Per l’economista la manovra è credibile, ma il Paese cresce poco a causa delle mancate riforme. Positive le misure in campo industriale
La legge di bilancio, definita nelle norme e nelle coperture, è attesa venerdì sul tavolo del Consiglio dei ministri, ma potrebbe anche slittare. «Il Papa ha fatto il miracolo», aveva detto il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, parlando con i giornalisti al termine della riunione, martedì, a Palazzo Chigi in cui ha illustrato le principali misure della manovra.
Un miracolo incompiuto, dal momento che restano diversi nodi da sciogliere, sul fronte delle coperture in particolare: l’intesa con le banche sul contributo di circa 5 miliardi richiesto dall’esecutivo non è ancora in vista e sta facendo fibrillare i partiti della coalizione.
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Professor Carlo Cottarelli, che giudizio ne dà?
«Sul fronte dei conti pubblici la manovra onora i nostri impegni con l’Unione Europea, sarà quindi ricevuta bene dai mercati. Credo che siano stati prudenti anche sull’andamento delle entrate, potrebbe esserci magari qualche sorpresa positiva, e quindi il prossimo anno il deficit potrebbe attestarsi su un valore migliore del 2,8% atteso. Vedremo. Comunque è una manovra che dal punto di vista dei conti va, soprattutto rispetto ad altri paesi come la Francia che è nel caos più completo. Ma se consideriamo l’impulso macroeconomico, direi che non c’è. Il deficit scende, quindi si riducono i soldi netti che lo Stato dà all’economia. Tuttavia era necessario che il deficit scendesse.
Dal punto di vista strutturale, ci sono alcune misure utili. La decisione, ad esempio, di abbandonare la strada di Transizione 5.0 e tornare a qualcosa di simile a Transizione 4.0 mi sembra valida. Ci sono un po’ di soldi per la sanità, si aggiungono 2,4 miliardi che dovrebbero portare il rapporto tra spesa pubblica e Pil al 6,5% nel 2026, dal 6,4% di quest’anno, leggermente al di sopra del livello cui l’aveva lasciata il governo di centrosinistra – al 6,3%-6,4% – in un percorso di discesa del decennio precedente. Non cambia moltissimo. Detto questo ci sono un po’di soldi per la natalità, eccetera, ma sono tutte cose piccole».
Una finanziaria leggera, 16 miliardi che ora sono saliti 18, impostata nel quadro, come ha rilevato Bankitalia, del contenimento dei conti finalizzato all’uscita dalla procedura d’infrazione per deficit eccessivo. Come si concilia con la necessità di sostenere i consumi, le imprese, e più in generale un sistema economico e sociale provato da uno stato emergenziale continuo, tra conflitti, crisi energetica, guerra commerciale?
«Tenendo conto del bilancio, non è che si potesse fare molto di più. In casi come questi il governo può intervenire attraverso una forte redistribuzione, tassare chi ha di più. Ma poi bisogna vedere come si interviene. La manovra non fa una grande redistribuzione, mette un po’ di soldi, 2 miliardi per facilitare il rinnovo dei contratti. Tutto sommato non c’è tantissimo.
Ciò di cui l’Italia non si fa con la legge di bilancio, le riforme necessarie si possono fare al di fuori della manovra. Ad esempio, sulla semplificazione burocratica il governo ha fatto qualcosa, ma non mi sembra che il Paese si sia accorto delle 260 misure messe in campo. È un lavoro complicato, ma bisogna andare avanti su questa strada. C’è poi la questione dei costi dell’energia sempre più pressante, e anche questa si può affrontare al di fuori dalla legge di bilancio. C’è il tema della lentezza della giustizia, abbiamo fatto progressi, ma in Spagna, che ormai è il nostro faro – cresce a una velocità 4-5 volte quella dell’Italia – la giustizia è più rapida. C’è poi la necessità di organizzare un flusso migratorio regolare accogliendo le persone di cui abbiamo bisogno, e ancora una volta l’esempio è la Spagna.
Con la legge di bilancio si sarebbe potuto metter mano a una profonda e ampia revisione della spesa per tagliare le tasse in maniera sostanziale. La pressione fiscale non registrerà variazioni perché è vero che si detassa l’Irpef, ma al tempo stesso nel Documento programmatico di finanza pubblica c’è scritto che il 40% delle coperture arriva da aumenti della tassazione, circa 6 miliardi. Su chi? Le banche? Anche quella è pressione fiscale. Gli istituti di credito poi si rivalgono sui loro clienti. Bisogna organizzare una revisione della spesa partendo da lontano, non facendo qualche taglio nell’allocazione ai ministeri, di cui tra l’altro non si sa niente dal momento che il Documento programmatico di bilancio (Dpb) non è ancora uscito».
