Intervista a Guido Tabellini sui temi della manovra. Il professore: «Bene i conti, male la crescita» e sulle tasse sulle banche «non paghino i consumatori e le imprese»
Professor Tabellini, il ministro dell’Economia ha detto di aver venduto la manovra alle agenzie di rating ancor prima di avere il via libera del Consiglio dei ministri al provvedimento. Che “merce” – Giorgetti dixit – ha venduto?
«Sicuramente ha confermato il rientro del disavanzo nell’ambito dei parametri richiesti dall’Europa, è un risultato importante e non era scontato. Per il resto, è una manovra abbastanza priva di ambizione, il cui merito principale è quello di non avere ceduto alle richieste di chi chiedeva più rilassatezza sulle pensioni, sugli sconti fiscali, cosa che era difficile fare senza trovare delle coperture, quindi il merito principale è questo, non ce ne sono altri».
La legge di bilancio vale 18,7 miliardi, è light rispetto a quelle degli ultimi anni.
«È una manovra di dimensioni contenute, in cui ci sono un po’ di risorse in più per la sanità, il che va bene, ma parliamo di dimensioni molto piccole e non si fa di più per ridurre la spesa corrente. Si è riusciti a minimizzare i danni sulle pensioni, c’era chi chiedeva di fare cose più aggressive sull’età di pensionamento e per fortuna su quel fronte si è fatto poco, nel senso che i provvedimenti riguardano soltanto i prossimi anni ma non è un cambiamento a regime».
La manovra salva i conti ma, ad opinione comune, non aiuta la crescita.
«Sicuramente non c’è un impulso sulla crescita e non c’è un tentativo di fare di più per aiutare il nostro sistema produttivo ad adattarsi alla rivoluzione che sta arrivando con l’intelligenza artificiale che richiederà anche investimenti particolari nel settore digitale e per la riorganizzazione del lavoro delle imprese».
La crescita quest’anno si fermerà allo 0,5% del Pil, dovrebbe arrivare allo 0,7% nel 2026. Il ministro Giorgetti ha chiamato in causa il contesto internazionale, le guerre in particolare, e la crisi demografica. Su quest’ultimo fronte la legge di bilancio avrebbe potuto essere più incisiva?
«Non credo che la grande problematica demografica che stiamo vivendo si possa risolvere con qualche mancia per le famiglie che hanno più figli. Penso che le ragioni di questa crisi siano sostanzialmente due, una culturale, che la politica economica difficilmente riesce a cambiare: l’evidenza empirica mostra che la fertilità è più bassa quando la cultura del Paese è più maschilista, nel senso che le donne vogliono avere una loro indipendenza e nei Paesi dove non sono aiutate dai mariti questo porta a un calo maggiore della natalità. Quindi c’è una causa culturale di fondo. La seconda riguarda le prospettive economiche dei giovani che rimangono molto modeste, e quindi è solo aiutando i giovani ad avere un benessere economico maggiore che si può fare qualcosa per risolvere la natalità».
Tornando alla crescita, lo scenario internazionale, tra conflitti e guerre commerciali, è difficile.
«Sicuramente, però siamo tornati a crescere a meno della media dell’area euro e secondo le previsioni resteremo su questo trend, quindi stiamo andando di nuovo peggio degli altri. Alla base penso che ci siano i soliti problemi difficili da risolvere dell’economia italiana, ovvero le nostre imprese non crescono oltre una certa dimensione. Gli Stati Uniti e i Paesi che crescono di più lo fanno perché hanno delle grandi imprese dinamiche nei settori nuovi, dove invece noi facciamo fatica. Una parte delle responsabilità va anche alla politica economica che questo governo non ha migliorato, anzi forse ha peggiorato perché ci sono tanti incentivi a restare piccoli, ci sono incentivi sul mercato del lavoro, ci sono incentivi fiscali perché è più facile pagare meno imposte o eludere le imposte se si è piccoli, ci sono incentivi alle partite IVA e invece dovremmo incoraggiare le imprese a crescere perché è solo crescendo che si riesce a far salire la produttività. Quindi, alla base del malessere italiano c’è una bassa crescita della produttività che è legata alle dimensioni piccole delle nostre imprese e questo governo non le ha aiutate finora a crescere perché ha rinforzato gli incentivi a restare piccoli.
La seconda causa del nostro malessere è anche che c’è molta differenziazione territoriale, il Nord va bene e il Sud va meno bene, e anche su questo il governo potrebbe fare di più. Per esempio i dipendenti pubblici sono pagati allo stesso modo al Nord e al Sud, il costo della vita nelle città di provincia meridionali è probabilmente meno della metà rispetto alle grandi città del Nord. Una differenziazione del salario pubblico in base al costo della vita sarebbe equa oltre che efficiente dal punto di vista economico».
La riforma fiscale con il taglio delle aliquote, 2 miliardi messi in campo per facilitare i rinnovi contrattuali sono una risposta sufficiente di fronte alla perdita di potere d’acquisto degli ultimi anni?
«Si premiano i lavoratori che sono più produttivi, e tutto quello che aiuta a stimolare la crescita della produttività va nella direzione giusta».
Una quota importante delle coperture della legge di bilancio arriva dalle banche e dalle assicurazioni, 11 miliardi in tre anni, attraverso un mix – ha spiegato Giorgetti – di misure in parte volontarie, in parte strutturali: una tantum e volontarie nel caso in cui dovessero sbloccare le riserve di capitale accumulate per la legge del 2023 sugli extraprofitti, strutturali con l’aumento dell’Irap.
«Non conosco i dettagli, ma intanto mi sembra difficile in linea di principio capire cosa vuol dire extraprofitti. In ogni caso, come sempre c’è il rischio che queste tasse poi non rimangano nel settore che viene tassato, ma che vengano traslate sulle imprese che prendono a prestito, sui consumatori che mettono lì i loro risparmi. Non mi è chiaro quindi se questa sia davvero una tassa sulle banche piuttosto che una tassa che finisce per danneggiare qualche altra parte del sistema produttivo o i consumatori».
Una manovra contenuta che, come diceva lei, non ha ceduto alle ambiziose richieste che arrivavano dai partiti, ma non ha comunque mancato di accontentare alcuni clientes, della Lega in particolare: la rottamazione c’è e, seppur parziale, c’è anche la sterilizzazione dell’aumento dell’età pensionistica.
«La premessa è che sulle pensioni stiamo spendendo troppo, si allunga la speranza di vita per fortuna e quindi dovremmo anche allungare l’età di pensionamento. La seconda premessa è che qualunque intervento noi facciamo sulle pensioni va giudicato non tanto per l’impatto che ha sui conti dell’anno in corso, ma per quello che ha sul futuro più lontano. Quindi, se questo provvedimento si limita a rimuovere l’indicizzazione per uno o due anni o rallentare l’indicizzazione per uno o due anni è un errore però ha delle conseguenze economiche modeste e limitate. Sarebbe meglio non farlo, però non è una catastrofe. Se invece ha degli effetti poi permanenti, questi errori si cumulano nel tempo e diventano sempre più grandi. Spero che sia una cosa limitata, anche se averlo fatto poi crea un precedente. Poi è sempre difficile tornare indietro».