Quelle attivate sono appena il 38% e quelle a pieno regime, che possono quindi disporre di medici, infermieri e altro personale essenziale, sono appena il 3%. Con il Mezzogiorno, il più bisognoso, al palo. Parliamo delle Case di Comunità, che nei propositi dovrebbero garantire le cure primarie sul territorio. Un obiettivo che invece, stando ai dati pubblicati la settimana scorsa da Agenas – l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, che monitora semestralmente lo stato di avanzamento del capitolo sanitario del Pnrr – rischia di naufragare a meno di un anno proprio dalla conclusione del Pnrr prevista per giugno 2026.
E il nodo personale, soprattutto dei medici di base, è tutt’altro che estraneo alla questione, dal momento che le strutture – se non in minima parte – non riescono a entrare in funzione a causa della mancata copertura da parte del personale medico e infermieristico, oltre che per le tempistiche amministrative per le formalizzazioni regionali e a causa di alcune sospensioni di servizi legate alla necessità di lavori strutturali.
Su questo fronte, prima di esaminare i numeri nel dettaglio, è bene ricordare cosa prevede la legge. Nel rapporto Agenas si legge che il DM77/2022 (“Riforma dell’organizzazione territoriale del SSN con nuovi servizi e strutture”, tra cui appunto le Case di comunità-CdC) “prevede una presenza medica pari a 24 ore al giorno per 7 giorni a settimana nelle CdC hub e almeno 12 ore al giorno per 6 giorni a settimana per le CdC spoke. La presenza infermieristica è prevista per almeno 12 ore al giorno per 7 giorni a settimana nelle CdC hub e almeno 12 ore al giorno per 6 giorni a settimana per le CdC spoke”. E ancora: “La “presenza medica” è definita come disponibilità di un servizio di assistenza medica aperto a tutti gli utenti indipendentemente dall’iscrizione ad un determinato medico, senza necessità di prenotazione tipo ex guardia medica/continuità assistenziale. Questo servizio può essere erogato da un medico del ruolo unico di assistenza primaria durante l’attività su base oraria o da altro medico specificatamente dedicato. L’attività a ciclo di scelta tipo studio MMG o AFT non rientra nella fattispecie salvo presenza di un accordo specifico che preveda l’accesso per qualsiasi utente. La “presenza infermieristica” è definita come disponibilità di un servizio di assistenza infermieristica con infermiere dedicato aperto a tutti gli utenti e senza necessità di prenotazione, es. ambulatorio infermieristico”. Uno scenario, allo stato dei fatti, ambizioso, visto che, ad oggi, le Case di Comunità attivate risultano come accennato il 38% del totale, quelle a pieno regime con medici e infermieri non raggiungono il 3% mentre i dati peggiori restano, come sempre, al Sud, l’area geografica maggiormente bisognosa rispetto a un’assistenza sanitaria più capillare e di prossimità.
Dai dati forniti dalle Regioni e Province autonome la strada appare, quindi, complessivamente in salita verso le cure primarie e un’assistenza sanitaria territoriale effettiva ed efficace. Uno dei dati più allarmanti di Agenas riguarda infatti proprio le Case di Comunità: al 30 giugno 2025, rispetto alle 1.723 programmate, ne risultano attive appena 660 (il 38%) con almeno un servizio dichiarato operativo. Quelle che rispettano poi in pieno gli standard previsti dalla norma – con la presenza cioè sia di personale medico che infermieristico – sono addirittura 46 (meno del 3% programmato) in tutta Italia, senza contare il solito gap Nord-Sud, con Lombardia (142 strutture con almeno un servizio), Emilia-Romagna (140), Toscana (70) e Veneto (63) messe meglio e regioni come Campania e Basilicata con le strutture non ancora operative e la Calabria con 2 strutture attivate con almeno un servizio.
Le diseguaglianze geografiche restano anche per le CdC in grado di avere personale sanitario al completo. Delle 46 complessive, la Lombardia è riuscita ad attivare a pieno regime 12 strutture, l’Emilia-Romagna 8, la Toscana 7 e il Lazio 5.
Sul fronte Ospedali di Comunità, la situazione non cambia. Quelli dichiarati attivi sono 153 su 592. Anche in questo caso guida il Nord, con la maggior parte delle strutture in Veneto (46 strutture sulle 73 previste), e Lombardia (26 sulle 64 previste). Fanalino di coda Basilicata, Pa di Bolzano, Calabria, Marche e Valle d’Aosta con zero OdC attivi.
Unico target superato (PNRR M6C1-7 fissato al 31 dicembre 2024) quello delle Centrali Operative Territoriali (COT) – deputate al coordinamento dei servizi di assistenza domiciliare, cure palliative e gestione dei pazienti cronici – con 638 centrali già funzionanti e certificate su 651 programmate, superando di fatto il target. Va da sé che il versante personale, sia medico che infermieristico (ma non solo), risentirà delle realtà dello stato delle singole Regioni, che dovranno fare i conti a loro volta con risorse e strutture fortemente diseguali in partenza e con disparità incolmabili che il rapporto Agenas mette in evidenza a pochi mesi dalla scadenza del Pnrr.
Sullo sfondo – si fa per dire – restano le situazioni drammatiche generali, come i bandi in ben 15 specializzazioni mediche dove la domanda supera l’offerta; sette regioni attualmente in Piano di rientro (praticamente tutte al Sud), due delle quali – Calabria e Molise – anche commissariate.