La pressione fiscale continua ad aumentare, era al 42,5% lo scorso anno, è al 42,8% quest’anno. La premier Meloni e il ministro Giorgetti la spiegano con l’aumento dell’occupazione…
«Un discorso che non ha senso, qui si guarda il rapporto tra occupati e Pil, aumentano l’uno e l’altro ma non si capisce perché il rapporto debba aumentare. Non solo, le tasse si pagano come percentuale in Pil e il Pil non è cresciuto più rapidamente, anzi è cresciuto più lentamente. Quindi questa spiegazione non c’è. E io non credo sia il fiscal drag. Potrebbe essere l’onda lunga delle misure adottate in passato per combattere l’evasione fiscale, c’è poi il fatto che i pagamenti elettronici stanno diventando più frequenti. Non è comunque certo dovuto all’aumento dell’occupazione. È una bufala».
Intanto tra il 2022 e il 2024 il fiscal drag ha portato nelle casse dell’erario 25 miliardi…
«È un’altra bufala, è un numero tirato fuori dall’Ufficio parlamentare di bilancio, calcolato sulla base dell’andamento dell’inflazione e non dell’aumento dei salari, mentre il fiscal drag – quante tasse si pagano in più – dipende dall’andamento dei salari che è stato più basso dell’andamento dell’inflazione».
Intanto, con la rottamazione si concede «ossigeno», come dice il vicepremier Salvini che l’ha fortemente voluta, a chi non ha onorato gli impegni con il fisco.
«È la quinta. Si sostiene che sia un intervento necessario perché la gente non riesce a pagare. Capirei questo ragionamento se fossimo appena usciti dalla crisi del 2011-2012, ma i profitti stanno andando bene, i lavoratori autonomi non stanno andando male rispetto ai lavoratori dipendenti. Credo piuttosto che le cartelle continuino ad accumularsi semplicemente perché si sa che arriverà un’altra rottamazione».
Questa manovra mette 3,5 miliardi per la famiglia, nuove risorse per la sanità, ma la crisi demografica sembra
inarrestabile e la sanità inadeguata: sempre più persone si rivolgono alla sanità privata e chi non può rinuncia
alle cure. Ma non si profilano riforme di struttura.
«Non credo che il sistema sanitario attuale, che decentralizza la spesa alle Regioni, sia sbagliato, bisognerebbe capire piuttosto perché in alcune funziona e in altre no. Dopodiché anche nel campo della sanità si possono fare risparmi e rinvestire nel settore stesso. Ma ancora non è mai stata completata la famosa banca dati degli acquisti – avrebbe dovuto essere introdotta nel 2014 – che consentirebbe di razionalizzare la spesa.
Per quanto riguarda la famiglia, purtroppo la brutta notizia è che gli studi econometrici disponibili mostrano che c’è un impatto della spesa sulla natalità, ma è basso. Quest’anno si raggiunge un nuovo minimo del numero dei nati, sono 15 anni che ogni anno si batte il record precedente. Serve un intervento strutturale che dia prospettive, mettere più soldi in legge di bilancio credo non serva a niente. Servono asili nido e congedi parentali, misure che aiutino a conciliare lavoro e famiglia».
Capitolo imprese: il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, ha sottolineato che nella manovra manca la parola crescita. La produzione industriale è in calo da oltre 30 mesi, la produttività è al palo.
«La questione è che è l’intero Paese che cresce poco, dello 0,5%, il valore dell’industria ne è una conseguenza. Quanto alla produttività, per aumentarla bisogna fare più investimenti e per farli bisogna mettere in campo le riforme di cui parlavo prima in modo che l’Italia diventi un posto dove è facile fare attività d’impresa».
Quali sono le linee guida di una politica industriale per il Paese?
«Semplificare è la migliore politica industriale che uno Stato possa fare. Parlare di politica industriale poi potrebbe essere fuorviante, si evoca l’idea di uno Stato che deve ricominciare a fare attività d’impresa, cosa che non credo sia in grado di fare».
L’impatto dei dazi imposti da Donald Trump non si è ancora esplicato in pieno. Quali conseguenze immagina sul nostro sistema?
«L’incertezza che hanno generato ha già prodotto delle ricadute, ma le tariffe al 15% vanno bene, sono previste esenzioni per alcuni beni e credo che alla fine il sistema riuscirà a reggerne l’impatto, sarà sopportabile».
Tornano alla manovra, resta da definire il quadro delle coperture. Si punta a recuperare 4,5 miliardi dalle banche che non sembrano tuttavia disposte ad arrivare a questa soglia..
«Se il contributo avviene con le modalità dello scorso anno si tratta solo di un prestito».
Sul settore bancario il governo ha fatto sentire il suo peso con l’uso del golden power nella vicenda Unicredit-Bpm. Un intervento opportuno?
«Non entro nel merito di questa specifica operazione, ma in generale mi sembra che si stia facendo un uso troppo frequente di questo strumento».