L’economista Francesco Zirpoli giudica negativamente il passo indietro dell’Ue sul Green Deal: «Danneggia ambiente e consumatori»
La Commissione di Bruxelles vuole fare un passo indietro sulla transizione verde. Ursula von der Leyen, in una lettera inviata ai capi di stato e di governo Ue, ha aperto una riflessione sulla lotta alla Co2. Ha annunciato che i motori termici potranno sopravvivere con le eco-benzine. Tutto lascia pensare, a questo punto, che il Green Deal sia sulla rampa di lancio per entrare nel paradiso delle buone intenzioni. Giusto? Sbagliato? Inevitabile? Ne parliamo con Francesco Zirpoli, docente a Ca’ Foscari e direttore scientifico del Center for Autotmotive and Mobility Innovation e dell’Osservatorio sulle Trasformazioni dell’Ecosistema Automotive.
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Professore la Commissione Ue sta facendo un passo indietro sulla transizione verde: è la fine dell’auto elettrica in Europa o solamente una pausa di riflessione?
«Dalle dichiarazioni sembra emergere che la Commissione abbia intenzione di cedere alle pressioni dei grandi costruttori auto europei. L’idea è che cambiando le regole del Green Deal si possa arginare l’avanzata delle motorizzazioni elettriche su cui sono in ritardo, non certo per la regolamentazione ma a causa di loro scelte miopi. A Bruxelles fugge però un particolare».
Quale?
«In ballo non c’è solo l’ambiente ma la sfida dell’innovazione tecnologica nel settore auto che, in questo momento, vede in grande vantaggio i produttori asiatici».
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Il problema è proprio questo: la presidente della Commissione ha detto che la transizione elettrica ha favorito i cinesi e quindi bisogna fermarsi. Che cosa risponde?
«Rispondo che non è rallentando il Green Deal che si otterrà un vantaggio rispetto ai concorrenti. I marchi cinesi come MG e BYD, la giapponese Toyota e la sud-coreana Hyundai-Kia hanno guadagnato terreno in Europa con un’offerta di prodotto competitiva, soprattutto nei segmenti di mercato delle auto piccole ed economiche dove i produttori europei hanno lasciato ampi spazi».
L’obiezione si chiama dumping: i produttori asiatici, soprattutto cinesi, sono così competitivi perché godono di forti aiuti di Stato. E quindi?
«I dazi introdotti nel 2024 contro le auto elettriche cinesi, oltre a privare i consumatori di modelli più accessibili, hanno confermato la forza di questa offerta anche nel campo delle motorizzazioni ibride. In Italia nel primo trimestre del 2025 i produttori cinesi hanno conquistato il 19% del mercato dell’ibrido plug-in, l’11% dell’ibrido tradizionale e il 10% dell’elettrico».
Oggi i produttori chiedono la sopravvivenza del motore termico attraverso l’uso delle eco-benzine. Un passo indietro di questo tipo favorirà davvero consumatori e lavoratori europei?
«La spinta ad allentare i vincoli normativi è legata alla volontà dei grandi costruttori europei di sfruttare ancora tecnologie degli attuali propulsori, che garantiscono margini di profitto più elevati e non richiedono nuovi investimenti. Mi domando: questo vantaggio di breve termine per i produttori è davvero la strada per rilanciare l’industria europea?»
Facciamo come Marzullo: visto che ha fatto la domanda si dia anche la risposta.
«Eccola: il rapporto Draghi sul futuro della competitività europea nella parte relativa all’auto solo un anno fa metteva spiega che il ritardo non è dovuto alla regolamentazione ma ad un deficit di investimenti rispetto ai competitor asiatici che dura da oltre 10 anni. E, infatti, questo è ciò che pensano gli studiosi dell’industria. Non è rallentando il Green Deal che si otterrà un vantaggio rispetto ai concorrenti».
Resta il problema occupazionale: l’auto elettrica è semplice da costruire. Non richiede molta manodopera. Nessun governo può reggere una pressione sociale così forte non trova?
«Paesi come Italia e Francia hanno visto crollare produzione e posti di lavoro negli ultimi vent’anni, ben prima delle regole introdotte dall’Europa. In Italia, nel 2025 si produrranno meno di 250.000 auto, lo stesso numero del 1957. I marchi europei come Stellantis, che presidiano i segmenti più economici, producono queste vetture in Nord Africa, Turchia, Est Europa e Asia. Dal 2021 a oggi, Stellantis ha ridotto in Italia l’organico da 55.000 a meno di 40.000 dipendenti».
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Una situazione già difficile su cui piomberanno i tagli provocati dalla transizione elettrica. Come gestirli?
«Non sarà certo cambiando le regole del gioco che questa emorragia verrà fermata».
Perché?
«Il cambio di rotta sul Green Deal comporterebbe tre conseguenze negative: 1. Distorsione della concorrenza, rallentando l’adozione di veicoli innovativi, penalizzando i produttori europei più avanzati e indebolendo la competitività dell’Ue sul mercato globale; 2. Erosione della fiducia verso l’Europa delle imprese che hanno investito ingenti capitali nelle tecnologie per la decarbonizzazione, spingendo l’innovazione e i capitali lontano dall’Europa; 3. Incertezza per i consumatori, che rallenterebbe ulteriormente il mercato dei veicoli elettrici e relative infrastrutture e la riduzione delle emissioni, danneggiando sia la qualità dell’aria sia lo sviluppo del settore auto».