La partita per la qualificazione mondiale del 2026. Si gioca anche sul versante politico. Perché lo sport fuori dalla politica è un’utopia
Lo stadio di stasera ha l’erba ibrida, come dice la scheda tecnica, un misto di natura e artificio, dunque. Ibrida è anche la partita: un miscuglio di calcio e politica che, c’è poco da fare, si mescolano di continuo checché se ne dica e almanacchi. Lo stadio è ibrido anch’esso nel nome: si chiamava Friuli e così dovrebbe chiamarsi ancora, almeno nei casi di eventi che non riguardano la squadra di casa, che è l’Udinese.
Quando tocca a questa, lo stadio gioiello (dicono che sia il quarto in Europa nella graduatoria dell’ecosostenibilità) prende il nome d’uno sponsor: è il mercato, bellezza, quello che sposta Milano a Perth, Australia, o Barcellona a Miami, Florida, perché è lì che si giocheranno due partite casalinghe di Serie A e Liga rispettivamente; più che il risultato s’insegue l’incasso. Del resto a Rabiot che se ne lagnava è stato risposto: però quando prendi lo stipendio mica ti lamenti. Ed in effetti non si lamentano né lui né la mamma procuratore.
La partita ibrida di stasera è un incontro sul cammino della qualificazione mondiale per il campionato in Nordamerica, Canada-Usa-Messico, del 2026. Il versante politico è dovuto all’avversario dell’Italia che gioca in casa: Israele. Non va in campo Netanyahu, okay, ma neanche Putin, che pure è uno sportivo praticante e millantatore, gioca per la Russia, dicono quelli che hanno sostenuto che sarebbe stato un segnale, incisivo più d’una sanzione allo shampoo neutro, sospendere anche Israele dai grandi eventi sportivi internazionali.
E continuano a sostenerlo, pure se è “scoppiata la tregua”, che spera il mondo fiorirà in pace (anche se la “pace eterna” evocata da Trump dà brividi macabri), e pure se è stato fermato il genocidio di Gaza (chiamatelo pure massacro: non cambia per questo il conto disumano dei morti).
Questa contingenza ha reso necessario misure di sicurezza fuori dall’ordinario (e dunque lo sport fuori dalla politica, o meglio viceversa, è un’utopia): si ha paura non della gente della pace che ha appena popolato negli ultimi giorni le piazze del mondo, una “Invincibile Armata”, altro che una “Flotilla”; piuttosto si temeva, e probabilmente si teme ancora con ragione, quella frangia che ogni occasione è buona, estremisti o provocatori, disadattati o infiltrati che siano.
C’è anche questo a Udine oggi. E poi c’è la partita. Sarebbe dal pronostico scontato, per quanto possa esserlo un incontro di calcio che, tra gli sport di squadra, è il solo che consente alla Corea del Nord di battere l’Italia, al Lecce retrocesso di battere la Roma e fermarne lo scudetto, a Cristiano Ronaldo di sbagliare un rigore e ad Haaland di sbagliarne due, come fosse un Dobvyk qualunque. L’Italia è decima nel ranking internazionale, Israele è al posto numero 76 della stessa graduatoria.
Però, per l’appunto, mai dire mai su di un campo di calcio. Specie poi se la squadra più in alto, l’Italia in questo caso, sta cercando di ritrovare se stessa, se non quella quattro volte campione del mondo almeno non quella che neppure si è qualificata le ultime due volte. L’Italia deve vincere per garantirsi già almeno l’accesso ai playoff che poi promuoveranno al mondiale. La prima del girone, la Norvegia, è ormai lontana non solo in punti in classifica (ne ha sei di più ma ha anche una partita in più) ma specialmente in gol, che la differenza reti recita un +26 per gli scandinavi ed un +7 per l’Italia.
Sarebbe un miracolo farcela, anche se “per il miracolo ci stiamo attrezzando” almeno in visione futura grazie alla scoperta di un ragazzo, Pio Esposito, interista, che è uno di quei gioielli che in Italia fanno più panchine che non partite, secondo l’antica idea che “so’ ragazzi”, come se Yamal dovesse aspettare l’età di Modric per giocare.
L’altra sera, giocando contro il materasso Estonia (ce n’è ancora nonostante a globalizzazione), l’Italia di Ringhio Gattuso ha sfoderato un bell’attacco, prima con Moise Kean che a Firenze sembra aver trovato l’equilibrio psicofisico giusto (pure se la Fiorentina no) e poi, una volta che Kean è stato costretto ad uscire precocemente per infortunio, con il sullodato Pio, entrambi in tandem con Retegui, che poteva essersi “imborghesito” ora che gioca in panciolle in Arabia e invece “la butta dentro” pur non essendo un bomber rubacuori.
Però, da qui alla goleada, anche se contro Israele, squadra alla quale l’Italia ne ha fatti cinque all’andata tuttavia prendendone quattro (era a Debrecen, in Ungheria, sempre per il capitolo “sport & guerra”), forse ce ne corre.
Staremo a vedere nella serata televisiva: che giri “la ruota della fortuna” meglio di quella contemporanea di Gerry Scotti e che Gattuso non faccia lo Stefano De Martino e non ci proponga “un pacco”. Il calcio azzurro ne ha già aperti abbastanza…