Ricostruzione dopo il disarmo. La premier: «Modello del Piano Mattei», sinergia tra pubblico e privato. Il paper italiano già a novembre
Giorgia Meloni ha ritrovato il sorriso. Nel giorno che ha segnato «l’alba storica di un nuovo Medio Oriente» è stata l’unica premier donna in una lunga fila di leader e capi di Stato, una ventina in tutto, testimoni della cerimonia della firma degli “Accordi per la pace” a Sharm el-Sheikh.
«Se viene attuato il Piano di pace è più vicino il riconoscimento della Palestina, certo» ha detto poi commentando la firma dell’accordo di pace per Gaza. «Siamo fieri che l’Italia ci sia in questa giornata storica. L’Italia è qui per dire che c’è ed è pronta a fare la sua parte».
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I leader ieri sono saliti sul grande palco con la scritta “Peace 2025” uno dopo l’altro, hanno stretto la mano ai due “padroni di casa”, il presidente egiziano Al Sisi, mattatore degli accordi, e Donald Trump. In un primo momento la premier era lontana dal cuore della scena, il protocollo assegnava il posto in base all’ordine alfabetico e l’Italia è sempre sfavorita.
Poi lo stesso Trump l’ha salutata, «chi è questa donna?» ha scherzato, «questa bella donna e ottima leader». E l’ha messa alle sue spalle, dietro al Sisi di fianco al leader britannico Starmer e a quello greco Kyriakos Mitsotakis.
Giorgia Meloni ha sorriso in pubblico. Una foto storica, una giornata storica e lei lì. «Perché la pace si fa con i fatti e non con le parole» aveva scritto in mattinata in un post ancora polemico con le manifestazioni pacifiste e pro Pal che attraversano il paese commentando la commovente ed emozionate liberazione dei venti ostaggi rimasti vivi dopo 738 giorni di prigionia.
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Che succede da oggi a Gaza?
Il vertice di Sharm doveva dare la sensazione, come poi ha detto Meloni prima di tornare in Italia, che «questo giorno è l’inizio di una fase, una grande occasione in un contesto assai complesso, è il tempo del lavoro e non bisogna mollare». Con l’orgoglio, senza dubbio, di essere al posto giusto nel momento giusto, anche la consapevolezza di una sfida molto difficile.
Che succede infatti da oggi nella striscia di Gaza? E in Cisgiordania dove i coloni continuano a rosicchiare territorio a quella che dovrebbe essere lo Stato di Palestina? È un attimo per far saltare tutto, accordi e buoni proposti. Come succede da oltre settanta anni. «Bisogna essere pragmatici e concreti» insiste la premier italiana.
Il ruolo di Roma
La prima cosa che potrebbe fare il governo italiano è proprio il riconoscimento dello stato di Palestina. Le due condizioni – rilascio ostaggi e fuori Hamas da ogni tavolo di trattative – si sono verificate. Al Sisi lo ha detto chiaro alla nostra premier in un bilaterale prima dell’arrivo di Trump in cui ha raccomandato di «arrivare presto alla creazione di uno Stato palestinese indipendente in conformità con le decisioni della legalità internazionale». Nelle lunghe trattative tra Egitto, Turchia, Qatar e Hamas, la nascita dello Stato di Palestina è la pietra miliare per tutto il resto. Non il punto di partenza ma il quadro di riferimento le diplomazie devono muoversi.
«L’Italia farà la sua parte in modo concreto»
«L’Italia oggi dimostra che c’è e che farà la sua parte in modo concreto» è la promessa della premier. Palazzo Chigi sta lavorando ad un paper (dossier) che ruota su tre pilastri: sicurezza, aiuti umanitari e ricostruzione. Sugli aiuti saranno rafforzati «subito» i canali di Food for Gaza e quelli per portare in Italia chi ha bisogno di cure e studenti che hanno perso scuole e università. Croce Rossa e Protezione civile sono già pronte «ad allestire ospedali da campo».
Le due missioni dei carabinieri a Rafah e a Gerico
Sul fronte sicurezza saranno subito riattivare le due missioni dei carabinieri a Rafah e a Gerico (già finanziate nell’ambito delle missioni all’estero). Pronti anche ad inviare squadre di sminatori – un’urgenza assai delicata visto che Hamas ha minato molti punti con l’obiettivo di far saltare tank e truppe israeliani – e il contingente ad hoc per “la forza di stabilizzazione” che il governo italiano, ma non solo, vorrebbe fosse sotto il cappello delle Nazioni Unite. La forza di stabilizzazione è però ancora un’incognita per quanto sia necessaria. Per un periodo limitato «Hamas sarà forza di polizia a Gaza per completare il disarmo» ha precisato Trump. Un dettaglio che apre molte differenze. È solo una delle tante incognite.
Il modello del Piano Mattei
Una volta superata la fase del disarmo, solo allora si aprirà la fase della ricostruzione. «Lucidi e pragmatici» dice la premier. «Faremo appello al nostro settore privato» ha spiegato per tutto il settore strade, ponti, ferrovie, infrastrutture. Sarà applicato il «modello del Piano Mattei», ovvero la sinergia tra pubblico e privato per questo tipo di investimenti con il coinvolgimento dei grandi player come Webuild, Ferrovie, Autostrade, Eni, Snam.
Il paper italiano sarà definito e consegnato già per le prossime conferenze sulla ricostruzione, una è prevista al Cairo a novembre e poi a Parigi. Da qui ad allora, già questi primi mesi, avremo tempo e modo di capire come cammina la pace a Gaza. È chiaro che Qatar, Turchia, Egitto, Arabia saudita e Stati Uniti avranno un ruolo cruciale. Tutti gli altri, tra cui l’Italia, sono complementari. Ma la pace in Medio Oriente è interesse di tutti e ciascuno dovrà fare la propria parte.