colpi violenti, prevalentemente alla testa, ma anche su braccia e bacino. L’ultimo colpo, quello mortale, le fratturò il cranio.

Canale ha anche sottolineato un’anomalia: una settimana dopo l’omicidio, durante un nuovo sopralluogo, trovò il pavimento inspiegabilmente ripulito, nonostante l’area fosse sotto sequestro. La ricostruzione presentata da Bozzi e Canale evidenzia l’impeto improvviso dell’aggressione, l’uso di oggetti comuni come armi, e le lacune investigative che hanno ostacolato la scoperta della verità per decenni. A fornire particolari importanti è stato in un’altra udienza del processo Saverio Pelle, lo zio acquisito di Nada Cella, ascoltato in Aula a Genova.

La sua testimonianza si inquadra nei giorni antecedenti il delitto, alle confidenze e allo stato d’animo vissuto dalla vittima. «Nada mi aveva fatto capire che nello studio del commercialista dove lavorava girava denaro ‘sporco’. Aveva visto grosse buste di denaro. E poi mi disse che il suo datore le aveva fatto delle avances e la trattava male». Pelle ha raccontato poi che la nipote era «impaurita, infastidita e preoccupata. Era agitata. Le consigliai di non fare denuncia ma di lasciare il lavoro. Le dissi di mandare una raccomandata in cui diceva di licenziarsi e poi di non presentarsi».

Le confidenze vennero fatte durante un colloquio in cui i due avevano parlato di usura. «Dissi che a Milano c’era tanta usura e lei mi rispose: ‘Guarda che non c’è solo a Milano, ma anche nei paesi – ha sottolineato l’uomo. – Poi le chiesi come mai era così triste e lei si confidò». Un colloquio riportato poi da Pelle agli investigatori nel ’97, un anno dopo l’omicidio, quando l’uomo, che si era tenuto il segreto fino ad allora, decise di raccontare tutto alla polizia.

Una testimonianza chiave è anche quella del commercialista Paolo Bertuccio, collega e conoscente di Soracco nel maggio 1996, nei giorni del delitto. Soracco oggi è imputato per favoreggiamento, secondo l’accusa avrebbe coperto la donna accusata dell’omicidio, Anna Lucia Cecere all’epoca dei fatti una delle poche testimonianze, in un clima a Chiavari che gli inquirenti hanno definito di omertà, fu proprio quella di Bertuccio.  «Per tutti questi anni mi sono sentito lo scemo del villaggio», ha dichiarato in Aula l’uomo a cui, due settimane prima dell’omicidio, Soracco avrebbe detto «poi ci sarà la botta, la signorina vuole andare via, andrà via, anzi, verrà portata via».

«Mi ha preso un po’ di paura e me ne sono andato a casa”, ha raccontato ai giudici il testimone. Che meno di un mese dopo quella conversazione, avendo saputo della morte di Nada Cella, disse tutto a un avvocato, che gli consigliò di parlare con la Procura. Una conversazione che Soracco ha sempre negato. Il commercialista Bertuccio ha inoltre detto di essersi quasi pentito di aver fatto, allora, il suo dovere di cittadino parlando con la polizia, e di avere avuto problemi. C’erano voci insistenti sul fatto che lui avesse fatto tutto questo per rubare i clienti allo studio di Soracco.

Ma intanto, mentre con le testimonianze affiorano particolari importanti, le indagini vanno avanti e l’attenzione degli inquirenti si concentra sulla scena del crimine. Mancherebbe un fermacarte in onice a forma di cilindro, che potrebbe essere la possibile arma del delitto. Farebbe parte di un set da scrivania appartenente allo studio del commercialista Soracco: l’oggetto, ritenuto compatibile con alcune delle ferite riportate dalla vittima, era stato sequestrato nel ’96, perfettamente pulito e riposto in un armadio, poi restituito al proprietario nel 1997.

Quando il caso è stato riaperto nel 2021, gli investigatori hanno chiesto nuovamente il sequestro di alcuni oggetti in onice, ma Soracco ha dichiarato di non aver più il fermacarte, pur avendo conservato gli altri elementi dello stesso set. A riferire dell’assenza dell’oggetto, la biologa della polizia Daniela Scimmi, che ha partecipato alle nuove indagini genetiche e ha riferito che i campioni raccolti siano ormai in gran parte deteriorati o contaminati. In aula Francesco Ventura, oggi direttore dell’istituto di medicina legale di Genova, ha riferito sulle lesioni riportate dalla vittima spiegando che si è trattata di un’aggressione particolarmente violenta, con numerosi colpi alla testa, forse iniziata all’ingresso e conclusasi nella stanza della giovane. Tra gli oggetti potenzialmente compatibili con le ferite, una pinzatrice e, appunto, il famoso fermacarte in onice.

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