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Calcio, mondiale senza frontiere. Entra Capo Verde, Europa in tribuna

L’idea di portare a 48 le Nazionali partecipanti equivale a sacrificare il ranking e la meritocrazia sull’altare del consenso

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Italiani popolo di CT

L’Italia, che ha un popolo “di poeti, di artisti, di eroi, di santi, di pensatori, di scienziati, di navigatori, di trasmigratori” come sta scolpito sul Colosseo Quadrato a Roma, da qualsiasi lato lo si guardi, e che in più è anche un popolo di allenatori di calcio e di presidenti del Consiglio giacché tutti sapremmo come fare meglio di chi lo fa per mestiere (il che può anche essere vero…), dovrà sudare le sette maglie azzurre per andare in America a giocarsi il mondiale che verrà nel 2026.

Il nostro è un po’ meno, in effetti, un popolo di calciatori specialmente da quando gli istruttori delle scuole deputate non fanno giocare i bambini, ma insegnano loro prima di tutto gli schemi, 3-4-3, 4-3-3, 3-4-2-1 e così via, già dall’età che quelli manco li capiscono i numeri, perché neppure hanno ancora studiato le tabelline o giù di lì. Ha ragione Fabio Capello: “Io quelli che insegnano la tattica ai ragazzini li licenzierei subito: in Spagna i ragazzini li fanno giocare” ha detto Don Fabio.

Da tifosi della Nazionale dobbiamo nuotare in “quest’acqua qua” come direbbe Pier Luigi Crozza Bersani e dunque probabilmente stare sospesi in attesa dei playoff che verranno per la qualificazione al Grande Evento. E questo pure se le promosse saranno questa volta 48 contro le 32 dell’ultima (Qatar 2022) alla quale l’Italia non andò come del resto a quella precedente (Russia 2018) che ebbe sempre un tabellone di 32.

Giochi senza frontiere

Un tasso di inflazione del 50 per cento che nemmeno Milei con la motosega argentina riuscirebbe ad uguagliare. Un totale di 80 partite: giocate, giocate qualcosa resterà. Il qualcosa è un pugno di dollari per gli organizzatori e un mucchietto d’ossa, o almeno di cartilagini, dei calciatori, che se ne dolgono ma non a fine mese…

Il problema ha almeno due facce: la globalizzazione e il consenso. La prima è la struttura che è andata formandosi nel mondo: tutti giocano a pallone, tanto che le federazioni nazionali deputate a governare (eufemismo) questa “ultima rappresentazione sacra del nostro tempo” per dirla con Pier Paolo Pasolini o questa “metafora della vita” per dirla con Jean Paul Sartre, sono attualmente, 211.

D’altra parte c’è chi sostiene che l’antica norma che uno Stato, per essere tale, debba avere “un popolo, un territorio, una sovranità” andrebbe aggiornato con “e una Nazionale di calcio” (la Palestina la possiede, o forse la possedeva prima del massacro che è costato la vita anche a molti dei calciatori a Gaza, ma questo è un altro discorso).

Gli stati membri dell’Onu sono 193 (più i due osservatori, il Vaticano e la Palestina), il Comitato Internazionale Olimpico ha 205 Comitati Olimpici Nazionali. I 211 hanno tutti diritto di voto, come si conviene in ogni democrazia vera o finta che sia, che uno vale uno si dice pur se non è, e così i presidenti che si sono succeduti hanno non solo allargato il numero degli elettori ma li hanno anche “accontentati” garantendo redditi e visibilità a dirigenti che sarebbero rimasti anonimi per sempre.

La marcia clientelare ha portato addirittura a una proposta di ulteriore ampliamento: c’è chi vorrebbe aumentare i partecipanti ai mondiali del 2030 (da disputare in Spagna, Marocco e Sudamerica) a 64 così da garantirsi un pacchetto di voti. Di scambio?

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Arretrano le nazionali europee

Ora in questa proliferazione pallonara in realtà l’Europa paga dazio, come del resto le sta capitando in altri contesti. Perché delle 211 federazioni l’Europa ne conta 55 ed avrà 16 posti; il Sudamerica, per dire, con i suoi 10 membri avrà 6 posti: promossi cioè al 60 per cento, contro il 29,1 degli europei. Loro hanno il Brasile, l’Argentina e l’Uruguay vincitori rispettivamente di 5, 3 e 2 edizioni. L’Europa ne ha vinte 12 (4 Italia e Germania, tra Ovest e Unita, 2 la Francia, una la Spagna e l’Inghilterra). Il resto del mondo in questo secolo di campionati non è mai arrivato neppure in finale.

C’è chi sostiene che così facendo si va incontro all’universalità dello sport: è probabile che questo concetto debba trovare casa alle Olimpiadi, dove infatti la trova, pure con quella straordinaria presa di posizione del Cio che supporta la “squadra dei rifugiati”, formata da quei povericristi che, perseguitati per una qualsiasi disumana ragione, hanno dovuto lasciare il loro luogo naturale.

Ma un campionato mondiale, di qualsivoglia sport, dovrebbe, probabilmente avere come bussola la meritocrazia non il passaporto. È il ranking che dovrebbe contare in un campionato, non l’anagrafe di giocatori ed elettori. Un campione olimpionico è di tutti e per sempre, un campione mondiale fino alla prossima edizione. Ma vallo a raccontare a chi deve essere eletto…

Tant’è: in questo contesto restano almeno le favole di Cenerentola 2.0. Le Isole Capo Verde che per la prima volta parteciperanno, le Isole Far Oer che può darsi (fa bene stare in mezzo al mare? Forse non ci si contamina con gli schemi), l’Uzbekistan che tanti neppure sanno dove sia (Fabio Cannavaro sì: è il nuovo cittì appositamente ingaggiato), la Giordania e poi qualcun altro che si aggiungerà: per adesso, oltre ai tre organizzatori, sono 19 ad aver staccato il biglietto. E’ la rivincita delle piccolette? E’ il Suriname, è Curaçao? Se avanzano le piccole, chissà che l’Italietta…

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