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Almasri, no al processo per Mantovano e ministri

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In Parlamento il caso Almasri procede liscio e senza sorprese. La Giunta per le autorizzazioni della Camera ha infatti votato contro il testo del relatore Federico Gianassi (Pd) che proponeva di dare via libera all’autorizzazione a procedere chiesta dal Tribunale dei ministri per il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano e i ministri della Giustizia e dell’Interno, Carlo Nordio e Matteo Piantedosi. Così è arrivato un primo no al processo per i tre esponenti di governo.

La Giunta presieduta da Devis Dori (Avs) si è trovata a votare sulla relazione che evidenziava come i tre membri del governo «non hanno perseguito né un interesse costituzionalmente rilevante né un preminente interesse pubblico», nel caso Almasri, ma hanno «compiuto una scelta di mero opportunismo politico». E, ancora, che il loro comportamento ha «determinato una grave violazione degli obblighi internazionali dell’Italia e ha compromesso l’interesse superiore della comunità internazionale a vedere perseguiti i responsabili di crimini di guerra e contro l’umanità», oltre a «minare la credibilità internazionale dell’Italia e la trasparenza interna del rapporto fiduciario tra governo e Parlamento». Una ricostruzione che il centrodestra aveva da subito criticato e attaccato, e come si ipotizzava si è andati alla conta fino al respingimento con 13 voti contrari e 6 a favore.

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A quel punto, come era già stato anticipato nelle scorse ore, si è passati alla nomina di un nuovo relatore, stavolta individuato nel centrodestra. Pietro Pittalis di Forza Italia che il prossimo 9 ottobre, nell’Aula di Montecitorio, proporrà un’analisi del caso Almasri, e delle accuse formulate da Tribunale dei Ministri e Procura di Roma, coerente con la linea dell’alleanza di governo, che è naturalmente contraria alle pretese dei magistrati. La Camera si esprimerà sul parere della Giunta e, se la maggioranza dei deputati voterà per evitare il processo, Nordio, Piantedosi e Mantovano non avranno più nulla di cui preoccuparsi rispetto alle accuse di omissione di atti di ufficio, favoreggiamento e peculato. Per loro il caso Almasri, dal punto di vista strettamente giudiziario, sarà definitivamente chiuso.

Diversa invece la posizione di Giusi Bartolozzi, capo di gabinetto di Carlo Nordio, indagata dai pm capitolini per false dichiarazioni rese all’autorità giudiziaria, cioè al Tribunale dei ministri che l’aveva sentita sempre sulla vicenda Almasri. I giudici specializzati nei reati ministeriali hanno dichiarato all’organo parlamentare la loro incompetenza in relazione alle accuse rivolte all’alta funzionaria, per ribadire che le condotte di Bartolozzi sarebbero da considerarsi non legate da un “concorso” a quelle di Nordio, Piantedosi e Mantovano. Da qui la valutazione che la richiesta di autorizzazione a procedere non possa essere estesa alla dirigente del ministero. Idea coincisa con le comunicazioni trasmesse dal procuratore di Roma, Francesco Lo Voi, secondo le quali la donna non godrebbe di immunità. Resterebbe l’ipotesi di fare ricorso alla Corte costituzionale per un eventuale conflitto di attribuzione – cosa che può fare il presidente della Camera Lorenzo Fontana, su richiesta della maggioranza.

Atteso il voto in Aula

Per il momento, però, l’attenzione si concentra sul voto dell’Aula che “salverà” i ministri. Il 9 ottobre si prevede un confronto acceso tra maggioranza e opposizione, sia sul piano giuridico che politico: al centro del contendere una domanda che agita da mesi la politica. Fino a che punto il Governo può sacrificare il rispetto degli obblighi internazionali in nome della sicurezza nazionale o di interessi strategici? Un caso che fa discutere anche oltre i confini italiani: nelle stesse ore del voto in Giunta, Osama Njeem Almasri, figura chiave dell’apparato di sicurezza libico, è stato rimosso dal suo ruolo di direttore delle operazioni e della sicurezza giudiziaria presso l’Agenzia di polizia giudiziaria.

Una decisione arrivata in un contesto di forti pressioni internazionali, come quella della Corte penale internazionale (Cpi), che accusa Almasri di essere responsabile di torture sistematiche, sparizioni forzate e altri crimini contro l’umanità, commessi in centri di detenzione come la prigione di Mitiga, tristemente nota per le violazioni dei diritti umani. A firmare la sua destituzione è stato il capo dell’Agenzia, generale Abdul Fattah Dabub, che avrebbe nominato al suo posto il generale Sulaiman Ajaj; secondo fonti vicine al Ministero della Giustizia libico, il cambio si inserisce in un piano di riforma volto a migliorare l’efficienza dei servizi giudiziari e a ripulire l’immagine del sistema penitenziario, associato ad abusi e violenze sistematiche.

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