Secondo l’ex pg della Cassazione già allora «sussistevano le condizioni per effettuarla. Così come in Portogallo»
La separazione delle carriere? «Era qualcosa che si doveva fare già nel 1989, non ho nessun motivo per gioire per il traguardo di oggi, ma ho invece ragioni per recriminare sul fatto che questa riforma doveva essere realizzata quasi 40 anni fa». È il parere di Vitaliano Esposito, ex magistrato con una lunghissima carriera alle spalle durata ben cinquant’anni (dal 1963 al 2012), culminata con il l’incarico autorevole di procuratore generale della Cassazione.
Esposito fa riferimento all’evoluzione del sistema processuale penale italiano verso un modello accusatorio, implementata con l’entrata in vigore del nuovo Codice di Procedura Penale nel 1989. Una riforma che ha segnato una svolta rispetto al precedente sistema inquisitorio, introducendo principi come la centralità del contraddittorio, la parità delle parti (accusa e difesa), e la valutazione delle prove da parte del giudice. Già da allora, rileva l’ex pg della Suprema Corte, «sussistevano le condizioni per effettuare la separazione delle carriere come già era avvenuto l’anno prima in Portogallo, il cui codice di procedura penale è una pedissequa traduzione del nostro codice».
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Secondo l’Anm la separazione delle carriere porterebbe alla sottoposizione del pm all’esecutivo. Cosa ne pensa?
«Penso che questa tesi dell’Associazione nazionale magistrati non abbia nessun fondamento. Io ascolto e giudico queste posizioni che, per la verità, mi sono assolutamente indifferenti, perché si tratta di dichiarazioni corporative. I magistrati in questa battaglia utilizzano tutti gli strumenti necessari a disposizione per bloccare la riforma, la libertà di espressione è massima, anche quando può scioccare attraverso campagne mediatiche sui social. La vera questione è che questo timore è infondato, dato che allo stato non vi è alcun elemento che possa far ritenere il rischio della sottoposizione del pm all’esecutivo. Il legislatore è chiarissimo: la riforma stabilisce che il pubblico ministero fa parte dell’ordine giudiziario e, come i giudici, gode di autonomia e indipendenza. Questa riforma è necessaria, sia sul piano ordinamentale che su quello processuale, poiché in nessun Paese in cui vige il sistema accusatorio il pm fa parte della stessa categoria del giudice. Ecco perché ritengo che già dall’89 questa riforma dovesse essere in vigore».
Più volte lei ha ricordato la posizione del giudice Giovanni Falcone, con cui aveva un legame molto stretto, favorevole alla separazione delle carriere. C’è chi sostiene che la figura di Falcone sia stata strumentalizzata per portare a termine questa riforma. Cosa replica a chi mette in dubbio la posizione di un magistrato che ha sacrificato tutto per la giustizia?
«Il problema è che ancora oggi ci sono in circolazione troppi ‘amici’ postumi di Falcone. In un mio libro – che uscirà prossimamente – riporto fedelmente il legame ed i rapporti con Falcone e la sua posizione. Chi si permette di dire che lui non fosse favorevole alla separazione delle carriere dice il falso. Continuano ad ammazzarlo anche da morto, è una vergogna sostenere che la sua idea fosse diversa. Il vero problema di cui discutevamo non era la separazione delle carriere, ma quello della espansione incontrollata del ruolo del pubblico ministero. Oggi siamo in presenza di un blocco monolitico composto da pubblico ministero, polizia giudiziaria, assistenti, amanuensi etc. etc. Prima il pm svolgeva il suo ruolo in solitudine, c’è stata una evidente involuzione».
Può spiegare meglio il concetto?
«Occorre chiarire bene i rapporti del pubblico ministero con la polizia giudiziaria. Il giudice istruttore, che nel codice Rocco era la figura più influente non aveva la polizia giudiziaria a sua disposizione. Raccoglieva le sue prove in solitudine. La prassi odierna dimostra invece che c’è una mistificazione in atto. Nel codice Rocco il pm faceva parte dell’ordine giudiziario per ragioni storiche, e la polizia giudiziaria era stata creata per impedire gli abusi dell’esecutivo. La pg, creata all’epoca della rivoluzione francese, doveva intervenire quando un reato era stato commesso e aveva il compito di impedire gli abusi del potere esecutivo. Oggi il pubblico ministero e la pg sono in simbiosi, ma in precedenza non era così. C’era invece un orgoglio della Procura nel controllo dell’attività della polizia giudiziaria».
Tra i punti maggiormente contestati della riforma da parte dell’Anm – e non solo – vi è il sorteggio per l’elezione dei consiglieri togati al Csm. L’obiettivo è contrastare il fenomeno del correntismo. Cosa ne pensa?
«È indubbio che attualmente le correnti costituiscono la degenerazione del sistema, e non vi è alcun dubbio che il sorteggio sia l’unico rimedio di fronte alla attuale situazione. Non è certo questo il punto qualificante della riforma, ma l’extrema ratio necessaria ad attenuare il fenomeno. Lo dimostra il caso Palamara e Palamara è solo l’Ecce homo».
Il braccio di ferro governo toghe sembra andare oltre la separazione delle carriere. Cosa ne pensa del contrasto in essere tra il ministro Nordio e i vertici della Cassazione sul parere dell’ufficio del Massimario in riferimento al decreto sicurezza?
«Anche a voler ritenere che quelle del Massimario siano solo valutazioni tecniche sulla legge – come dice la prima presidente della Cassazione – occorre esaminare se questa valutazione è stata fatta in astratto, al momento dell’entrata in vigore della legge, ovvero in concreto nel momento in cui la Corte di cassazione è stata chiamata a verificare la corretta applicazione di quella legge. Nel primo caso non vi è alcun dubbio che siamo in presenza di una incontrollata espansione del potere giudiziario. Nel secondo caso siano in presenza del preciso obbligo giuridico del giudice di vegliare a che, nel momento applicativo di quella legge, la sua decisione non si risolva nella violazione dei diritti fondamentali delle parti che è chiamato a tutelare».