Il nuovo governo durato appena dodici ore. Il presidente pronto ad “assumersi responsabilità” in caso di fallimento delle trattative
La Francia di nuovo al punto di partenza. È l’effetto più immediato di una crisi di sistema ormai squadernata da tempo e concretizzatasi nella mattina di ieri con le dimissioni del premier incaricato Sébastien Lecornu. Un rovescio non inatteso – dati i fragili numeri della coalizione centrista di cui il giovane premier era espressione – ma inaspettato nelle sue tempistiche così improvvise: Lecornu ha rimesso il proprio mandato neanche dodici ore dopo aver presentato la sua squadra di governo e meno di un mese dopo essere stato nominato per l’incarico.
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Concludendo così la sua esperienza di governo con l’unico risultato ottenuto di conseguire il record di governo più breve della storia moderna francese. La mossa è arrivata dopo l’immediata alzata di scudi di praticamente tutti i partiti dell’arco parlamentare, compresi quelli vicini alla coalizione presidenziale guidata dal presidente Emmanuel Macron, e l’annuncio di sfiducia da parte delle forze di opposizione.
Sotto accusa, in particolare, di aver confermato la gran parte dei ministri vicini al presidente che componevano gli esecutivi precedenti e di non aver dunque risposto a quella richiesta di discontinuità che la Francia chiede da tempo. Il Paese sta attraversando una crisi politica feroce, dovuta in primo luogo alla pesante impopolarità di Macron: rieletto con difficoltà e senza un mandato politico nel 2022, il presidente ha sostanzialmente bruciato il poco di sostegno pubblico residuo con la riforma delle pensioni imposta per decreto nel 2023 contro il volere parlamentare e nonostante massicce proteste di piazza.
Dopo aver perso disastrosamente le elezioni europee del 2024, il capo dell’Eliseo ha cercato di prendere di contropiede le opposizioni annunciando a sorpresa delle elezioni anticipate che si sono tuttavia tradotte nella perdita della sua già fragile maggioranza parlamentare. Macron ha quindi cercato di costruire una grande coalizione unendo le forze parlamentari moderate ma senza successo: prima Michel Barnier e poi il suo successore Francois Bayrou sono stati sfiduciati dall’assemblea nazionale, ma nonostante questo il presidente ha finora rifiutato di allargare il governo all’opposizione, preferendo mantenere la barra dell’esecutivo nelle mani sue e dei propri alleati, una scelta che si è rivelata profondamente impopolare.
«Perdono le elezioni, ma governano. Non hanno la maggioranza, ma rifiutano il compromesso. Vengono rovesciati, ma rimangono al governo. A che gioco stanno giocando i macronisti? La loro ostinazione non fa che sprofondare ogni giorno un po’ di più il Paese nel caos», si è sfogato Boris Vallaud, nome di peso della galassia socialista. «E tutto questo per cosa? Solo per arricchire un’oligarchia parassitaria del Paese. Il conto alla rovescia per cacciarli è già iniziato», ha rincarato la dose il capo della sinistra radicale (La France Insoumise) Jean-Luc Melénchon, vestendo ancora una volta i panni abituali del tribuno popolare e definendo il governo Lecornu «un corteo di fantasmi».
«Abbiamo detto chiaramente al Primo Ministro: o rottura o sfiducia. Il governo annunciato questa sera, composto dagli ultimi sostenitori di Macron aggrappati alla Zattera della Medusa, ha chiaramente tutti i tratti distintivi della continuità e assolutamente della rottura che il popolo francese si aspetta», ha scandito invece Jordan Bardella, giovane vice della leader di estrema destra Marine Le Pen (che dal canto suo ha definito «patetica» la prova politica del presidente in carica) e candidato in pectore per la guida del governo in caso di vittoria dei nazionalisti alle elezioni.
A tradirlo al varco sono stati però anche i suoi stessi alleati, a cominciare dai repubblicani che pure nel nuovo esecutivo sedevano mantenendo tra l’altro una posizione di peso come il ministero dell’Interno. Subito dopo l’annuncio della squadra di governo, tuttavia, proprio il ministro (nonché leader ufficioso del partito) Bruno Retailleau ha annunciato il ritiro a causa della mancata rottura promesso rispetto al passato. Anche per questo, Macron è apparso preso alla sprovvista e ha incaricato Lecornu di condurre delle consultazioni aggiuntive e di riferire lo stato del negoziato entro domani sera, dopodiché il presidente «si assumerà le sue responsabilità», secondo quanto filtra dall’Eliseo.
In merito alla strada da intraprendere, il Partito Socialista non ha dubbi. «Oggi il capo dello Stato ha tre soluzioni a disposizione: le dimissioni, lo scioglimento o la nomina di un primo ministro proveniente dalla sinistra e dagli ecologisti», si legge nel comunicato rilasciato dalla dirigenza del partito in cui si rivendica il diritto a un capo di governo proveniente dalla gauche francese. Per la sinistra d’Oltralpe, infatti, le forze di sinistra – in qualità di coalizione uscita con più seggi dalle elezioni del 2024 – avrebbe il diritto di provare a formare il nuovo esecutivo. Un tentativo già compiuto all’indomani del voto, con la scelta dell’ex funzionaria Lucie Castests come candidata premier, ma bocciata da Macron che preferì perseguire la strada di una grande coalizione tra la destra gollista e i socialisti – appunto – in cui la propria creatura centrista avrebbe potuto continuare a fare da ago della bilancia. Un vicolo cieco non solo per i programmi incompatibili, ma anche per via della crisi sistemica che la Francia sta attraversando.
Simbolo di questo rapido avvitamento è anche il susseguirsi di giovani promesse bruciate. Prima il 34enne Gabriel Attal, enfant prodige del centrismo macroniano, primo omosessuale alla guida del governo e il più giovane premier della storia francese. Prescelto da Macron quale nuovo primo ministro nel gennaio 2024, fu tradito dal suo padrino politico dopo neanche sei mesi quando il presidente scelse – senza consultarsi con Attal – di indire elezioni anticipate che ne provocarono l’irrimediabile defenestrazione. Non a caso, dopo le dimissioni di Lecornu il suo predecessore – che secondo le indiscrezioni si era rifiutato di entrare nel nuovo esecutivo – aveva avuto solo parole di amarezza, affermando che «lo spettacolo offerto stasera dall’intera classe politica è angosciante».
Dopo di lui Macron ha preferito lasciare spazio a due vecchi nomi del centrodestra francese, prima il gollista Michel Barnier e il centrista Francois Bayrou (entrambi 73enni), prima di virare sullo stesso Lecornu, il 39enne ministro della Difesa uscente. Un altro astro nascente, molto stimato per la sua gestione delle forze armate francesi in questo difficile frangente internazionale tanto da essere riconfermato in tutti gli ultimi quattro governi, avrebbe dovuto essere la pagina bianca su cui scrivere il nuovo programma di governo e invece si è trasformato nell’ennesimo foglio vuoto. Con Lecornu nell’improbo ruolo dello studente che riconsegna al presidente il tema lasciato in bianco come chi abbia deciso di ritirarsi da un esame. Per il momento il professore ha preso tempo fino a domani, ma la resa dei conti della politica francese si avvicina.